Il 10 ottobre la presidente taiwanese Tsai Ing-wen ha sostenuto che Taiwan, che si autodefinisce Repubblica di Cina (ROC), e la Cina continentale, ovvero la Repubblica Popolare Cinese (RPC), non dovrebbero essere “subordinate l’una all’altra” ma mantenere lo status quo. Nello specifico il presidente ha infatti chiesto la salvaguardia dello status quo nello Stretto di Taiwan, sottolineando che farà del suo meglio per evitare che questo venga modificato unilateralmente.
Proprio per questo Taiwan non continuerà a rafforzarsi a livello militare allo scopo di salvaguardare la sua autonomia. La Cina infatti non può offrire uno stile di vita ispirato ai valori democratici né tantomeno la sovranità per i suoi 23 milioni di abitanti. D’altronde non è un caso che nel mese di ottobre Taiwan ha denunciato l’esercito popolare di liberazione cinese che ha fatto un totale di 149 incursioni all’interno della difesa aerea di Taiwan con lo scopo di comprometterne la sicurezza nazionale.
Ma, seppure in breve, quale è la politica posta in essere dalla Cina nei confronti di Taiwan?
Sul piano economico nel 2016, in risposta all’elezione del presidente Tsai Ing-wen, considerato dalla Cina secessionista, il governo di Pechino ha adottato sanzioni che limitano i viaggi di gruppo sull’isola. Nel 2015, i cinesi hanno costituito oltre il 40% dei turisti stranieri a Taiwan, ovvero più di 4,2 milioni di persone. Nel 2019 sono scesi a 2,7 milioni, con un calo del 35%. Tuttavia, nello stesso periodo, il numero totale di turisti è aumentato da 10,4 milioni a 11,9 milioni.
Il Paese è riuscito non solo a compensare il calo del numero di turisti cinesi, ma anche ad aumentare il numero totale di turisti, concentrandosi sui clienti sudcoreani, giapponesi e del sud-est asiatico. Più recentemente, a seguito del divieto di importazione di ananas decretato da Pechino, i consumatori taiwanesi si sono mobilitati per assorbire la produzione nazionale e trovare altri sbocchi, in particolare in Giappone. Inoltre, come nel caso della Corea del Sud, Taiwan ha rafforzato la cooperazione e gli scambi con il Sud-est asiatico, l’Asia meridionale e l’Oceania. Alla fine, le sanzioni cinesi hanno quindi avuto un effetto molto limitato.
Per quanto riguarda la questione dell’annessione della Cina con Taiwan, la politica ufficiale di Xi nei confronti di Taiwan è la riunificazione pacifica. Ma è chiaro dall’ascolto dei suoi discorsi che sta lentamente perdendo la pazienza. Dal suo punto di vista, l’autonomia di Taiwan non può essere sopportata indefinitamente. Finora è stato semplicemente tollerato. L’intera questione oggi è quando le autorità cinesi decideranno di porre fine a questa tolleranza e agire.
La riunificazione non è più vista come una prospettiva lontana che si tramanda di generazione in generazione e da leader a leader. Si avvicina sempre di più. Questa incertezza sta causando grande preoccupazione negli Stati Uniti e, naturalmente, a Taiwan.
L’opinione pubblica non si rende conto quanto sia pericolosa e instabile la situazione a Taiwan. Non esistono meccanismi di de-escalation tra Cina e Stati Uniti che esistevano durante la Guerra Fredda tra l’URSS e gli Stati Uniti in caso di incidente, come il Trattato INF. Non è previsto nulla tranne alcuni telefoni rossi, ma qualcuno deve ancora rispondere! Durante la crisi dell’aereo spia EP-3 del 2001 gli americani hanno continuato a chiamare per parlare con il presidente Xi, ma non ha mai risposto!