Settimana interessante, quella appena trascorsa sul fronte delle novità relative all’(eterno) cantiere delle riforme per la definitiva (vaste programme!) eliminazione delle cause di vulnerabilità dell’eurozona.
È stato un crescendo. Il ‘la’ è stato dato martedì 5 dal ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz che, sul Financial Times, ha presentato con grande enfasi la necessità di sbloccare lo stallo riguardante il completamento dell’unione bancaria. In particolare, la sua terza gamba (dove la prima è la vigilanza sulle banche e la seconda è il meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie) e cioè lo schema unico di garanzia dei depositi bancari.
In sintesi, la proposta di Scholz si articola in 4 parti:
- la definizione di norme comuni per la gestione dell’insolvenza delle banche, anche di quelle meno rilevanti, oggi soggette alle regole nazionali.
- la riduzione dei rischi nei bilanci delle banche, partendo dalla riduzione dei prestiti in sofferenza per giungere alla riduzione del rischio connesso ai titoli pubblici in portafoglio, che non devono essere considerati privi di rischio e generare quindi adeguati accantonamenti ed assorbimenti di capitale.
- Solo a questo punto, la Germania potrà reggere il non facile sacrificio di consentire che i depositi delle banche dell’eurozona siano garantiti attraverso un meccanismo basato su 3 livelli: in caso di insolvenza i depositi sono garantiti dapprima dal fondo di garanzia nazionale; se questo si rivelasse incapiente, soccorrerebbe il fondo di garanzia dell’eurozona con dei prestiti; un eventuale ulteriore fabbisogno sarebbe infine soddisfatto dai governi nazionali. Sarebbe inoltre prevista la possibilità di limitate perdite anche da parte del fondo europeo di garanzia.
- Come ciliegina finale, Scholz aggiunge pure l’armonizzazione della tassazione societaria all’interno dell’eurozona.
Le reazioni non si sono fatte attendere. E sorprende il fatto che caute prese di distanza siano arrivate anche dal suo stesso Paese. È stato fatto notare che tale piano era una sua personale iniziativa non coordinata con la cancelleria Merkel e che non è ancora dato sapere se quest’ultima appoggerà tale piano. In Germania si sono levate numerose voci ispirate alla cautela, se non all’aperto scetticismo, verso la proposta. È infatti noto ed atavico il timore tedesco per la condivisione, a carico del contribuente tedesco, di rischi finanziari di altri sistemi bancari. “È materia esplosiva” è stato il commento di un alto funzionario UE.
Non sono state necessarie accurate analisi per capire che il principale Paese danneggiato dalle condizioni poste da Scholz sarebbe proprio l’Italia, come prontamente fatto notare da un successivo articolo del Financial Times. L’imposizione di pesanti condizioni su Paesi potenziali portatori di rischi finanziari come l’Italia costituisce la ‘libbra di carne’ data in pasto da Scholz all’opposizione interna che vede come fumo negli occhi la condivisione dei rischi non preceduta da una loro riduzione e, più specificamente, non vede di buon occhio la messa in discussione dell’autonomia delle potenti Sparkassen, dotate di un proprio autonomo fondo di garanzia.
Non ha mancato di far sentire la propria voce anche il ministro Gualtieri che ha sottolineato l’impatto distruttivo per l’Italia delle condizioni poste da Scholz in tema di riduzione dei rischi.
Ma allora, se quanto proposto da Scholz non si discosta molto da quanto da sempre sostenuto dal suo predecessore Wolfgang Schauble a proposito della necessità di una preventiva riduzione dei rischi dei sistemi bancari più vulnerabili, e le condizioni poste dallo stesso ministro sono state giudicate pericolose ed al limite della provocazione da numerosi commentatori, qual è il motivo di tale proposta e, soprattutto, perché ora?
La risposta è giunta a stretto giro, con un editoriale sempre sul FT che, senza tanti giri di parole, ipotizzava che esiste un motivo non confessabile per il quale Scholz ha deciso di avanzare la sua proposta: il Paese che avrebbe più vantaggi dal completamento dell’unione bancaria sarebbe proprio la Germania ed il suo debole sistema bancario. In particolare, la cruda verità, che i tedeschi non ammetteranno mai per non incrinare l’immagine di apparente solidità delle loro banche, è che i due giganti dai piedi d’argilla Deutsche Bank e Commerz Bank hanno bisogno di sistemare i loro problemi attraverso fusioni transfrontaliere che, per avere piena efficacia, richiedono una unione bancaria completa.
A completare, il quadro è arrivato anche l’editoriale di Munchau che invita a diffidare della proposta di Scholz, ne rivela la sostanziale conformità rispetto a quanto sempre sostenuto da Schauble, e la giustifica alla luce della corsa alla leadership della SPD. Scholz sta cercando di conquistare posizioni in vista della scelta, prevista per fine mese, del leader del partito. Ma, secondo Munchau, c’è poco da attendersi nel breve termine, è sola tattica a fini interni. Anzi, è più probabile che, per vedere alcuni passi avanti dei tedeschi verso l’espansione fiscale e il completamento dell’unione bancaria, si debba attendere la sua sconfitta nella corsa al vertice del SPD e l’avvento al governo dei Verdi.
Allora? Tanto rumore per nulla? Non proprio.
L’uscita di Scholz dovrebbe avere il significato di un’apertura di trattativa e quindi la presentazione della posizione negoziale tedesca, offerta come una gentile concessione rispetto ad una precedente totale chiusura sul tema. E questo, visti i precedenti come la sciagurata negoziazione di fine 2013 sul bail-in, ci deve preoccupare. Ricordiamo ancora la testimonianza resa a dicembre 2017 dall’ex ministro Saccomanni davanti alla commissione d’inchiesta sulle banche, e la descrizione del clima di sostanziale ricatto nei confronti dell’Italia. Bisognava fare presto nell’approvare il bail-in e, se l’Italia si fosse opposta, quella opposizione sarebbe stata interpretata dai mercati come segno di vulnerabilità e debolezza (rectius: sarebbe stata suggerita ai mercati tale interpretazione).
Ricordando tale infausto precedente, l’apertura di una negoziazione con condizioni per noi semplicemente irricevibili e non negoziabili, significa preludere a un cedimento su quei punti o su altri punti (vedi il fondo salva Stati, ESM, per il quale il prof. Giampaolo Galli ha egregiamente illustrato una situazione molto pericolosa per noi) in una logica di pacchetto.
A questo punto, dopo che sono stati necessari 14 anni per capire che l’eurozona non poteva reggere senza un’unione bancaria (correndo a mettere in piedi in fretta e furia una vigilanza comune e regole comuni di risoluzione delle crisi bancarie) apprendiamo che le condizioni per completarla messe sul tavolo dai tedeschi prevedono un attacco distruttivo al nostro debito pubblico ed alle nostre banche.
Ma, poiché ‘ad impossibilia nemo tenetur’, non è forse il caso di prendere atto che quest’unione monetaria può reggere solo con il sostanziale annichilimento del contraente più debole (quasi sempre il nostro Paese), non avventurarsi nemmeno in negoziati senza via d’uscita ed invitare gli altri contraenti ad uno smantellamento coordinato e controllato di un progetto che per completarsi richiederebbe il rispetto di condizioni impossibili?
Dopo l’approvazione del bail-in ed il conseguente affondamento di una decina di banche, cos’altro dobbiamo sentirci dire per prendere coscienza che il sogno è in realtà un incubo e che negare il problema crea ancora più danni?