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Cobas

Le folli teorie dei Cobas su Israele e Nato per lo sciopero generale

Vicinanza ad Hamas, opposizione alla Nato e appelli ai proletari russi: tesi e pensieri dei Cobas per lo sciopero generale del 23 febbraio. Il commento di Cazzola

Il  prossimo 23 febbraio ci scalderà i cuori un ulteriore sciopero generale, promosso anche questa volta di venerdì. A proclamare, per un’intera giornata, l’astensione dal lavoro nei settori pubblici e privati (le modalità e le esclusioni sono dettagliate in un comunicato) è il SI-Cobas (in compagnia di una sfilza di sigle simile a una tenia) che, se abbiamo ben compreso, è una sorta di confederazione dei sindacalismo radicale di  base.

LO SCIOPERO DEL COBAS… CONTRO ISRAELE

Le motivazioni dello sciopero non attengono al rivendicazionismo tipico di queste organizzazioni sindacali (un mix tra la difesa dei vecchi privilegi nel pubblico impiego e un populismo un po’ coatto in quelli nuovi dove hanno attecchito come la logistica). Questa volta i lavoratori italiani sono chiamati a scioperare per fermare “il Genocidio a Gaza e il colonialismo sionista” e sostenere “la resistenza delle masse palestinesi”.

Sappiamo che evocare la parola “resistenza” è  come avvalersi della traduzione della parola Hamas, tanto più che anche i massacri del 7 ottobre – anziché subire una esplicita condanna – vengono arruolati d’ufficio nell’azione di resistenza all’oppressore. Del resto perché prendersela con loro quando sostengono le stesse opinioni dei funzionari dell’Onu?

Chi poi fosse interessato a scoprire in quali abissi può precipitare la mente umana e si mettesse alla ricerca della copiosa letteratura prodotta su questi temi, scoprirebbe, innanzitutto, che per il sindacalismo di base non sarà la prima volta. “Già lo scorso 20 ottobre – si legge in un loro comunicato – il SI Cobas ha indetto uno sciopero generale assieme ad altre sigle del sindacalismo di base contro la guerra e l’economia di guerra, cui è seguito il 17 novembre uno sciopero nazionale in tutto il settore privato contro il massacro in corso nella Striscia di Gaza, cui hanno fatto seguito in entrambi i casi manifestazioni nei giorni immediatamente successivi, rispettivamente a Ghedi, nei pressi della base militare, e a Bologna; iniziative che hanno coinvolto – assicurano –  migliaia di lavoratori, attivisti e solidali.

Non ce ne eravamo accorti, quindi è bene che non si perda d’occhio la pista di questa parte di umanità – che sentiamo tanto lontana da noi – per rendersi conto se esiste un limite al peggio. E se lo abbiamo raggiunto.

IL “CONFLITTO NATO-RUSSIA”, SECONDO I COBAS

Lo sciopero del 23 febbraio è un’azione preliminare a ciò che si svolgerà il giorno dopo a Milano: una manifestazione internazionale per i medesimi obiettivi. Il fatto è che la data del 24 febbraio segna una ricorrenza che non sfugge agli organizzatori. Saranno trascorsi due anni dall’inizio “del conflitto Nato-Russia in Ucraina”. Non è un errore. Sta scritto proprio così: secondo i Cobas il 24 febbraio 2022 non ha avuto luogo – sotto forma di operazione militare speciale – l’aggressione della Russia ad uno Stato sovrano confinante, ma l’Ucraina è stata scelta come campo neutro per una partita di Champions giocata con le armi anziché col pallone.

Qualcuno potrebbe pensare che in realtà gli estensori del documento (scritto pochi mesi dopo l’inizio della guerra, ma riconfermato senza modifiche perché ritenuto tuttora valido nell’ambito della manifestazione di Milano) si riferissero ad una sfida di Risiko condotta tra compagni la sera precedente. No. Sono proprio convinti che le cose siano andate così, anche se non vi è traccia di truppe Nato in Ucraina.

Approfondiamo l’analisi di ampio spessore di politica internazionale, articolata in più di venti punti, talmente ultimativi da non ammettere replica. Come già anticipato, la guerra in Ucraina non si svolge tra la Russia e l’Ucraina; ma tra NATO e Russia sul territorio ucraino, occupato militarmente dalla Nato e politicamente dagli Stati Uniti e dall’UE prima, e invaso dalla Russia poi. Una guerra tra potenti stati capitalistici, combattuta per finalità di dominio, che segna la riapertura ufficiale della lotta per la ripartizione del mondo, essendo entrata in crisi l’egemonia dell’Occidente sul mercato, la politica e la cultura mondiali. La responsabilità dello scoppio della guerra è di entrambe le parti in conflitto, e – al fondo – del sistema sociale di cui fanno parte.

Metterci a questionare – ecco il clou dell’analisi – su offesa e difesa non avrebbe senso, trattandosi di grandi stati che coagulano interessi capitalistici e, non trovando compromessi sul piano economico e politico, passano allo scontro militare. La Nato non aveva bisogno di sparare perché si era già preso il terreno ucraino sul piano economico e politico e con i propri insediamenti bellici, ignorando del tutto gli accordi di Minsk. La Russia poteva contendergli il bottino, o parte del bottino, solo con mezzi militari, ed è quello che ha fatto. A sua volta la borghesia ucraina, in particolare il nazionalismo in affitto di Zelensky, ha la colpa imperdonabile di avere messo il proprio territorio a disposizione dei piani di guerra della Nato gettando la propria popolazione nell’abisso di una guerra sanguinosa e distruttiva, nell’interesse dei soprastanti occidentali e di un pugno di profittatori ucraini – e di avere esercitato una violenta vessazione armata sulla popolazione del Donbass con molte migliaia di morti.

Attraverso alcuni altri mirabolanti salti di logica si arriva alla tesi centrale: la guerra in Ucraina, per ciò che è e per ciò che prepara, è una guerra contro i proletari ucraini e contro i proletari russi, contro il proletariato di tutti i paesi. Perché è uno scannatoio di proletari, e perché impone un parossistico salto di qualità nella concorrenza, nello sfruttamento e nell’oppressione del proletariato anche fuori dall’Ucraina e dalla Russia. I comandanti dei due schieramenti in guerra incitano i proletari ucraini e i proletari russi a scagliarsi gli uni contro gli altri, ad essere la loro carne da macello. Per l’internazionalismo proletario vale la consegna opposta: disfattismo da entrambi i lati del fronte contro gli oligarchi e i generali della Nato e dell’Ucraina, contro gli oligarchi e i generali della Russia e dei suoi alleati. Il fatto è che il proletariato russo non si è ancora reso conto della sua missione storica, anche perché – lo abbiamo visto in queste ore in occasione degli atti e delle iniziative popolari di protesta per l’assassinio di Aleksej Naval’nyj – la repressione del regime è attenta e severa anche con coloro che si limitano a portare un fiore o ad accendere un cero davanti a una foto di Navalny.

In sostanza, nel conflitto ci sono due protagonisti invisibili: il primo è la Nato, delle cui truppe non vi è traccia in quello sventurato Paese, già garantito nella sua integrità territoriale dal Memorandum di Budapest del 1994, sottoscritto da tutte le grandi potenze, Russia inclusa; il secondo è il proletariato russo che evidentemente non si è ancora accorto di essere sfruttato da un regime capitalistico e non ha capito che il vero nemico non sono gli ucraini ingannati anch’essi dall’Occidente, ma quel potere autoritario che si  ritrovano in patria.

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