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Che cosa (non) ha ottenuto Conte da Eurogruppo, Sanchez e Rutte

Come è andato il tour europeo di Giuseppe Conte per cementare le alleanze in vista del Consiglio europeo del 17-18 luglio? Il commento di Daniele Capezzone per il quotidiano La Verità

Il primo obiettivo era convincere Portogallo e Spagna a richiedere il Mes, per far ingoiare il boccone amaro ai grillini con l’argomento che l’Italia non sarebbe stata la sola a ricorrere al Fondo.

Risultato? Lisbona non ci pensa. Quanto a Madrid, il premier Pedro Sanchez si è perfino tolto il doppio sfizio di umiliare il nostro premier. Prima ha rilasciato una secca intervista al Corriere della Sera in cui ha fatto capire subito che aria tirava: “La Spagna ha un accesso adeguato al credito, quindi per ora non vediamo la necessità di ricorrere al Mes”. Poi, più o meno consapevolmente, ha addirittura mortificato Conte in conferenza, guardandolo e scandendo: “Per quanto riguarda il Mes, non ha nessun senso creare strumenti e poi aver vergogna di usarli”. Come dire: se l’Italia vuole usarlo, non cerchi compagnie, lo faccia e basta. Mentre il povero Conte, imbarazzatissimo, iniziava a capire la portata del suo isolamento.

Il secondo obiettivo della missione era quello di sostenere la candidata spagnola alla guida dell’Eurogruppo: si trattava di Nadia Calvino, supportata anche da Francia e Germania, almeno in prima battuta, e che però è stata battuta dall’irlandese Pascal Donohoe. Doppio segnale negativo per Conte, geografico e politico: i nordici e i rigoristi sono numericamente prevalenti e non si fanno imporre niente da nessuno.

La terza missione era la più difficile: convincere il premier olandese Mark Rutte a un atteggiamento più morbido sul Recovery Fund. Il risultato è stato catastrofico. Nessun passo indietro dell’Olanda, retroscena devastanti sulla riforma delle pensioni (come se toccasse a Rutte porre mano alle misure previdenziali italiane), e dichiarazioni finali disarmanti di Conte. Pure il body language tradiva la difficoltà del premier italiano: pallido, a tratti quasi tremante, lontanissimo dal Conte piacione abituato a imperversare in conferenza stampa, l’avvocato aveva l’aspetto del pugile che ha preso diversi colpi più del previsto. E le parole del premier hanno confermato la sensazione: “Ovviamente non posso dire che ci sia una piena convergenza. C’è convergenza sul fatto che ci debba essere una risposta europea. Ci sono ancora alcune divergenze…Siamo rimasti che rimarremo in contatto in modo da coordinare meglio i nostri sforzi. E poi l’ammissione più dolorosa: “Dobbiamo fare in modo che questo Recovery Fund sia effettivo, reale, alla portata dei paesi che ne hanno bisogno. Se lo infittissimo di condizionamenti, potrebbe diventare inefficace”.

La verità è che il teatro europeo è difficile da calcare, e Conte ha gravemente sottovalutato le insidie. Ha pensato di cavarsela con la furbizia, evitando una risoluzione parlamentare prima degli ultimi due Consigli. E invece sarebbe stato saggio (non ora, cioè all’ultimo momento, ma già molti mesi fa) avere un ancoraggio parlamentare forte, coinvolgere l’opposizione in modo sincero e con autentica attenzione all’interesse nazionale, fissare dei paletti negoziali invalicabili. In questo modo, in sede Ue, davanti a una proposta negativa per l’Italia, Conte avrebbe potuto dire: “Questo non posso accettarlo. Il Parlamento, maggioranza e opposizione, non mi consente di accettare condizioni negative per il mio paese”. E invece Conte andrà all’ultimo scontro solo e disarmato.

(Estratto di un articolo pubblicato dal quotidiano La Verità il 12 luglio 2020)

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