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Giorgetti

Chi tifa per un Mattarella bis al Quirinale

Fatti e sbuffi nella corsa al Colle

 

Volente o nolente, a dispetto del bisogno di riposo che ha avvertito e comunicato recentemente davanti ad una scolaresca romana in vista della fine del suo mandato al Quirinale, fra circa 8 mesi, il quasi ottantenne Sergio Mattarella nel discorso celebrativo dei 75 anni della Repubblica non è proprio sembrato ieri un presidente in scadenza. E ha fatto forse crescere in molti la voglia di vederlo rieletto a febbraio, come d’altronde accadde già nel 2013 all’anziano suo predecessore Giorgio Napolitano. Che non vedeva pure lui il momento di riposarsi, tanto da avere già imballato l’occorrente per il ritorno a casa, peraltro a poche centinaia di metri dal Quirinale, ma dovette realisticamente e responsabilmente piegarsi al sacrificio chiestogli dai rappresentanti di un po’ tutte le  forze politiche, in fila davanti al suo ufficio. Egli accettò una conferma pur non dichiaratamente provvisoria dopo la bocciatura di entrambi i candidati proposti dal Pd: prima Franco Marini e poi Romano Prodi. Si sarebbe dimesso definitivamente due anni dopo.

Allora ci fu un vuoto da coprire o da evitare. La prossima volta ci potrà essere da scongiurare un settennato, quanto dura il mandato del presidente della Repubblica, delegittimato in partenza dalla riforma costituzionale quanto meno intempestiva imposta praticamente dai grillini ai loro alleati di governo in questa stranissima legislatura. Essa riducendo le prossime Camere, da eleggere nel 2023, di più di un terzo dei suoi seggi renderà sostanzialmente superato o poco rappresentativo, a dir poco, un nuovo capo dello Stato eletto l’anno prima da quelle uscenti. E con equilibri politici sicuramente diversi da quelli maturati nei tre passaggi di governo succedutisi dopo le elezioni generali del 2018.

Sarebbe pertanto logica e utile sul piano politico o istituzionale, e generosa sul piano personale, la disponibilità di Mattarella, oggi mancante ma maturabile, ad una conferma per il tempo necessario all’elezione piena di un successore da parte del Parlamento rivoluzionato dai tagli, peraltro confermati con un referendum. Potrebbe rivelarsi anche più realistica la staffetta ideale evocata da Mattarella nel discorso di ieri fra le vecchie e le nuove generazioni, all’insegna di un ottimismo che potrà forse essere stato avvertito come eccessivo da qualcuno, ma  onestamente dovuto da un presidente della Repubblica. Il quale lo ha felicemente rafforzato con un felice richiamo alla suggestiva poesia “La storia siamo noi” scritta e cantata da Francesco De Gregori. Letta nel suo testo integrale, essa sembra anche spiegare come meglio non si potrebbe la logica della larga ed emergenziale maggioranza di governo voluta da Mattarella mandando Mario Draghi al Quirinale dopo l’esaurimento del secondo governo di Giuseppe Conte, di orientamento opposto al primo.

I nostalgici di Conte al Fatto Quotidiano hanno deciso forse non a caso di ignorare completamente Mattarella e il suo discorso sulla prima pagina di oggi. Dove invece si può trovare un mezzo rimprovero al capo dello Stato di non avere corretto neppure lui, come i suoi predecessori, un comunicato quirinalizio del 1989 su un’udienza al “governatore della Banca d’Italia Carlo Azelio Ciampi”, con la g saltata come nella targa del Largo di Roma predisposta in suo onore sotto la sindacatura dell’uscente e sfortunata Virginia Raggi.

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