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Turchia Siria

Chi sono i partiti che in Turchia vogliono spodestare Erdogan

Tutte le sfide aperte nelle elezioni presidenziali e parlamentari in Turchia. Conversazione con Valeria Giannotta, direttrice scientifica dell’Osservatorio Turchia del Cespi (Centro Studi di Politica Internazionale)

 

Le elezioni presidenziali e parlamentari che terranno domenica in Turchia si configurano anche come un referendum sulle politiche e i risultati raggiunti da un uomo come Erdogan che guida il Paese con pugno di ferro da vent’anni.

Start Magazine ne ha parlato con Valeria Giannotta, direttrice scientifica dell’Osservatorio Turchia del Cespi (Centro Studi di Politica Internazionale) con un passato accademico nelle Università di Istanbul, Gaziantep e Ankara.

I sondaggi ci dicono che in questo momento c’è un vero testa a testa fra Erdogan e il suo sfidante Kemal Kılıçdaroğlu. È così?

Sì, si tratta di un testa a testa e i sondaggi lo confermano, anche se dipende molto dalle testate che li pubblicano. Bisogna anche dire che in Turchia i sondaggi si sono dimostrati molte volte non attendibili; però comunque il sentimento collettivo e i numeri più diffusi parlano di un testa a testa tra i due Alcuni sondaggi danno addirittura per sconfitto Erdogan, altri danno per sconfitto Kılıçdaroğlu.

Una competizione molto serrata, dunque.

Sì, la percezione è che sia una elezione molto sentita. Il desiderio dei turchi, comunque, è che tutto si esaurisca al primo turno, il 14 maggio, in quanto l’aspetto politico in Turchia permea ogni ambito della società e della vita quotidiana, al punto che ogni cosa è rimandata a dopo il 14 maggio. Si sta dunque vivendo un certo stress.

Quindi lei in questo momento non si sbilancerebbe per l’uno o per l’altro candidato.

È da quindici anni che opero in Turchia e per la prima volta non riesco a fare nessun tipo di previsione puntuale. È un quadro talmente composito che è difficile fare una fotografia. Di certo si parla di una scelta tra continuità e rottura.

Una scelta polarizzata dunque.

Sì, da una parte abbiamo Erdogan, che porta con sé una coalizione di partiti conservatori e nazionalisti e dall’altra parte c’è Kılıçdaroğlu, che nasce come segretario del Partito repubblicano del popolo, il Partito più antico della Turchia che nasce sulla tradizione di Mustafa Kemal Atatürk, ed è il leader del cosiddetto Tavolo dei sei.

Sei come i partiti di opposizione che lo compongono. Ci può dire qualcosa di più?

Si tratta di sei partiti le cui frange ideologiche e appartenenze politiche sono per certi versi contrastanti. Abbiamo un partito islamista entrato in alleanza col Partito Repubblicano del Popolo creando una novità nel panorama politico turco. Ci sono poi due partiti conservatori i cui leader sono stati due figure chiave dei precedenti governi di Erdogan. Uno addirittura è considerato l’architetto del miracolo economico turco e il secondo è stato ministro degli esteri e poi primo ministro prima di uscire dalle fila del partito di Erdogan nel 2015. Inoltre c’è un altro partito di nuova formazione, il Partito del Bene, guidato da una donna che ha militato per lungo tempo in politica negli anni Novanta ed è stata anche ministro e proviene dal blocco nazionalista che è oggi al governo con Erdogan. Infine c’è il Partito democratico.

Sei partiti, dunque, il cui collante è mandar via Erdogan.

Sì, nonostante questi partiti siano espressione di tradizioni completamente diverse e se vogliamo incompatibili in situazioni normali, l’obiettivo di un cambio di regime li ha portati a unirsi e a designare Kılıçdaroğlu come leader e candidato a Presidente. Il Tavolo dei sei vuole ripristinare un sistema parlamentare che loro definiscono rafforzato.

E Erdogan come si pone in questa elezione?

Nella sua propaganda politica Erdogan promuove un messaggio di stabilità, puntando sui successi raggiunti dalla Turchia e dal suo partito. Successi dal punto di vista infrastrutturale, dello sviluppo e anche del benessere che soprattutto nei primi mandati è stato garantito ai cittadini turchi e soprattutto alla classe media anatolica, che è stato il motore trainante dei successi di Erdogan.

Facendo riferimento al presente, quali altri successi può vantare Erdogan?

La sua retorica più recente lo vede enfatizzare i risultati raggiunti nel campo della difesa, con l’inaugurazione di fregate militari e la realizzazione di nuovi droni di ultima generazione e di nuovi aerei da combattimento. A questo si aggiunge l’esaltazione della prima macchina elettrica turca e soprattutto della nuova centrale nucleare, sviluppata in consorzio con i russi e diventata operativa giusto la settimana scorsa. E quindi Erdogan sostanzialmente si pone come garante dei successi ottenuti dal suo partito dal 2002 ma fa anche perno sull’idea di una Turchia forte, indipendente rispetto alle potenze occidentali. La sua è un’idea nuova di Turchia, basata su tradizioni conservatrici e sul nazionalismo.

Tuttavia dal punto di vista economico la Turchia negli ultimi tempi è messa abbastanza male.

Sì. ad oggi in Turchia c’è una grossa sofferenza economica, con un tasso di inflazione che ufficialmente è all’80% ma in realtà è oltre il 100%, un generale impoverimento dei turchi con un assottigliamento della classe media e borghese, un vertiginoso innalzamento dei prezzi e soprattutto una costante svalutazione della lira turca sul dollaro e sull’euro.

A tal proposito, Erdogan è stato molto criticato per la sua politica eterodossa di non innalzare i tassi di interesse.

Sì, Erdogan è stato contestato per la sua volontà di intervenire sulle decisioni della Banca centrale e di non voler innalzare i tassi di interesse. Lo ha fatto per motivi sostanzialmente ideologici che da una parte si rifanno all’Islam politico e dall’altra dall’intendimento di non rendere la Turchia succube delle altre potenze. Lui sta proponendo cioè un modello di sviluppo che contraddice il capitalismo occidentale. Tra le altre cose, così facendo, attraverso i bassi tassi di interesse, Erdogan ha puntato a promuovere le esportazioni turche. Queste scelte stanno creando delle gravi criticità in parte contraddette da una crescita economica che rimane solida.

Un altro assillo di Erdogan sono i rifugiati siriani, vero?

Sì. Ad oggi in Turchia sono 4 milioni i rifugiati siriani che noi chiamiamo rifugiati ma in realtà sono persone con lo status di protezione temporanea. A questi tra l’altro si aggiungono i rifugiati di altri Paesi con Afghanistan, Pakistan e Iraq. In Turchia sta succedendo che una sintesi nazionalista, unita alla crisi economica, ha generato delle sacche di malcontento sociale nei confronti di questi rifugiati, Del resto è da più di un decennio che i siriani sono in Turchia, sostenuti con sussidi del governo turco e con aiuti dell’Ue, e questo crea oggettivamente un problema di sostenibilità. La grande questione è dunque quella del rimpatrio volontario dei rifugiati nelle zone di confine ripulite dall’esercito di Ankara, che dipende per certi versi anche dal processo di distensione e normalizzazione avviato con Assad.

Erdogan ha rapporti molto stretti con Putin, con una cooperazione tra Russia e Turchia che spicca ad esempio in campo energetico. Che risultati può vantare Erdogan su questo fronte?

Sicuramente la realizzazione della pipeline Turkstream, il corridoio energetico che convoglia il gas dalla Russia verso la Turchia; e l’obiettivo di Erdogan è quello di ergere il suo Paese ad hub energetico, trasportando poi questo gas verso l’Europa. Già oggi del resto la Turchia si pone come corridoio energetico nel senso che il suo territorio è solcato non solo dalle condutture che arrivano dal Medio Oriente ma anche dal TANAP, quella che dall’Azerbaigian raggiunge la Grecia e poi nell’Adriatico diventa il famoso Tap.

Quindi Putin rappresenta un grande asset per Erdogan.

Certamente e lo possiamo vedere dalle alleanze compartimentalizzate che Erdogan è riuscito a creare con Putin nei diversi scenari regionali, come ad esempio nel Caucaso, nel conflitto tra Armenia e Azerbaigian, in Siria e in Libia. Pur sostenendo gruppi opposti, i due sono riusciti a scendere a termini e a tutelare ognuno i propri interessi, facendo attenzione a non calpestarsi reciprocamente. Tale è la capacità diplomatica di Erdogan di perseguire una vera e propria Realpolitik. Credo soprattutto che il rapporto personale tra i due presidenti abbia prodotto un risultato notevole con la creazione del cosiddetto corridoio del grano mediato da Erdogan tra Ucraina e Russia. Un grande successo che è stato acclamato anche dall’Onu.

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