skip to Main Content

Africa

La Cina continuerà a costruire in Africa? Report Deloitte

Al 2020 si contavano 385 progetti di costruzione cinesi in Africa, per un valore di 399 miliardi di dollari. L'articolo di Giuseppe Gagliano.

 

Continua la politica di proiezione di potenza della Cina in Africa.

Nel 2019 la Cina ha realizzato circa 385 progetti con oltre 50 milioni di dollari nel continente africano. Quattordici infatti dei primi 20 gruppi di costruzione del mondo in Africa sono cinesi.

Il primo posto nella costruzione di Pechino è indiscutibile nel continente. È stato confermato ancora una volta dallo studio di base “Africa Construction Trends” di Deloitte. Coprendo il 2020, questo rapporto conta un totale di 385 progetti per un valore superiore a 50 milioni di dollari per un valore di 399 miliardi di dollari.

A causa del Covid, queste cifre sono in calo rispetto al 2019 (452 progetti per un valore di 497 miliardi di dollari), ma la quota relativa dei gruppi cinesi rimane quasi invariata al 31,4% dei progetti in media, con un picco del 50% in Africa orientale e una cifra del 30% in Africa occidentale. “I gruppi cinesi continuano a beneficiare di vantaggi comparativi come i loro costi competitivi e la capacità di agire rapidamente, soprattutto sul lato finanziario”, afferma il sudafricano Martyn Davies, direttore dei mercati emergenti e dell’Africa di Deloitte di Johannesburg.

Lanciata nel 2013 da Xi Jinping, l’iniziativa “One Belt One Road”, con la sua versione africana di megaprogetti, in particolare nell’est del continente (come Gibuti, Kenya o Tanzania), fa ovviamente parte di questo aumento del potere. In tutte le sottoregioni, non esiste praticamente alcun progetto infrastrutturale, nemmeno piccolo, in cui le società cinesi non fanno fatto offerte. Dopo la crisi sanitaria, le aziende turche hanno avuto meno probabilità di andare nel continente. Questo non è il caso dei gruppi cinesi

Oltre a camuffarsi con acronimi spesso confusi – CCCC, CRCC, CRG, CCCC – questi gruppi avanzano in Africa grazie a un capitale pubblico. Infatti la maggior parte, tra cui la più grande come CSCEC, CCCC, Sinohydro o China Railway Group, sono direttamente sotto il controllo della Commissione cinese per l’amministrazione e la supervisione dei beni pubblici (Sasac), una potente holding statale.

Al di là delle loro dimensioni e competenze acquisite attraverso l’enorme sviluppo del mercato interno cinese, il segreto del successo di queste società in Africa risiede quindi soprattutto nel loro potere finanziario.

Il modello di sviluppo dei gruppi cinesi in Africa nelle infrastrutture e la loro crescita da due decenni si basa sulla fornitura di progetti chiavi in mano, ma in particolare contratti tra cui finanziamenti sono negoziati da Stato a Stato e gli strumenti di questa strategia sono la Exim Bank of China e la China Development Bank, sotto la diretta supervisione del Consiglio di Stato di Pechino, e talvolta altri attori come ICBC, la più grande banca del mondo, anche pubblica. A questo si aggiunge l’agenzia di garanzia all’esportazione Sinosure. Ma è soprattutto l’opacità dei metodi di finanziamento che dà spesso loro un vantaggio decisivo. Al contrario le società occidentali sono tenute a rispettare il quadro dell'”accordo sui crediti all’esportazione sostenuti ufficialmente”, adottato dai paesi dell’OCSE nel 1978 e regolarmente rivisto, recentemente nel luglio 2021.

Ma la Cina non è ovviamente firmataria di questo accordo e non ci sono regole di trasparenza in un altro quadro istituzionale (G20, OMC…). È infatti quasi impossibile avere informazioni dettagliate sugli accordi di finanziamento cinesi.

Infatti, se tra il 2012 e il 2020 la Cina ha concesso quasi dodici miliardi di dollari in finanziamenti e investimenti a Gibuti, nessuno al di fuori delle parti interessate conosce le reali condizioni finanziarie. Anche all’interno di consorzi tra società cinesi e non cinesi, queste ultime non sono sempre a conoscenza delle clausole finanziarie sostenute dai contratti aggiudicati dai gruppi di costruzione cinesi a cui sono associati.

Se guardiamo ai contratti minerali presenti nella Repubblica democratica del Congo la situazione non cambia poiché le condizioni commerciali e finanziarie relative per esempio alla costruzione della ferrovia, alla bauxite di Santou e al porto fluviale Dapilong, effettuata dal China Railways Construction Group (CRCC), sono state negoziate solo dagli azionisti cinesi e di Singapore.

Ma l’era dell’espansione senza vincoli dei costruttori cinesi potrebbe finire. Ad esempio leader africani come Félix Tshisekedi nella RDC, non esitano a mettere in discussione pubblicamente i contratti infrastrutturali firmati con Pechino in passato.

Ma anche le banche pubbliche cinesi stanno ponendo in essere delle scelte molto più caute, molto più selettive perché sono una conseguenza diretta del 14º piano del partito comunista cinese che sottolinea come la crescita a tutti i costi in Africa possa essere un fattore di rischio e di indebolimento della penetrazione cinese nel continente africano.

Back To Top