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Xi

Perché Xi Jinping in Cina non sghignazzerà troppo nel 2019

L'analisi di Marco Orioles

 

Per il presidente cinese Xi Jinping, il 2019 sarà un anno dal sapore agrodolce. Come ogni anno la cui cifra termina con 9, quello che si apre domani sarà – osserva opportunamente l’Economist nel suo numero speciale dedicato ai fatti da osservare nel nuovo anno – pieno di ricorrenze che metteranno la Repubblica Popolare in fibrillazione. Anniversari di segno opposto come il trentennale delle manifestazioni di piazza Tienanmen, cui il regime cercherà di mettere la sordina, ma anche il centenario dei primi passi di quel movimento studentesco che, nel 1921, si coagulò nella nascita del Partito Comunista Cinese (Pcc), che un secolo dopo regge pressoché indiscusso le sorti di un Paese fattosi superpotenza economica, politica e militare capace di sfidare sul suo stesso terreno il leader del mondo libero, gli Stati Uniti.

Risultati clamorosi ma tangibili che saranno senz’altro in primo piano quando, il 1 ottobre, si celebrerà il settantesimo della nascita della Repubblica Popolare, altra occasione di celebrazione per il Partito-Stato che tenterà di approfittarne per silenziare ogni residuale dissenso che ancora alligna all’interno di un sistema che, altrimenti, è saldamente sotto il controllo del vertice. Un vertice che però teme le contestazioni più di ogni altra cosa, e che perciò userà tutta la panoplia degli strumenti a sua disposizione per evitare eventi spiacevoli che non mancherebbero di mettere a nudo la fragilità di un modello che, sull’altare della crescita e del benessere, ha sacrificato quello che nel resto del mondo è considerato il bene più prezioso: la libertà.

E fu proprio il tema delle libertà, trent’anni or sono, a occupare il centro della scena. Quando, il 1989 si schiuse in Cina, il Paese era in piena crisi di coscienza. La leadership di Deng, l’uomo che volle traghettare l’ex impero di mezzo nei marosi dell’economia di mercato ma senza rinunciare al sistema del partito unico e ai suoi corollari fatti di dirigismo serrato e controllo ferreo della società e delle coscienze, fu messa apertamente in discussione. Erano i tempi in cui spirava, da Occidente, il vento della perestroika di Mikhail Gorbaciov, cui molti quadri del Pcc guardavano con un misto di speranza e diffidenza. Non poche, allora, furono le voci che sostennero la necessità, per la Cina, di aprire un nuovo capitolo, sintonizzandosi con l’onda dei cambiamenti che, di lì a poco, avrebbero portato alla caduta del muro di Berlino e al trionfo, dopo quarant’anni di confronto a tutto campo con il modello comunista, del sistema liberal-democratico.

In questi trent’anni, molte cose sono cambiate in Cina. Da paese in via di sviluppo piagato dalla miseria e dalle difficili condizioni di vita di una immensa popolazione ancora esclusa dai benefici della vita moderna, il Paese ha sperimentato livelli di crescita da record che l’hanno condotto al secondo posto nella graduatoria delle potenze economiche mondiali, e al primo se si considera la parità di potere d’acquisto. Un exploit frutto del disegno lucido della dirigenza del Pcc che scommise sulla trasformazione di un’economia rurale nella “fabbrica del mondo”, epicentro della produzione delocalizzata dei Paesi avanzati e fulcro del commercio globale. Oggi, la Cina non è solo un gigante economico guardato con un misto di invidia e ammirazione dagli altri paesi ostaggio di una crescita flebile e precaria, ma anche un Paese rispettato la cui parola e volontà nei consessi internazionali viene tenuta in massima considerazione.

Questi risultati indiscutibili saranno però messi in ombra, quest’anno, dal loro contraltare, ossia dal patto non scritto siglato dal Partito in nome degli interessi del popolo e della nazione, che in cambio del benessere e della ricchezza ha imposto la menomazione della sfera delle libertà. Il trentennale della repressione delle proteste di piazza Tienanmen, con tutto il suo portato simbolico, rischia di indebolire il messaggio di coesione e di unità dietro il Partito che la dirigenza cinese vorrebbe porre in primo piano. Ecco perché le forze di sicurezza e la censura governativa avranno il loro bel da fare, quest’anno, affinché queste ombre non si dilatino e non escano allo scoperto. Paradossalmente, la festa per il centenario del movimento del Quattro Maggio, incubatore della fondazione del PCC, potrebbe intrecciarsi con i fermenti della ricorrenza di piazza Tienanmen, visto che gli studenti che trent’anni fa sfidarono il regime occupando il centro di Pechino si consideravano gli autentici eredi di quei giovani che, cento anni prima, avevano marciato nel nome del patriottismo e delle riforme.

E non ci sarà solo lo spettro di Tienanmen, ad agitare il sonno del Pcc. Il 2019 marca infatti il sessantesimo anniversario della fuga del Dalai Lama dal Tibet, e il trentesimo dall’imposizione, nella capitale di quella provincia contesa, Lhasa, dell’imposizione della legge marziale. Come lo Xinjang musulmano, il Tibet è una spina nel fianco di un regime che tratta le istanze autonomiste nel modo più brutale possibile. Ma, a differenza di quella degli uiguri dello Xinjang, la causa del Tibet gode di grande popolarità nel mondo. Ecco perché un eventuale sussulto di orgoglio in quella provincia ancora non doma rappresenterà una bella gatta da pelare per il Partito. Che, è facile immaginare, reagirebbe con il pugno duro, noncurante dei moniti e delle condanne della comunità internazionale.

Impedire l’affiorare della rabbia è la sfida cui la Repubblica Popolare è chiamata a confrontarsi in questo 2019 ricco di scadenze. Un anno in cui la censura sarà chiamata a fare gli straordinari. E in cui il presidente Xi dovrà sgomitare per tenere alla larga lo spettro più temuto, quello delle rivoluzioni “colorate” che, altrove nel mondo, hanno fatto cadere regimi e autocrati. Trent’anni fa, la Cina fu disposta ad attirarsi l’ira del mondo, e a spargere il sangue dei suoi cittadini, pur di non piegarsi alle richieste di libertà e democrazia scaturite dal basso. Oggi, non vi è ragione di credere che non sia pronta a fare altrettanto, pur di mantenere in piedi una macchina possente e impenetrabile che ha resistito all’usura del tempo e alle sfide interne ed esterne. Sarà un anno impegnativo, per Xi.

 

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