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Che cosa farà la Corte costituzionale tedesca sul Recovery Plan

Karlsruhe torna a bussare alla porta dell’Ue per il Recovery Plan: guai in vista? L'approfondimento di Gian Luigi Tosato, professore di Diritto dell’Ue, tratto da Affari Internazionali

Non è una novità quella che ora si prospetta. Gli interventi della Corte costituzionale tedesca hanno segnato un serie di snodi del processo di integrazione europea: il Trattato di Maastricht (1993), gli aiuti alla Grecia (2011), la creazione del Meccanismo europeo di stabilità (2012), il programma Omt (2016), il Quantitative Easing (2020).

Ogni volta le pronunce di Karlsruhe hanno suscitato apprensione. Si è temuto che esse potessero assestare un duro colpo ai progressi dell’Europa. Per la verità, questo non si è verificato: sia pure con una serie di distinguo e di riserve – qualche volta anche spiacevoli, come la recente censura alla Corte di giustizia – la Corte tedesca ha finito per dare il via libera alle misure europee contestate.

Ora è di scena la Decisione sulle risorse proprie (Ord) adottata dal Consiglio il 14 dicembre 2020. Inutile richiamare l’importanza di questo provvedimento, che contiene fra l’altro l’autorizzazione alla Commissione di emettere 750 miliardi di debito pubblico europeo. È su questo strumento che si fonda il Next Generation EU (Ngeu), e la sua componente essenziale, la Recovery and Resilience Facility (Rrf), il dispositivo su cui si basano le aspettative di ripresa degli Stati membri, specie dei più deboli (leggi anche l’Italia), per far fronte agli effetti devastanti della pandemia.

La Decisione sulle risorse proprie trova la sua base giuridica nell’art. 311 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue). Questa norma stabilisce, al 1° comma, che l’Unione si dota dei mezzi necessari ai suoi fini; al 2° comma, prevede che il bilancio dell’Unione, fatte salve altre entrate, si finanzia integralmente con risorse proprie; infine, al 3° comma, regola la procedura per l’adozione e l’entrata in vigore della Decisione. In particolare è previsto che non basta l’approvazione unanime del Consiglio, previa consultazione del Parlamento europeo; è necessaria altresì la ratifica di tutti gli Stati membri secondo le rispettive regole interne.

E qui entra in scena la Corte tedesca. La Decisione, completato regolarmente il suo iter europeo (consultazione del Parlamento, approvazione del Consiglio all’unanimità), è passata alla ratifica degli Stati membri. In 16 la hanno già effettuata (compresa l’Italia), e anche in Germania i due rami parlamentari del Bundestag e del Bundesrat si sono pronunciati a favore a larga maggioranza. Mancava solo l’approvazione definitiva del presidente della Repubblica federale, ma questa è stata momentaneamente bloccata dalla decisione dei giudici di Karlsruhe del 26 marzo scorso.

La decisione in discorso trae origine da un ricorso presentato da un folto gruppo di cittadini tedeschi, guidati da Bernd Lucke, un politico ed economista tedesco, già esponente dell’estrema destra di Alternative für Deutschland al Parlamento europeo. Come è noto, il sistema tedesco, diversamente da quello italiano, ammette un accesso diretto dei singoli alla Corte costituzionale. I ricorrenti chiedono che la Corte riconosca l’illegittimità della Ord e ne blocchi in via cautelare la ratifica in Germania.

Su quali argomenti si basi l’impugnativa, non è dato sapere con precisione. Non lo si può desumere dall’ordinanza della Corte, che – in ragione della sua natura – è priva di motivazione. Indicazioni abbastanza fondate si possono tuttavia trarre dalle posizioni assunte da Bernd Lucke  in sede parlamentare europea e da quanto riferito da chi probabilmente ha avuto accesso ai testi del ricorso.

A quanto sembra, la Ord è contestata sotto il profilo del mancato rispetto del principio di attribuzione (Ultra-vires Kontrol) e di quello della lesione di fondamentali principi della costituzione tedesca (Verfassungsidentitat Kontrol). Sono due critiche ricorrenti nelle impugnative di atti europei davanti alla Corte.

Nel nostro caso, sotto il primo profilo si lamenta che la Ord sarebbe andata al di là delle attribuzioni conferite dall’art. 311 Tfue.  La ragione viene individuata nel fatto che questa norma autorizzerebbe il Consiglio a decidere unicamente in ordine a risorse proprie. Tali non sarebbero viceversa quelle che derivano dal ricavato di prestiti obbligazionari dell’Unione, da considerarsi risorse altrui. In altre parole, non si dovrebbe fare confusione fra Eigenmittel (consentite) e Fremdenmittel (vietate).

Quanto al secondo profilo, sarebbe compromesso il diritto sovrano del Parlamento tedesco sul bilancio nazionale; questo si troverebbe esposto a passività decise autonomamente dalla Commissione e da cui potrebbero derivare aggravi per i contribuenti tedeschi fino a 750 miliardi di euro. Di qui la lamentata lesione dell’identità costituzionale del Paese.

È bene subito precisare che la decisione della Corte del 26 marzo non prende minimamente in considerazione questi argomenti. Infatti, essa non si pronuncia né sul ricorso principale di costituzionalità (che richiede altri tempi), ma nemmeno sulla richiesta di misura cautelare (einstweiligen Anordnung). Essa adotta un provvedimento da essa stessa qualificato come Hängebescluss. È uno strumento previsto nel sistema tedesco (non mi risulta in quello italiano) in funzione anticipatrice di quello cautelare e finalizzato a non vanificarne gli effetti: una sorta di di pre-pre decisione nel merito.

Non è questa la sede per valutare nel merito le questioni sollevate dai ricorrenti. A prima vista sembrano superabili e, in gran parte, già esaminate e superate (sia pure – lo si è già detto – con qualche riserva) dagli stessi giudici di Karlsruhe. La Commissione europea si è subito dichiarata convinta che la Decisione sulle risorse proprie si avvale di solide basi giuridiche. Bene così: resta il problema dei tempi. La ratifica tedesca è per ora bloccata. Speriamo che anche sotto la pressione dell’opinione pubblica europea la Corte tedesca si pronunci quanto prima e nel senso auspicato. Ne va del tempestivo e tanto atteso avvio degli esborsi di Next Generation EU.

 

Articolo tratto da Affari Internazionali, qui la versione integrale. 

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