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Merz

Chi è Merz, il destro della Cdu che Laschet indica come candidato superministro dell’Economia tedesco

Laschet, candidato cancelliere di Cdu e Csu per le elezioni del Bundestag del 26 settembre, ha presentato Merz, esponente della destra della Cdu, come superministro delle Finanze e dell'Economia in caso di vittoria

 

Il presidente dell’Unione cristiana-democratica (Cdu), Armin Laschet, candidato cancelliere del proprio partito e dell’Unione cristiano-sociale (Csu) per le elezioni del Bundestag del 26 settembre prossimo, ha presentato Friedrich Merz, esponente della destra della Cdu, come “superministro” delle Finanze e dell’Economia in un governo federale con la propria guida.

Laschet ha definito Merz, già suo avversario nella corsa alla presidenza della Cdu, “il volto economico e finanziario che plasmera’ anche la politica federale dopo le elezioni”. Il presidente della Cdu ha aggiunto: “Siamo determinati e d’accordo su questo”.

Come nota il quotidiano Handelsblatt, Merz è l’unico rappresentante della Cdu e della Csu a cui Laschet ha promesso un incarico di governo se verrà nominato cancelliere. Questa potrebbe essere presa dalla necessità presidente della Cdu di recuperare consensi, a fronte del suo crollo nei sondaggi a favore del candidato Spd Scholz.

CHI E’ E CHE COSA PENSA MERZ: breve estratto di un articolo di Start quando Merz era candidato alla guida della Cdu

Netta e chiara chiusura a destra, verso ogni possibile collaborazione con Afd, il partito nazionalista (oggi va più di moda il termine sovranista) cresciuto anche sfruttando lo spazio elettorale conservatore, secondo Merz trascurato dalla Cdu merkeliana.

Merz riafferma il corso centrista del partito, assicura di non volerlo spostare a destra di un millimetro, ma semplicemente di volerne ampliare lo spettro, dare voce e spazio anche a quella fascia più conservatrice dell’elettorato che non si è più sentita rappresentata dalla Cdu e che solo essa è in grado di integrare in un processo democratico. Ci siamo accorti – ha aggiunto – che la democrazia in Germania non è così consolidata come credevamo in un’ottica occidentale fino alla riunificazione.

Merz è convinto che al partito serva un profilo chiaro e forte, di nuovo riconoscibile per quello che è e per quello che vuole, con un personale rinnovato che elabori un’idea ben definita del ruolo della Germania nei prossimi anni. Un partito naturalmente pronto ai compromessi ma anche ai conflitti, alle discussioni, al confronto delle idee con alleati e avversari politici. È uno dei tanti punti di rottura con il ventennio di Merkel, forse il più importante: un partito di principi, valori e posizioni riconosciute che siano la bussola delle future politiche e alleanze, non un grande contenitore dai contenuti indefiniti, modellato a seconda delle opportunità contingenti.

È questo il nocciolo del “conservatorismo” di Merz: il ritorno alla politica come riferimento fermo di valori e principi dai quali far scaturire l’azione del partito, non come gestione quotidiana e flessibile dei problemi così come si presentano. Ma che questo modello sia il più adatto ad affrontare le sfide di questi tempi è tutto da dimostrare.

Oltre a doversi scrollare di dosso il marchio di Trump tedesco, Merz deve infatti convincere i delegati del suo partito di non essere un protagonista ormai superato dai tempi, legato a un’idea di politica non più adatta ad affrontare le crisi contemporanee. Per questo parla di Europa e di Usa, di relazioni transatlantiche e di Nato, con accenni diversi rispetto ai millenarismi di Macron: l’elezione di Biden offre agli europei l’opportunità di tornare a discutere di interessi comuni e di rafforzare le nostre istituzioni multilaterali, sostiene Merz, ma la Nato non è morta. Servono grandi riforme e un solido pilastro europeo all’interno dell’Alleanza. Usa ed Europa saranno ancora, e per lungo tempo, reciprocamente dipendenti per le questioni della sicurezza.

Merz parla soprattutto di Cina, “a lungo frequentata negli anni professionali trascorsi fuori dalla politica”. La Cina a lungo sottovalutata. Non si è compresa la rapida dinamica e la natura della sua capacità di innovazione. Non abbiamo capito il modo in cui un partito comunista pianifica le sue strategie innovative. I regimi autoritari hanno dalla loro parte il tempo, programmano a lunga scadenza, non hanno i vincoli dei corti orizzonti elettorali. Le uniche due cose che devono fare sono: mantenere il potere e lasciare all’economia uno spazio libero sufficiente. È quello che Pechino ha fatto, e ora con la Via della Seta srotola davanti all’Europa una strategia globale e imperiale.

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