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Draghi

Come e perché Draghi in Europa è odiato dai filo austerità

Gli elogi a Draghi, definito «l'uomo più potente d'Europa», sono anche l'annuncio della sconfitta politica per i falchi dell'austerità. L'articolo di Tino Oldani per Italia Oggi

 

Il 9 dicembre, sui media europei, Mario Draghi è stato ricoperto di elogi come non mai. Politico lo ha definito «l’uomo più potente d’Europa», e lo ha messo in cima alla classifica dei 28 vip europei più influenti. Il Financial Times ha scritto che, senza di lui, l’Italia cadrebbe nell’ingovernabilità: per questo non deve essere eletto al Quirinale, ma restare a Palazzo Chigi, per garantire la ripresa e le riforme strutturali. E il premier polacco, Mateus Morawiecki, forse non trovando interlocutori adeguati a Bruxelles, ha scelto di venire a Roma per sottoporre a Draghi i timori della Polonia e dei paesi dell’Est Europa di fronte a quella che considera le manovre di Vladimir Putin per dividere l’Ue, come il dispiegamento militare ai confini dell’Ucraina e la gestione ricattatoria del gas e del Nord Stream 2. Gli elogi a Draghi sono meritati, non c’è dubbio. Ma, a mio avviso, sono anche il segnale politico di una novità importante per l’Europa: il successo di Draghi sta indicando che, per i falchi dell’austerità, i tempi si stanno facendo sempre più cupi.

So bene che molti non sono d’accordo, e per darsi ragione citano la nomina del liberale Christian Lindner, falco dichiarato, a ministro delle Finanze in Germania. Certo, durante la campagna elettorale, egli ha più volte sostenuto la necessità di ripristinare nell’Ue i parametri di Maastricht (3% deficit/pil; 60% debito/pil), per evitare che i tedeschi debbano farsi garanti dei debiti contratti dai paesi del Sud Europa, Italia in testa. Ma una lettura attenta del programma della coalizione semaforo rivela che il governo di Olaf Scholz, socialdemocratico, non va oltre il ripristino del freno al budget nazionale, previsto dalla Costituzione tedesca, mentre apre alla possibilità di coniugare la flessibilità finanziaria con gli «investimenti sostenibili e rispettosi del clima», necessari per attuare la transizione verde, che è centrale nel programma del nuovo esecutivo. Lo stesso Lindner, che ha ottenuto di non aumentare le tasse e scongiurato la patrimoniale, si è detto d’accordo su questo punto. E, a ben vedere, la sua posizione sembra ricalcare, sia pure con parole diverse, la linea Draghi sui debiti buoni e quelli cattivi.

Non va poi trascurato che Lindner dovrà agire in sintonia con Scholz, un premier socialdemocratico che in campagna elettorale si era impegnato a porre fine all’austerità di Angela Merkel, impegno che trova riscontro nel programma di governo, che è nello stesso tempo keynesiano (forti investimenti per la ripresa), laburista (attento al welfare, con l’aumento del salario minimo a 12 euro l’ora) e pro-ambiente (via libera ai progetti dei Verdi per la neutralità climatica). Obiettivi che, per essere realizzati, non possono prescindere dalla flessibilità del budget federale. Una novità che, in sede Ue, potrebbe addirittura rendere più facile la revisione dei criteri di Maastricht, che Draghi ha dichiarato più volte superati, trovando finora ascolto soltanto nei paesi del Sud Europa, compresa la Francia.

Ora, però, il fronte pro-Draghi potrebbe ampliarsi. Alcuni paesi, che fino a ieri facevano da spalla alla Merkel in difesa dell’austerità, si stanno riposizionando. Il caso dell’Austria è clamoroso. L’ex premier Sebastian Kurz, costretto a dimettersi due mesi fa per un’inchiesta giudiziaria, era un falco dichiarato, sempre allineato dietro la cancelliera. Il suo successore, Alexander Schallenberg, è durato in carica appena 45 giorni ed è stato sostituito dall’ex ministro dell’Interno, Karl Nehammer, il quale ha rovesciato come un guanto la politica filo-austerità. Come prima mossa, infatti, ha fatto piazza pulita di tutti i seguaci di Kurz e silurato il ministro delle Finanze, Gernot Blumel, che era sopranominato «il Metternich dell’austerità». Ora il nuovo premier sostiene una politica centrata sull’esigenza di mitigare i contraccolpi sociali della pandemia, con maggiori spese pubbliche. Di fatto, insieme al ministro Blumel-Metternich, Nehammer ha bocciato le sue sparate abituali, come questa: «Italia e Francia vorrebbero abolire i criteri di Maastricht. Creare debito è pericoloso e allarmante: l’Europa non scivolerà in un’unione del debito». E Blumel, in settembre, era stato tra i promotori di un documento contro la revisione del patto di stabilità Ue, firmato da altri paesi del Nord, Olanda in testa.

Ma ora anche l’Olanda ha meno voce in capitolo. Il premier ad interim, Mark Rutte, falco dichiarato, è dimissionario dal 21 gennaio scorso a seguito di uno scandalo che aveva coinvolti alcuni ministri. In marzo ha vinto le elezioni con il suo Partito liberale, ma da allora non è ancora riuscito a costituire un governo, a causa dei continui litigi tra i quattro partiti coinvolti nella trattativa, primo fra tutti quello cristiano-democratico del superfalco Wopke Hoekstra, che da anni aspira a fare le scarpe a Rutte. Il Netherlands Times, citando fonti politiche, prevede che il nuovo governo difficilmente sarà varato prima di Natale. A guidarlo, prima o poi, sarà ancora Rutte, che dopo l’uscita della Merkel, sarà il premier più longevo nei vertici europei. Ma con alle spalle una coalizione tanto litigiosa, e non avendo più la copertura della Merkel, anche la sua autorevolezza politica ne risentirà quando si alzerà in difesa dell’austerità.

Tra i falchi in crisi vi è anche la premier della Svezia, Magdalena Andersson, rigorista dichiarata. La Svezia era tra i firmatari del documento dell’austriaco Blumel pro-austerità. Poi sono arrivate le elezioni. E la Andersson, prima donna svedese a capo del governo, incaricata una prima volta il 24 novembre, si è dimessa poche ore dopo la fiducia poiché il parlamento aveva approvato la legge di bilancio proposta dall’opposizione e non la sua. Rinominata, ora guida un esecutivo di minoranza, che si guarda bene dall’invocare l’austerità.

 

Articolo pubblicato su ItaliaOggi

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