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Come e perché la Cina domina i prestiti ai Paesi emergenti

Grazie ai prestiti legati alla Nuova via della seta, oggi la Cina è la prima creditrice dei Paesi emergenti. Ecco numeri, fatti e conseguenze.

Grazie anche alla montagna di prestiti concessi per i progetti della Belt and Road Initiative, la Cina è diventata oggi il più grande creditore al mondo dei Paesi emergenti, ruolo delicato che Pechino sta tradendo imponendo a quelle nazioni così pesantemente esposte nei suoi confronti onerosi tassi di interesse e penalità. Ecco cosa scrive il Guardian richiamando un recente studio condotto presso l’Università William & Mary della Virginia.

I prestiti di Pechino

La Cina, scrive il Guardian, è diventata il più grande creditore al mondo, con l’esposizione nei suoi confronti che ha raggiunto la cifra record di 1,5 trilioni di dollari. L’80% del portafoglio creditizio della Cina riguarda Paesi emergenti e soprattutto quelli che si ritrovano oggi, proprio a causa di quei prestiti, in forti difficoltà finanziarie.

I prestiti e la Bri

È dal 2017 che la Cina è diventata il più grande prestatore bilaterale al mondo, con le sue banche di sviluppo che hanno erogato circa 500 miliardi di dollari di prestiti tra il 2008 e il 2021. Sebbene questo sforzo preceda il lancio della Belt and Road Initiative, gran parte degli investimenti mobilizzati hanno riguardato proprio i progetti infrastrutturali legati alle nuove Vie della Seta.

I prestiti delle banche cinesi sono serviti per finanziare ferrovie in Kenya e centrali elettriche in Cambogia, tanto per citare alcuni delle migliaia di progetti della Bri. Un nuovo rapporto stilato dal laboratorio di ricerca AidData dell’Università William & Mary della Virginia ha analizzato oltre 20.000 progetti in 165 Paesi in via di sviluppo scoprendo come siano stati finanziati con prestiti e sovvenzioni per un valore complessivo di 1,34 trilioni di dollari.

La ricerca ha anche evidenziato come, all’aumentare dell’esposizione finanziaria dei Paesi coinvolti, sia aumentato anche il numero dei progetti cancellati.

Adesso Pechino teme che quei Paesi vadano in default.

Esposizione e prestiti di emergenza

Per mitigare questo rischio, Pechino ha cominciato a prendere delle contromisure, riducendo ad esempio drasticamente i prestiti per i progetti infrastrutturali ma anche aumentando simultaneamente i prestiti di emergenza.

Nel 2015 i prestiti per progetti infrastrutturali rappresentavano il 60% del portafoglio crediti della Cina. Ma nel 2021 quella percentuale era scesa al 30%, mentre i prestiti di emergenza giungevano a rappresentare il 60% del totale.

International crisis manager

Ecco perché, nel loro rapporto, i ricercatori dell’Università William & Mary scrivono che “la Cina si sta comportando sempre di più come un international crisis manager”, avendo creato una “rete di sicurezza” non solo per i Paesi in difficoltà finanziaria ma anche, per estensione, per i propri creditori.

Penalità e malcontento

Un altro modo con cui i prestatori cinesi stanno cercando di ridurre la loro esposizione al rischio è incrementare le penalità per i pagamenti tardivi, in una mossa che genera malcontento tra i debitori.

Ad aggravare la situazione è anche il fatto che i termini e le condizioni dei prestiti cinesi non sono sempre trasparenti e sembrano non rispettare gli standard internazionali. Secondo il Guardian i prestiti governativi di Pechino hanno un tasso di interesse del 2%, da rapportare all’1,54% previsto per i prestiti concessi dalla Banca Mondiale. Secondo lo studio AidData, tra gli anni di esordio della Bri e il 2021 la penalità richiesta dai prestatori cinesi per i ripagamenti tardivi è passata dal 3 all’8,7%.

Il Direttore esecutivo di AidData Bradley Parks ha osservato come Pechino si sia imposta come maggior creditrice dei Paesi emergenti proprio mentre questi sono sull’orlo dell’insolvenza, da cui discende la crescente impopolarità della Cina agli occhi delle popolazioni di quei Paesi.

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