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Che cosa si sa del summit di Trump alla Casa Bianca sui social media

L'articolo di Andrea Mainardi

 

Alla Casa Bianca ci è arrivata con un vestito da sirenetta patriottica rosso, bianco e blu. Stelle e strisce al top e una vistosa scritta freedom sulla gonna. L’outfit della cantante Joy Villa è piaciuto a Donal Trump: sei fantastica, alzati, le ha detto nell’East Room davanti a quasi duecento influencer dell’alt-right convocati per fare il punto della situazione social in vista delle presidenziali 2020. Villa ha assicurato The Donald: anche a Hollywood hai tanti sostenitori. Poi gongolante ha rilanciato su Instagram e Twitter. Ha digitato: ho ricevuto tanti complimenti, ma anche tanti commenti critici. Agli odiatori dico grazie, vado avanti. Speech non alieno anche in Italia. Bacioni compresi.

UN SUMMIT TRA INFLUENCER

Il summit sui social media che si è svolto l’11 luglio non è che un tempo della partita che Mr Trump gioca contro quella che ritiene una mirata censura nei suoi confronti e dei suoi sostenitori. E – sebbene una lista ufficiale degli invitati non sia stata pubblicata dalla Casa Bianca – è evidente che si trattava di un parterre di attivisti Maga.

NIENTE INVITO PER TWITTER E FACEBOOK

Nessun critico, e nemmeno c’erano i ceo di Google, Twitter, Facebook. Ma un incontro con loro, ha annunciato l’inquilino della White House, sarà organizzato a breve. Intanto, durante il summit, la nemesi: Twitter per circa un’ora è andato in down.

COME TI GOVERNO IN 280 CARATTERI

Che Trump utilizzi Twitter in modo a dir poco intenso è noto. Trascura quello ufficiale da presidente @Potus, in favore di un domestico @realDonaldTrump. Leggendolo, a volte si ha l’impressione che twitti (quasi) sempre personalmente, dallo Studio Ovale o rilassandosi la sera davanti alla Tv – spesso commenta i servizi di Fox News – mangiando l’amato pollo fritto di Kfc. Anche giovedì il summit è stato concentrato nello spazio di prestidigitazioni mattutine cinguettanti il summit. Al termine, una conferenza stampa nel Giardino delle rose dove ha parlato di tutto: censimento in vista negli Usa, politica e commercio globale. Visto il contesto di presunte fake news e troll, ha trovato il tempo di dire dei suoi capelli, rassicurando i supporter che sì, quelli sono proprio veri.

SI CINGUETTA LA CARICA PER IL 2020

Trump ha ringraziato gli ospiti: voleva che sapessero quanto apprezzi il loro lavoro nel contribuire a modellare la narrativa online sulla sua presidenza e nella battaglia per la rielezione. Si è scagliato contro Twitter, lamentando uno sbarramento agli aspiranti follower. Per Cnn, se Trump non sta guadagnando seguaci con la stessa rapidità con cui era abituato, è perché meno persone ora stanno cercando di seguirlo. Ad oggi ha 61,9 milioni di follower su Twitter. Ne aveva meno di 13 milioni prima dell’elezione e meno di 23 al momento del giuramento. Quando Twitter lo scorso anno ha ripulito gli account di personaggi in vista da sospetti bot, Trump ha perso circa 300mila seguaci. Molto meno dei 2 milioni di @BarackObama che, però, di follower ne ha un numero decisamente superiore al successore: ancora veleggia intorno ai 107 milioni.

CONSERVATORI CENSURATI?

Trump e il suo staff sono preoccupati dalla presunta censura social. Incontrando in luglio l’ad di Twitter, Jack Dorsey, ha speso una parte significativa a lamentarsi della perdita di follower. E non per disinteresse, sostiene, ma per purga inflitta dai social politicizzati. In maggio è arrivata la controffensiva: la Casa Bianca ha lanciato un sito dove chiunque sia stato censurato potesse documentarlo: “Troppi americani hanno visto i loro account sospesi, bannati o segnalati fraudolentemente per violazioni non chiare delle politiche degli utenti”, si legge nel sito. Poi l’invito: “A prescindere dal tuo punto di vista, se sospetti che il pregiudizio politico abbia provocato un’azione del genere contro di te, condividi la tua storia con il presidente Trump”. Il sito è già stato chiuso. La Casa Bianca ringrazia: “Abbiamo ricevuto migliaia di risposte”.

DISCUSSIONE APERTA

L’incontro di giovedì si inserisce lungo quella scia, come confermato dal portavoce Judd Deere: “Il presidente vuole impegnarsi direttamente con i leader digitali in una discussione sul potere dei social media”. Ideatore del meeting, Dan Scavino, social media manager di The Donald e già suo golf caddy. “In un momento in cui le piattaforme di social media vietano voci conservatrici e sostenitori del presidente – ha detto Brad Parscale, capo della campagna elettorale 2020 per Trump – è importante che enfatizzi l’impegno di suoi supporter e valorizzi i loro diritti garantiti dal Primo emendamento”.

SIPARIETTO NEL GIARDINO DELLE ROSE

Che anche personaggi pittoreschi si arruolino tra gli influencer di The Donald lo documenta un siparietto andato in scena dopo il summit nel Rose Garden. Protagonista Sebastian Gorka, già consigliere di Trump, che ha dato del “punk” al corrispondente alla Casa Bianca di Playboy (sì: la mitica rivista che da tempo ha allentato lo sguardo sulle nudità femminili ha un corrispondete dalla White House), Brian Karem che, lì per il briefing, aveva definito i supporter del presidente qualcosa come un gruppo di invasati. Il coretto di sostegno “Gorka! Gorka! Gorka!” è stato ripreso e in breve diventato virale sui social.

CHI C’ERA TRA GLI INFLUENCER

Tra i presenti al summit, anche @carpedonktum, sarcastico creatore di meme pro Trump. C’era anche Bill Mitchell, che si diverte a discutere di QAnon, una bizzarra teoria del complotto online molto in voga. E parecchi altri, più o meno discussi. Come Charlie Kirk, il venticinquenne fondatore di Turning Point USA, un gruppo che si rivolge ai giovani conservatori. Kirk – riporta il New York Times – è stato stato criticato dal Southern Poverty Law Center per tweets anti-immigrati o razzisti.

I BANNATI DAI SOCIAL BANNATI DALLA WHITE HOUSE

Forse prudentemente non invitati storici esponenti dell’alt-right. Quelli davvero bannati dai social, come Laura Loomer (attivista trumpiana e anche cospirazionista, tra l’altro) e il controverso Milo Yiannopoulos, già capo redattore del supertrumpiano Breitbart News ai tempi diretto da Steve Bannon, ex stratega della Casa Bianca e oggi mitico autoproclamato (e spesso ascoltato) portabandiera delle destre americane ed europee. Censura o meno: lo scorso anno Wikipedia ha declassato Breitbart News a sito inaffidabile, quindi incitabile se non come fonte di opinioni e commenti.

CHI DI BAN È FERITO, DI BAN PERISCE

Mr President ha il suo bel daffare a rievocare la libertà di parola tutelata dal Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti e a lamentarsi dei social che sospendono o bannano i suoi sostenitori più calorosi. Anche lui lo fa. Alcuni utenti scacciati via da @realDonaldTrump hanno fatto ricorso, sostenendo che un pubblico ufficiale che utilizza un social non può escludere dal dibattito i cittadini che la pensano diversamente. Settimana scorsa, una corte d’appello ha dichiarato che Trump ha violato proprio il Primo emendamento bloccando gli utenti su Twitter.

LE CRITICHE AL SUMMIT

Sul summit di giovedì scorso è arrivata la gragnuola dei critici. Madihha Ahussain, avvocato per i diritti dei musulmani: “Far rispettare gli standard di base della decenza sui social media non è censurare i discorsi conservatori”, ha detto, come riporta il New York Times: “I discorsi di odio sono discorsi di incitamento all’odio, indipendentemente dal fatto che la persona che li ha vomitati abbia in simpatia il presidente”. Thomas Melia, direttore del PEN American Center di Washington, organizzazione senza scopo di lucro che difende la libertà di stampa, ha dichiarato che gli Stati Uniti necessitano di “dialoghi di alto livello” sul ruolo delle società private nella pratica della moderazione dei contenuti e dei termini di redazione delle politiche di servizio. La Casa Bianca, sottolinea, non era il posto giusto per questo, data la lista di ospiti altamente politicizzati che ha escluso voci importanti e incluso “venditori di cospirazioni e fornitori di informazioni false che potrebbero essere considerati come parte del problema”.

CHE FARE DEI SOCIAL NETWORK

Intanto la lotta continua. Tra hate speech e presunte censure, il senatore repubblicano Josh Hawley ha proposto una legge per imporre alle compagnie online di dimostrare la loro neutralità politica. I giganti della tecnologia continuano a negare l’influenza politica sulle decisioni relative ai contenuti. “Le piattaforme online offrono la forma di comunicazione più aperta e accessibile per tutti gli americani”, ha risposto a Politico il portavoce dell’Internet Association, Noah Theran.

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