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Shujun Wang

Che cosa prevede il mini-deal fra America e Cina

Il tweet di Trump. Le indiscrezioni. E lo scenario dopo il mini-deal siglato fra Stati Uniti e Cina. Il Punto di Marco Orioles

La giornata politica di ieri è stata squarciata da un tweet del solito Donald Trump. Solo che, a differenza delle volte precedenti, il cinguettio del presidente non è stato lanciato per inveire contro l’opposizione, i media liberal o qualche leader straniero poco accondiscendente. Stavolta, il profilo Twitter più seguito del mondo è stato usato dal suo titolare, o da chi per lui, per annunciare al mondo la notizia più attesa di questa coda del 2019.

https://twitter.com/realdonaldtrump/status/1205509125788098560?s=21

A poche ore dal giorno – fissato questa domenica – in cui gli Usa avrebbero dovuto introdurre nuovi dazi punitivi nei confronti delle merci cinesi, protraendo una guerra commerciale che in un anno e mezzo ha gettato nella prostrazione i mercati globali e quasi tutti i governi del pianeta, The Donald ha annunciato la pace, vale a dire la firma di un mini-deal con la Cina che sospende, anche se non conclude, il contenzioso sui commerci tra la superpotenza n. 1 e la sua rivale asiatica.

Non sono circolati i dettagli sui termini specifici dell’accordo, che secondo il Rappresentante al Commercio Usa Robert Lightizer sarebbe già “interamente scritto”, dovrebbe essere sottoposto alla firma dei due presidenti nella prima settimana di gennaio – dopo essere stato debitamente trascritto nelle due rispettive lingue – ed entrare in vigore trenta giorni dopo (ma secondo Politico una firma interlocutoria potrebbe essere già apposta domani attraverso la penna dell’inviato di Pechino negli Usa, Cui Tiankai).

Il fitto mistero sui contenuti dell’intesa è stato tuttavia squarciato da una serie di indiscrezioni giornalistiche che ne fanno emergere i punti salienti. Si conferma, anzitutto, che si tratta di un accordo parziale – o, per usare il lessico della Casa Bianca, della “Fase 1” di un deal che risolve alcuni elementi di discordia affidando le questioni irrisolte a ulteriori negoziati da condursi, appunto, nell’ambito di una successiva “Fase 2” (che, come ha spiegato il cinguettio di The Donald, avrà inizio immediatamente).

Come osserva Politico, questo “mini-deal” rispecchia più o meno quanto convenuto tra le parti già lo scorso ottobre, quando ambedue i contendenti si resero conto, dalle rispettive prospettive, che un’intesa risolutiva e definitiva era fuori dalla loro portata. Troppe e stringenti le richieste degli Usa, e troppo alto il prezzo previsto per un regime che, in caso di cedimento, avrebbe di fatto predisposto la propria fine.

È per questo motivo che l’Associated Press rileva come l’accordo raggiunto ieri segni di fatto la rinuncia dell’America a perseguire obiettivi inizialmente considerati irrinunciabili come la fine dei sussidi che Pechino destina ai propri campioni statali, concedendo loro un margine competitivo che distorce i mercati, avvantaggia le merci del Dragone e confisce alla Cina un primato che l’America, giustamente, ritiene fraudolento.

Quanto ai dettagli dell’intesa trapelati alla stampa, tre fonti al corrente del negoziato hanno rivelato a Politico che la Cina è riuscita a convincere la controparte a sotterrare l’ascia di guerra ricorrendo anzitutto all’opzione –  da sempre favorita a Pechino –  di impegnarsi ad acquistare in America di qui a due anni ben 200 miliardi di dollari in beni e servizi, con particolare riguardo ai prodotti agricoli della Farm Belt (cara a Trump) che dovrebbero riversarsi oltreoceano per un ammontare pari a 40 miliardi di dollari (quasi il doppio rispetto al record di 26 miliardi raggiunti prima che iniziasse la contesa).

Si tratta, per Pechino, di adempimenti necessari per soddisfare la priorità n. 1 dell’amministrazione Trump, che sin dal principio della guerra commerciale ha indicato il maxi deficit commerciale con la Cina come il mostro da abbattere. Ebbene, stando alle fonti di Politico, l’accordo tra Washington e Pechino è che il surplus commerciale cinese si riduca al più breve e massicciamente.

Oltre a ciò, la Cina avrebbe deciso di abbattere le barriere tariffarie su una serie di beni made in Usa come le carni, il pollame, il pescato e il cibo per animali. Verrebbero poi rimosse le limitazioni alla proprietà delle imprese attive nel settore finanziario cinese, e adottate nuove misure di tutela di copyright e trademark.

Inoltre, sempre a detta dellAssociated Press, Pechino si sarebbe risolta a porre fine alla pratica – denunciata dall’amministrazione Trump come una delle prove regine della condotta scorretta cinese – di costringere le aziende straniere che investono in Cina a cedere le proprie tecnologie.

Dulcis in fundo, il regime si sarebbe impegnato a gestire in modo più trasparente la propria valuta, venendo così incontro ad una richiesta perentoria della controparte che, come ricordiamo, pochi mesi fa si era spinta a bollare la Cina come “manipolatrice di valuta”.

In cambio di tutto questo, l’amministrazione Trump rinuncia a introdurre – come aveva minacciato di fare questa domenica se non si fossero registrati passi avanti nel negoziato – nuovi dazi sull’ultima tranche di importazioni cinesi, pari a 160 miliardi di dollari, risparmiati finora dai provvedimenti protezionisti del governo. Mossa che farà tirare più di un sospiro di sollievo ai consumatori americani e agli operatori del retail, già rassegnatisi a rincari che avrebbero danneggiato non poco l’economia a stelle e strisce.

In un ulteriore segno di magnanimità, Washington ha accettato anche di dimezzare i dazi esistenti su altri 112 miliardi di dollari di merci cinesi, che dal 15% scendono al 7,5%. Restano in piedi, in questo modo, solo i primi dazi introdotti da Trump l’anno scorso, che colpiscono 250 miliardi di import dalla Cina con un prelievo al 25%.

Per tutta risposta, anche Pechino si è detta pronta a ammorbidire i propri provvedimenti protezionistici, e a rinunciare alle contromisure che aveva già predisposto in caso il governo Usa avesse deciso domenica di procedere con l’introduzione di nuovi dazi.

Non resta, a questo punto, che osservare le odierne reazioni dei mercati ad un accordo che, pur non ponendo fine alla disputa economica più complessa degli ultimi tempi, consentirà agli operatori economici di mezzo mondo di festeggiare più serenamente l’imminente Natale.

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