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Chi vagheggia una maggioranza Ursula per il Quirinale

Che cosa celano le tensioni nella maggioranza di governo. Il corsivo di Paola Sacchi

 

Ma quell’aut-aut a Matteo Salvini (“O dentro o fuori il governo”), nel quale Enrico Letta, che lo aveva lanciato domenica scorsa, ora si ritrova come in un ticket in compagnia di Giuseppe Conte, che ieri ha detto la stessa cosa, non rischia alla fine di suonare un po’ irrispettoso per il ruolo tenuto a svolgere dallo stesso premier Mario Draghi?

Gli ex della maggioranza giallo-rossa, rappresentata anche dall’ex premier Conte, potrebbero dire che loro, al contrario, lo fanno per difendere la tenuta dell’esecutivo e lo stesso Draghi.

Ma il rischio è che agli occhi di osservatori un po’ maliziosi dietro questa tensione crescente, fatta di diktat verso il leader leghista, si nasconda il desiderio inconfessabile di scavalcare lo stesso Draghi nel suo ruolo. Dando così l’impressione che un pezzo della maggioranza, sentendosi al di sopra degli altri contraenti del patto di emergenza nazionale, cerchi di dettare le condizioni più che a Salvini allo stesso Draghi, che in quanto premier è titolato a mediare e superare i contrasti.

A Salvini si rimprovera di far prevalere gli interessi di parte (che poi sarebbero quelli di gran parte del Paese, delle partite Iva, del mondo imprenditoriale) e di andare contro il governo con la sua raccolta di firme per il superamento del coprifuoco, ma intanto il Pd continua a tenere ben issate le sue bandiere sulle sue battaglie simbolo, altrettanto divisive, a cominciare dalle politiche sull’immigrazione.

Eppure questo è nato come un governo di emergenza nazionale, per il quale il Capo dello Stato ha fatto un appello a tutte le forze politiche, che quasi tutte hanno risposto positivamente.

Eppure il segretario del Pd e ora con lui l’alleato Conte, leader in pectore dei Cinque Stelle, sembrano comportarsi come se fossero solo loro a dare le carte nella pur larga maggioranza.

Romano Prodi, che, nonostante le smentite ufficiali, secondo alcuni osservatori in realtà non avrebbe rinunciato al desiderio di correre per il Colle più alto, ha paventato il rischio che Salvini faccia come Fausto Bertinotti che fece cadere il suo primo governo.

Ma già lo stesso paragone con l’esecutivo di allora suona inappropriato. Quello, infatti, era un governo del centrosinistra e quindi di una sola parte politica in campo, che aveva vinto le elezioni.

Mettere a confronto le dinamiche politiche del governo ulivista di allora con quelle dell’esecutivo di quasi tutti di ora rischia di celare una concezione “proprietaria” del governo di unità nazionale nato per far fronte all’emergenza sanitaria e economica.

E in quello che ormai viene visto come il tentativo del “ticket” Letta-Conte di sospingere la Lega fuori dal governo, intanto, non viene registrato neppure un buon segnale per un’eventuale ascesa di Draghi al Colle. Ammesso che lo stesso Draghi sia interessato.

Ma in ogni caso un’operazione del genere proprio per la caratura di un personaggio come l’ex presidente della Bce richiederebbe maggioranze di un po’ più ampio respiro rispetto a quella della versione italiana “Ursula” (Pd, Cinque Stelle, FI), che forse qualcuno vagheggia perché al Colle vada uno dei tanti aspiranti “quirinabili” di sinistra.

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