Travolti dal non insolito destino di vedere ormai la politica narrata a mo’ di telenovela, a uso e consumo dei talk show televisivi, è passato un po’ in secondo piano quel vero e proprio “affondo” fatto sul governo l’altro ieri dal commissario Ue Paolo Gentiloni. “Affondo”, così chiamano attenti osservatori delle cose non solo europee ma anche del Pd la lunga intervista rilasciata dall’ex premier al direttore di Repubblica, Maurizio Molinari. Un “affondo” che, al di là delle stesse intenzioni del commissario Ue, potrebbe essere oggettivamente per questi osservatori esperti di cose piddine persino determinante per un Giuseppe Conte già indebolito dall’offensiva di Matteo Renzi il quale non demorde, anzi rilancia.
Gentiloni, contrariamente al suo stile soft, che gli valse da parte dei suoi a Roma, l’ironico e affettuoso nomignolo di “Er moviola”, va invece giù spedito e lancia un monito netto all’Italia sul Recovery plan: “Si rischia di perdere un appuntamento storico”. E questo se non si mettono subito in moto precisi piani “di esecuzione”. Boccia le politiche da “consensi effimeri” e cita un altro monito lanciato da Mario Draghi. Certamente la cosa, tanto più accompagnata dal nome dell’ex presidente della Bce, proprio quel nome, che, secondo un retroscena sul Giornale di Augusto Minzolini, Renzi sarebbe pronto a fare al capo dello Stato, Sergio Mattarella, in caso di crisi, non può esser suonata per niente musica alle orecchie del premier. Che non a caso ieri, nella consueta conferenza stampa di fine d’anno del governo, anche sulla vicenda vaccini è parso tutto teso a dimostrare che nella Ue non esiste un caso Italia e però ha di fatto ammesso che un problema di stabilità dell’esecutivo esiste quando ha contrattaccato dicendosi pronto a una verifica in parlamento.
Ora, come ha lucidamente notato Stefano Folli, su Repubblica, nessuno può dire, può dimostrare che ci sia un apposito asse tra Gentiloni e lo stesso Renzi, che volle essere sostituito da lui a Palazzo Chigi quando fu sconfitto al referendum. Gentiloni parlava certamente in generale. Ma è un fatto che da settori importanti del Pd siano partiti plausi al commissario Ue. E non c’è dubbio che il Pd oltre al leader di Italia Viva è il vero protagonista determinante dell’esito del processo di crisi di fatto apertosi.
Come finirà difficile prevederlo, ma la turbolenza, come ha osservato il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, sta diventando davvero troppa. Al punto che qualcuno dalle parti del Nazareno ora teme anche il rischio di un governo del Presidente che porti dritti davvero al voto con Conte a capo della coalizione pentapiddina. Ipotesi che aveva già agitato Dario Franceschini e che però turba altri settori del Nazareno. Anche se sembra difficile che si verifichi. Ma questo solo per dire lo stato tutt’altro che rilassato in cui versa la maggioranza.
Grande è la confusione sotto il cielo e la situazione per il Conte-2 però non sembra per niente eccellente. Leggere il tutto come la solita “renzata”, restando ancorati alla fissità di vecchi schemi e narrazioni dal sapore un po’ ideologico, forse non aiuta a capire davvero stavolta cosa sta accadendo. Se non altro per il semplice e brutale fatto, che, come ha già scritto su Start, Francesco Damato, c’è ormai come una legge politica inesorabile in questo duello: più va avanti Conte, più si logora Renzi.
Comunque finirà, è indubbio che la situazione sia molto in movimento in una maggioranza di governo molto divisa e sfilacciata, che poco più di un anno dopo il tanto deriso “Papeete” è arrivata al dunque del vero e proprio limite sul quale nacque :quel tutti contro uno, ovvero Matteo Salvini. Il limite è stato amplificato dal dramma del Covid, evento che non si può ovviamente attribuire al governo.
Ma in tutto questo sorge un dubbio: al centrodestra davvero proprio ora converrebbe andare a quella mozione di sfiducia proposta dalla presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni? Proposta rispetto alla quale, almeno fino a ieri sera, c’è stato silenzio da parte di Lega e di Forza Italia. E che, come ha fatto notare ieri in un tweet una vecchia “volpe” della politica craxiana, Donato Robilotta, rischierebbe di avere un effetto boomerang ricompattando la sfilacciata maggioranza pentapiddina, con un premier stretto tra Renzi e Bruxelles. E questo proprio mentre in una situazione del genere il centrodestra invece potrebbe inserirsi per trovare un varco che lo porti a contare e non fare tappezzeria sull’elezione nel 2022 del capo dello Stato. Cosa che non è sfuggita a Silvio Berlusconi il quale intende stare al tavolo della più importante delle battaglie in politica.
In fondo è proprio questa, cioè l’elezione di un capo dello Stato sempre di area di centrosinistra, la vera ragione per la quale la sinistra pentapiddina fece il governo del tutti contro uno, che in realtà era contro tutti i tre dell’opposizione.