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Che cosa dice (e non dice) Tria sul Mes. L’approfondimento di Liturri

L'intervento dell'ex ministro dell'Economia, Giovanni Tria, sul Mes analizzato dall'editorialista Giuseppe Liturri

Sulla vicenda dell’iter di approvazione del Meccanismo Europeo di Stabilità e del merito delle modifiche apportate (due problemi diversi da tenere distinti) è finalmente arrivata ieri sul Sole 24 Ore la voce di uno dei due protagonisti: l’ex Ministro dell’Economia Giovanni Tria. Conosceremo invece lunedì 2 dicembre in Parlamento il pensiero dell’altro protagonista: l’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte.

Giova premettere che il primo è stato protagonista delle sedute dell’Eurogruppo (organo informale che riunisce i ministri dell’economia dei paesi dell’eurozona) che ha negoziato e preparato la bozza del Trattato che riforma il MES, il secondo ha partecipato al Vertice dei capi di Governo dell’areo euro (Eurosummit) che ha approvato il lavoro dell’Eurogruppo ed ha fornito indicazioni sul prosieguo dei lavori.

Insomma, Tria appare la figura più adatta a farci capire cosa è accaduto, senza dimenticare che non può non parlare ‘pro domo sua’, come vedremo in seguito.

Tria comincia sostenendo che le sue iniziali perplessità, manifestate all’assemblea dell’ABI del 10 luglio 2018, furono del tutto superate dalla bozza di Trattato licenziata dall’Eurogruppo del 13 giugno 2019, poi approvata dall’Eurosummit del 21 giugno 2019.

Ebbene, un anno dopo, nel testo della bozza di revisione del trattato del MES sottoposto al giudizio del Summit dei capi di stato e di governo il 21 giugno 2019, che peraltro rappresentava la traduzione nel testo normativo di accordi già presi a dicembre 2018, non erano più presenti gli elementi critici che avevo evidenziato circa un anno prima. Si trattava del risultato di un negoziato impegnativo condotto con fermezza dall’Italia, su alcuni temi appoggiata da altri paesi e anche dalla Commissione, negoziato che ha condotto al prevalere di una posizione più equilibrata e razionale in cui le “linee rosse” poste dall’Italia non sono state valicate...”.

Le ‘linee rosse’ indicate da Tria probabilmente si riferiscono all’aver scongiurato l’automatismo della ristrutturazione del debito in caso di richiesta di aiuto. Come dire che è meglio, per essere condotti al patibolo, il rispetto di regole che ti penalizzano ex-ante anziché l’esecuzione immediata. Ma in questo passaggio emerge in tutta la sua gravità la probabile violazione dell’art. 5 della Legge 234 del 2012. Da chi ha ricevuto quelle ‘linee rosse’ Tria, dov’è l’atto di indirizzo parlamentare, da rispettare nei negoziati, prescritto dalla legge?

Il Summit prese atto delle revisioni proposte al Trattato e invitò l’Eurogruppo, di cui fanno parte i ministri delle finanze, a continuare i lavori per arrivare a un testo finale da porre in approvazione entro il dicembre dell’anno in corso, da sottoporre successivamente alla ratifica dei singoli Parlamenti dei paesi europei a cui spetta la parola definitiva”.

Tria si trincea dietro l’atto di ratifica, facendo finta di non sapere che la ratifica è l’atto finale, meramente formale, di un processo in cui il Parlamento deve essere coinvolto dall’inizio. L’ha fatto? Davvero crede che il Parlamento possa esprimersi solo alla fine, quando l’eventuale diniego costituirebbe chiara sconfessione dell’operato del Governo, oltre a provocare una crisi nei rapporti con gli altri paesi dell’eurozona, come ci ha ricordato, con tono minaccioso, anche Gualtieri in audizione al Senato?

Lo “statement” del Summit precisava, peraltro, che, come richiesto dall’Italia, nei mesi successivi si sarebbe dovuto proseguire nei negoziati seguendo un approccio complessivo in una logica di “pacchetto” con riferimento ai tre ambiti delineati nel dicembre precedente – revisione del Trattato MES, introduzione dello strumento di bilancio per la competitività e convergenza (cd. Budget dell’Area Euro) e l’Unione bancaria, inclusa l’assicurazione europea sui depositi (EDIS). In altri termini si richiedeva che l’accordo finale dovesse riguardare il “pacchetto” nel suo insieme. Ho l’impressione che i negoziati non siano avanzati di molto in questi altri ambiti. Tutto ciò è noto, così come da tempo è noto il testo di cui si discute in quanto pubblicato molti mesi fa”.

Ecco uno dei passaggi fondamentali. Le cose stanno esattamente in questo modo. L’approvazione da parte italiana deve riguardare necessariamente l’intero pacchetto. Tria stesso ammette che il pacchetto è tuttora in alto mare e quindi all’Eurosummit di dicembre non ci potrà essere alcun accordo finale, per ‘la contraddizion che nol consente’. Se Conte prendesse decisioni in senso diverso, verrebbe clamorosamente meno all’impegno preso a giugno scorso col Parlamento.

A mio avviso, peraltro, il testo di cui si parla non contraddice le indicazioni di indirizzo al governo contenute nella risoluzione del Parlamento italiano sulla conduzione del negoziato, risoluzione approvata alcuni giorni prima del Summit del 21 giugno, ma successivamente alla riunione dell’Eurogruppo in cui si definì il testo da sottoporre al giudizio del Summit stesso”.

Qui siamo al corto circuito. Infatti Tria si riferisce alla risoluzione del 19 giugno. Ma quella risoluzione, come lui stesso ammette, non si riferiva alla ‘conduzione del negoziato’ (già concluso il 13) ma alla sua approvazione del 21 giugno. Vuole forse Tria sostenere che nel negoziato concluso il 13, lui conoscesse già le indicazioni di indirizzo approvate il 19? E come, è un forse un preveggente? O forse ce le aveva scritte su un foglio di appunti ripiegato nella tasca? Non avrebbe dovuto formalmente richiederle al Parlamento PRIMA del 13 giugno?

Entrando nel merito della bozza di testo approvato, va ricordato che la revisione del Trattato MES era richiesta essenzialmente per istituire il meccanismo di supporto comune (common backstop) al Fondo di risoluzione unico per le banche, che era stato concordato già nel 2013 al fine di integrare le risorse del Fondo stesso in caso di insufficienza di risorse nell’eventualità di una crisi bancaria di dimensioni rilevanti. A fronte di questa decisione, considerata da vari paesi come parte di un percorso di “condivisione dei rischi” oltre che di garanzia per la stabilità finanziaria europea, furono avanzate proposte di revisione di alcune parti del trattato MES presentate come compensative dal lato della “riduzione dei rischi”. In realtà queste proposte erano inaccettabili essenzialmente perché avrebbero aumentato la percezione di rischio dei debiti sovrani e, quindi, avrebbero contraddetto la motivazione stessa che aveva condotto alla istituzione del MES come meccanismo in grado di stabilizzare i mercati. Queste proposte sono completamente sparite dalla bozza di revisione del Trattato. Come è stato ugualmente eliminato il tentativo iniziale di sovrapporre le competenze del Mes, istituzione intergovernativa, alle competenze di coordinamento delle politiche economiche e di valutazione della sostenibilità dei debiti pubblici che sono propri della Commissione, la quale agisce come organo politico”.

Tria non dice che la ‘percezione di rischio dei debiti sovrani’ non è sparita affatto. Anzi, avendo eliminato l’automatismo della ristrutturazione, sono resi noti ex-ante i parametri per valutare l’ammissibilità agli aiuti finanziari. E questo significa invitare a nozze gli investitori che volessero speculare al ribasso sui nostri titoli, a cui è stata pure tolta l’incertezza su quanto potrebbe accadere. È stato tutto codificato, ristrutturazione compresa e clausole per attivarla (le famigerate CAC). È come un’attestazione ufficiale di rischio rilasciata dall’assicurazione, che può non portare all’aumento del premio ed al peggioramento delle aspettative.

Al MES viene solo concesso di svolgere un’attività di valutazione in supporto alla Commissione ai fini della valutazione della capacità di restituzione dei prestiti ottenuti dallo stato richiedente. Ciò a garanzia dei creditori, che sono gli stati membri che forniscono le risorse e che garantiscono collettivamente per lo stato in difficoltà che ricorra al sostegno del MES. D’altra parte, un compito di valutazione della sostenibilità del debito era già presente nel Trattato in vigore e questo principio è stato ribadito tenendo ferma la necessità di un adeguato margine di giudizio”.

Anche qui Tria presenta, con inusitata leggerezza, un fatto molto grave. Alla fine l’ultima parola sulla capacità di rimborso dei prestiti spetta al MES, che lo farà ‘nella prospettiva di un creditore’. Ragionando come una banca, non come un soggetto politico.

Modifiche al Trattato esistente riguardano, in misura limitata, le condizioni di concessione delle linee di credito “precauzionali” già previste nel Trattato vigente per i paesi in situazione economica e finanziaria particolarmente solida che debbano fronteggiare shock temporanei. La revisione riguarda una maggiore rapidità di accesso allo strumento ma un maggior controllo dei requisiti di accesso”.

È la parte più grave della riforma del MES. Liquidata in quattro righe. I ‘requisiti di accesso’ sono le condizionalità note ex-ante di cui ho scritto prima, che ci vedono esclusi a priori e che rischiano di ingenerare una ‘spirale perversa di profezie autoavveranti’, giusto per restare alle parole del governatore Visco.

Primo, l’Italia non deve ricorrere al meccanismo salva-stati: il nostro debito è perfettamente sostenibile e non è lontanamente ipotizzabile la possibilità di una sua ristrutturazione. Aver ottenuto che non si parli di procedure di ristrutturazione di debiti sovrani significa semplicemente che è prevalso il buon senso, poiché sarebbe contraddittorio creare dubbi nei mercati quando si istituisce un meccanismo diretto a tranquillizzare i mercati stessi. Smettiamola di dire che il meccanismo salva Stati parla di noi”.

Qui Tria fa finta di non sapere (perché ovviamente lo sa) che i ‘dubbi nei mercati’ li crea proprio il MES con la condizionalità precodificata di cui si è scritto prima.

Secondo, l’Italia ha già contribuito in misura proporzionale al proprio peso economico, e quindi in modo rilevante, a salvare altri stati (Irlanda, Portogallo, Spagna, Cipro, Grecia) sia mediante il il MES, sia mediante i precedenti strumenti di intervento (ESFS e EFSM), ma non è affatto prevedibile che essa debba ricorrervi. Vorrei ricordare che attualmente il mercato accetta tassi negativi per acquistare il nostro debito. In ogni caso penso che non sia sbagliato che il MES utilizzi in modo oculato le risorse che gli stati membri, tra cui l’Italia, mettono a disposizione per stabilizzare i mercati”.

Passaggio sibillino e preoccupante. Da un lato ammette la beffa: paghiamo per una cosa che non ci servirà mai. Dall’altro ammette l’implicita instabilità dei mercati che hanno bisogno quindi dell’intervento stabilizzatore del MES. Un inestricabile corto circuito logico. A questo proposito, giova ricordare che una banca come JP Morgan ha attivi di bilancio per 2.600 miliardi e mezzi propri per 260 miliardi. È probabile che la potenza di fuoco del MES potrebbe avere scarsa efficacia di fronte a tali cifre? Chi specula al ribasso e conosce pure l’ammontare delle munizioni del difensore forse parte con un discreto vantaggio?

Terzo, il trattato Mes, sia quello vigente sia quello eventualmente revisionato, è frutto di un accordo e non risponde quindi pienamente ai desideri di nessuno dei singoli sottoscrittori. Si tratta sempre di trovare una soluzione nell’interesse comune, con l’alternativa di tirarsi fuori dalle istituzioni comunitarie. Ma allora lo si deve dire apertamente, analizzandone bene le conseguenze. Vi è a tal proposito da ricordare che, oltre ai buoni argomenti, in un negoziato conta la forza contrattuale. Nell’autunno del 2018, nonostante gli avvertimenti, l’Italia attraversava una situazione complessa con i mercati finanziari che scontavano un pericolo, del tutto inesistente ma avallato da alcune esternazioni improvvide, di intenzioni di uscita dall’Unione monetaria. Il negoziato riuscì ugualmente per i buoni argomenti, superando il pericolo di totale isolamento che avrebbe avuto ripercussioni negative sui mercati”.

Qui abbiamo la confessione, come al solito inframmezzata dalla leggenda metropolitana dell’uscita dall’euro ‘nell’autunno 2018’. Da un lato confessa per l’ennesima volta di aver condotto un negoziato senza preventivo atto di indirizzo parlamentare; dall’altro confessa che fu condotto sotto la minaccia dello spread, di certo non attribuibile a dichiarazioni manipolate e montate ad arte ma ad una precisa azione della Commissione UE finalizzata a contrastare un governo politicamente non gradito. Sono ormai fatti che risultano agli atti. Tria conferma l’ipotesi del ricatto, attribuendone la causa a fatti inesistenti. Anzi, dopo la nascita del Governo, gli esponenti leghisti più euroscettici hanno sempre sostenuto che il tema non era all’ordine del giorno perché non c’era la maggioranza politica e non era nel programma.

Quarto. L’Italia, dopo la recuperata fiducia dei mercati conseguente all’aggiustamento strutturale di bilancio effettuato in luglio, si è trovata in posizioni di maggior forza per affrontare il prosieguo dei negoziati sugli altri punti cruciali del pacchetto di riforme, quale quello, inaccettabile, del tentativo di introdurre una valutazione di rischio sui titoli sovrani detenuti dalle banche. Sarebbe quindi bene concentrarsi su questa ulteriore fase dei negoziati. Tuttavia, qualunque sia la decisione che verrà presa nella libera determinazione di governo e Parlamento, penso che senso di responsabilità dovrebbe sconsigliare di creare allarmismi infondati con un dibattito che, mentre si negozia duramente per evitare che si creino percezioni distorte sui rischi sovrani, rischia di innescare proprio quella percezione fuorviante che si vuole evitare. Si tratta di una trappola in cui sembrano cadere anche commentatori in genere avvertiti”.

Qui Tria ricorda che la partita è ancora aperta. Perché nel pacchetto è compreso anche il tema sulla garanzia comune sui depositi bancari (terzo pilastro dell’unione bancaria). Ma dimentica di dire che ciò che ritiene ‘inaccettabile’ è invece condizione ‘sine qua non’ posta dalla Germania, come da ultimo ribadito dal ministro tedesco Scholz. Ed allora, poiché lo stallo è già nei fatti, perché non afferma che la ratifica del MES deve essere bloccata proprio perché il pacchetto non esiste più (o forse non è mai esistito).

Perché invoca ‘una libera determinazione del Parlamento’ che invece dovrebbe essere sospesa fino al completamento del pacchetto? Ed arriva finanche a minacciare ‘cose spiacevoli’ nel caso essa non avvenga? Sono irresponsabili coloro che si oppongono o coloro che spingono per l’approvazione senza preoccuparsi della perdita di potere contrattuale nel negoziato sull’unione bancaria?

Vorrei, infine, far notare che il consenso manifestato dal Summit di giugno sul testo di accordo sul MES non ha provocato alcun effetto sul mercato dei titoli sovrani i quali, in Italia, proprio in luglio hanno visto al contrario un ritorno di domanda estera e una caduta dello spread rispetto ai titoli tedeschi”.

Questa è la perla finale. Secondo Tria il MES non ha effetto destabilizzante perché a giugno non è accaduto nulla sui mercati. Come se ci fosse un rapporto di causa-effetto immediato ed invece il MES non inoculi, in modo strutturale, in circolo il virus del rischio e dell’instabilità del nostro debito pubblico che deve solo trovare la prima occasione per esplodere in tutta la sua pericolosità.

I mercati sono miopi, da vicino ci vedono benissimo.

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