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Cina Pacifico

Cosa farà la Cina nel Pacifico su commercio, dati e sicurezza

La Cina vuole proporre alle isole del Pacifico un accordo sulla sicurezza, il commercio e i dati. Gli Stati Uniti criticano la mossa, e la Micronesia invita la regione a rifiutare l'offerta cinese per evitare una nuova "Guerra fredda". Tutti i dettagli

Giovedì il ministro degli Esteri cinese Wang Yi è arrivato nelle Isole Salomone, prima tappa di un viaggio regionale più ampio, che durerà fino al 4 giugno e che lo porterà in altre sette nazioni insulari del Pacifico: Kiribati, Samoa, Figi, Tonga, Vanuatu, Papua Nuova Guinea e Timor-Est. La scelta di aprire con una visita a Honiara non è ovviamente casuale: le Salomone – un arcipelago nell’oceano Pacifico meridionale – hanno recentemente firmato un patto sulla sicurezza con Pechino che gli Stati Uniti e i loro alleati asiatici-oceanici hanno accolto con allarme, temendo che il paese si trasformi in una postazione armata per le imbarcazioni cinesi.

Il tour di Wang è una risposta evidente al primo viaggio di Joe Biden in Asia, tutto rivolto al contenimento della Cina. Il presidente americano ha annunciato infatti un piano economico per l’Indo-Pacifico e si è riunito con i membri del Quad (il quadrilatero securitario con Australia, Giappone e India), che hanno lanciato un’iniziativa satellitare per il monitoraggio delle milizie navali travestite da pescherecci. Vanuatu e le Salomone ospiteranno due centri di condivisione delle informazioni raccolte dai satelliti: il ministro cinese visiterà entrambe.

COSA VUOLE FARE LA CINA NEL PACIFICO

Nel Pacifico la diplomazia di Pechino non si limiterà a stringere mani (o, meglio, a salutare con i gomiti).

La settimana prossima Wang Yi terrà alle Figi un vertice con i ministri degli Esteri di una decina di isole, durante il quale – così riportano delle bozze di documenti ottenuti da Reuters – presenterà un ampio accordo sulla sicurezza, il commercio e i dati. Nota come Visione di sviluppo comune tra la Cina e i paesi insulari del Pacifico, l’iniziativa copre tantissimi temi: la collaborazione sulla sicurezza “tradizionale e non”; l’addestramento dei corpi di polizia e il potenziamento della capacità di applicazione della legge; la cooperazione sulle reti dati; l’istituzione di un’area di libero scambio tra la Cina e il Pacifico; il sostegno contro i cambiamenti climatici.

Il piano è notevole non solo perché vasto, ma anche perché segnala forse un mutamento d’approccio della Cina alle relazioni con gli altri stati: finora ha infatti preferito il bilateralismo al multilateralismo.

La notizia ha ovviamente innescato la reazione preoccupata degli Stati Uniti. Il portavoce del dipartimento di Stato, Ned Price, ha detto che il Pacifico rischia di essere coinvolto in accordi negoziati in fretta e con scarsa trasparenza, e che affidarsi alla Cina per la sicurezza alimenterà le tensioni nella regione e a livello internazionale.

PERCHÉ LA MICRONESIA DICE NO

La versione di Washington è sostanzialmente la stessa offerta dagli Stati federati di Micronesia. In una lettera di commento alla Vision cinese inviata a ventuno governi del Pacifico, il presidente micronesiano David Panuelo afferma che la Cina ha intenzione di controllare la regione e ne minaccia la stabilità e la sicurezza. Sostiene che il patto porterà le isole pacifiche “molto vicino all’orbita di Pechino, legandovi intrinsecamente le nostre economie e società”. La Micronesia pertanto lo rifiuterà, e invita gli altri a fare lo stesso.

“Il comunicato congiunto prestabilito”, scrive Panuelo, andrebbe respinto perché potrebbe dare vita a una nuova “Guerra fredda” tra Pechino e l’Occidente: se i cinesi assumeranno il controllo delle infrastrutture di telecomunicazione, delle acque e della sicurezza del Pacifico – spiega –, le probabilità di una guerra tra il Dragone e gli Stati Uniti, l’Australia, la Nuova Zelanda e il Giappone aumenteranno.

La Micronesia è legata agli Stati Uniti da un accordo sulla sicurezza, e alla Cina da uno di cooperazione economica.

COSA FA L’AUSTRALIA

Panuelo critica anche l’inazione dell’Australia – il paese più grande e rilevante all’interno della regione pacifica – nelle misure di contenimento dei cambiamenti climatici: è una questione che molte isole considerano prioritaria ed esistenziale perché sono minacciate dall’innalzamento del livello del mare.

Canberra sta lavorando per rispondere a queste richieste e tutelare la propria influenza sull’area. Non a caso, mentre Wang Yi giungeva nelle Salomone, la ministra degli Esteri australiana Penny Wong partiva per le Figi per incontrarne, venerdì, il capo del governo. Il nuovo primo ministro australiano Anthony Albanese, eletto di recente, ha promesso proprio più aiuti alle isole del Pacifico contro i cambiamenti climatici e maggiore sostegno sulla sicurezza marittima.

Jonathan Pryke, analista del Lowy Institute di Sydney, ha detto a Foreign Policy che “se si guarda ai numeri, al livello di coinvolgimento di tutti i partner nel Pacifico, l’Australia è ancora il più grande donatore, il più grande partner commerciale, il più grande partner migratorio della regione. Quest’idea che la Cina sia arrivata e abbia preso il controllo della regione è totalmente falsa”.

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