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Quota 100

Che cosa penso del discorso di Zelensky (e di quello di Draghi). Mentre Salvini arzigogola…

Il discorso di Zelensky, l'intervento di Draghi e il commento di Salvini analizzati da Giuliano Cazzola

 

Mentre ascoltavo alla tv il discorso del presidente Zelensky ho avuto conferma di uno degli ultimi escamotage utilizzati dai “pacefondai pro Putin” allo scopo di trovare argomenti per dissimulare la loro infamia. Hanno scoperto la ‘’guerra della comunicazione’’ come se il leader ucraino e l’assassino del Cremlino fossero impegnati a confrontarsi in un talk show televisivo.

E’ chiaro il motivo del perché si incamminano su di un terreno tanto scivoloso e disonesto. Quando si dice con cinismo che nelle guerre è importante la comunicazione e si aggiunge che, in questa funzione Zelensky ha vinto la battaglia, si lascia intendere che vi è qualcosa di artefatto anche nelle notizie che provengono dall’Ucraina, benché – bontà loro – i ‘’pacefondai’’ non possono non ammettere un dato chiaro ed evidente: piuttosto che informazione quella russa è propaganda dozzinale. E’ negazione della verità, perché sarebbe impossibile vincere la gara convincendo l’opinione pubblica mondiale che i 117 bambini uccisi sarebbero stati dei piccoli nazisti.

Portando, poi, agli estremi la tesi dello scontro tra comunicatori, alcuni parlamentari italiani hanno dichiarato di non partecipare all’evento che il premier ucraino ha svolto, da remoto, nell’Aula di Montecitorio, sostenendo, costoro, che sarebbe stato corretto far parlare anche Putin, ‘’per sentire ambedue le posizioni in campo’’. Ci vuole una bella faccia tosta per spingersi fino a tal punto di ‘’terrapiattismo’’.

Non farebbe meraviglia se si trattasse solo di qualche parlamentare che vanta un curriculum di corbellerie quali: le scie chimiche, il falso allunaggio, il coinvolgimento della Cia nell’assalto alle Twin Towers e quant’altro abbia fatto titolo per essere eletti nell’attuale sciagurata XVIII Legislatura. Salvo poi sperimentare, coerentemente, questo affettato negazionismo in chiave non vax e no pass, fino all’apoteosi del ‘’putinismo reale’’.

Ma a tessere questo inganno si prodigano anche attempati corrispondenti di guerra, come se in Ucraina – una siffatta bufala è apparsa su qualche social – girassero un film e il crollo dei palazzi residenziali e le buche scavate dalle bombe nelle strade fossero effetti speciali. Toni Capuozzo, ad esempio, grande frequentatore di studi televisivi, se la prende con un ministro ucraino perché ha osato dire ‘’vinceremo’’, mentre non sarebbe realistica, a suo avviso, una prospettiva di questo tipo. Come se un ministro che intende incoraggiare un popolo stremato a resistere dovrebbe indicare la via della fuga o della resa.

Quello di Zelensky, alla Camera, è stato un intervento accorato, per nulla retorico, come se fosse intimorito di parlare in quella sede. Ha chiesto aiuto soffermandosi di più sulle sanzioni che sulle armi ed invocando la pace.

Sembrava quasi che volesse rassicurare Salvini, il quale, a conclusione del discorso, ha voluto arzigogolare che apprezza di più il presidente ucraino quando auspica la fine del conflitto e non insiste nel chiedere di essere rifornito di armamenti.

È veramente singolare l’idea che il leader della Lega si è fatto dell’uso legittimo delle armi. Quando era il boss del governo giallo-verde ha preteso una legge grazie alla quale chiunque poteva sparare ai ladruncoli sorpresi di notte a svuotare il pollaio, mentre un popolo aggredito con missili e cannoni dovrebbe limitarsi a manifestare per la pace.

Tornando a Zelensky, forse era stato informato che in Italia esistono maestri di cattivi pensieri che non lo possono soffrire e che lo accusano di essere lui il responsabile della distruzione del suo Paese perché rifiuta di arrendersi.

Addirittura uno dei deputati di L’Alternativa c’è (no, grazie, se la tenga pure lei) ha spiegato la sua assenza in Aula perché non era consentito il contraddittorio.

Per fortuna a risollevare nel medesimo tempo l’onore dell’Italia e l’umore di Zelensky (anche se non siamo sicuri che disponesse nel suo bunker di una traduzione simultanea) ci ha pensato Mario Draghi con un discorso asciutto, ma non elusivo dei punti-chiave di questa fase. Un discorso all’altezza di quello pronunciato al Senato il 17 febbraio dell’anno scorso nel dibattito sulla fiducia al suo governo.

«Vogliamo disegnare – ha detto il premier – un percorso di maggiore vicinanza dell’Ucraina all’Europa: è un processo lungo fatto di riforme necessarie. L’Italia è a fianco dell’Ucraina in questo processo. L’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione europea» ha scandito il premier italiano. E questa è una novità importante, detta in un momento come l’attuale. «Davanti a inciviltà non ci giriamo dall’altra parte» ha assicurato per sottolineare che «Oggi l’Ucraina non difende solo se stessa ma la nostra pace, libertà e sicurezza».

Poi Draghi ha voluto – come si suol dire in proposito – ‘’mettere i piedi nel piatto’’. “La resistenza di Mariupol, Karkhiv, Odessa e di tutti i luoghi su cui si abbatte la ferocia del presidente Putin è eroica”, ha affermato il premier, accompagnato da un lungo applauso dell’emiciclo. “Dobbiamo rispondere con aiuti anche militari alla resistenza”.

Ecco: la parola proibita – armi – è stata pronunciata in quell’Aula sorda e grigia che Benito Mussolini avrebbe potuto trasformare in un bivacco per i suoi manipoli; che Beppe Grillo voleva aprire come una scatola di tonno; che Gianroberto Casaleggio voleva sostituire con la democrazia diretta della rete.

Quell’Aula che al momento opportuno è consapevole di rappresentare la democrazia, il peggiore dei sistemi politici – come disse un grande ‘’resistente’’ all’oppressione – eccezion fatta per tutti gli altri.

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