Il presidente degli Usa, Joe Biden, ha reso note le prime nomine della sua squadra di governo. Si tratta di nomine legate alla politica estera, alla sicurezza nazionale e alla politica fiscale: Janet Yellen, per la guida del Tesoro, Antony Blinken come segretario di Stato, Alejandro Mayorkas segretario alla Sicurezza nazionale, Jake Sullivan consigliere sulla Sicurezza nazionale e Avril Haines a capo dell’Intelligence. Nello stesso giorno l’ex presidente Donald Trump, dopo aver contrastato per settimane i risultati elettorali, ha di fatto riconosciuto Biden come vincitore delle elezioni facendo scendere la temperatura dello scontro istituzionale.
Delle nomine governative e degli equilibri di potere attualmente in atto negli Usa Start Magazine ha parlato con l’esperto di relazioni internazionali Carlo Pelanda, analista, saggista e docente di economia e geopolitica economica presso l’Università Marconi.
Professor Pelanda, come giudica la nomina di Yellen alla guida del Tesoro?
Quella di Janet Yellen è una nomina molto positiva non solo per gli Usa ma anche per tutto il mercato globale. L’ex presidente della Federal Reserve ha mostrato una forte impostazione espansiva e una capacità di tenere il valore del dollaro sufficientemente stabile tale da renderlo moneta di riferimento globale. Biden ha tirato fuori il meglio di quello che aveva sul piano tecnico combinandolo con la necessità di ottenere il via libera da parte de Senato. Gli analisti di mercato stanno cercando di capire se il dollaro sarà soggetto a volatilità per la politica stimolativa interna. Ma Janet Yellen, per la sua esperienza nella Fed, può convincere il mercato e anche la politica che sarà possibile trovare un buon compromesso tra requisiti di stimolazione interna, di tipo inflazionistico, con il mantenimento di una stabilità monetaria.
Biden ha nominato Blinken Segretario di Stato, suo amico da più di 20 anni e vicesegretario di Stato sotto Obama. Che ne pensa?
Questa era una scelta attesa. Antony Blinken già in passato è stato suo consigliere e ha formulato la cosiddetta dottrina del reingaggio degli Usa negli affari globali. L’amministrazione Biden ha sottolineato che questa presenza globale non sarà un ritorno imperiale negli Usa sul pianeta. Durante la campagna elettorale lo staff di Biden ha spiegato che il reingaggio sarà perseguito attraverso la messa in ordine del sistema globale e lo sviluppo del multilateralismo.
Blinken è una buona scelta per l’Europa?
La figura di Blinken rassicura parecchio la Germania, guida geopolitica dell’Unione Europea, tanto che ha già chiesto di accelerare la stipula del trattato commerciale tra Ue e Usa. Addirittura Manfred Weber, capogruppo Ppe al Parlamento Europeo, ha già proposto il formato del trattato tra Usa e Ue molto simile al trattato doganale tra Ue e Canada che prevede abolizione del 99% delle dogane. La Germania, spaventata dal predominio della Cina nel Pacifico, ha scelto di mantenere forte quello che in tedesco di chiama “Westen verbindung”, il collegamento con l’ovest, con gli Usa.
Mayorkas, ex procuratore in California e uomo dell’entourage di Obama, è stato nominato segretario alla Sicurezza nazionale. Ci saranno novità?
Non dobbiamo aspettarci una grande discontinuità rispetto all’amministrazione Trump. Esiste, negli Usa, una forza che io chiamo “burocrazia imperiale”, interna agli apparati burocratici statunitensi, che mira all’equilibrio. La burocrazia imperiale non è un organismo occulto o golpista, segue delle linee guida molto precise che vengono anche esplicitate nel Congresso. Nel 2017 quando la Cina venne definita “nemico” furono esplicitate delle linee guida.
Quali sono le prossime sfide nel campo della politica estera per gli Usa?
In politica estera il prossimo banco di prova per l’amministrazione Usa è il confronto con la Cina in fatto di controllo dello spazio extraterrestre. Parlo di missione lunare, della costruzione in orbita di astronavi e del presidio su tutto il sistema solare. La prospettiva è decennale ma inizia con questi passi. Questo è il confronto vero con la Cina più che il contenimento geopolitico sulla terra. Chi domina l’orbita domina sul mondo. La burocrazia imperiale sa che dovrà avere un confronto con la Cina non di tipo bellico. C’è la consapevolezza di presidiare meglio sia gli spazi cyber di robotica bellica che di presenza sullo spazio extraterrestre per la battaglia sull’orbita. L’equilibrio di potenza avverrà con la mutua deterrenza, la dissuasione reciproca.
La continuità vale anche per il consigliere sulla Sicurezza nazionale, Sullivan?
Biden ha la necessità di raggiungere un equilibrio. È ancora molto forte l’influenza di Obama che è stato un elemento chiave per aprire la strada a Biden che ha la necessità di inserire persone con esperienza. Queste nomine sono stabilizzanti all’interno del Partito democratico ma potrebbero esserci sorprese nel prossimo futuro, nel senso che non mi stupirebbero accordi con il Partito repubblicano. La valutazione del consigliere della sicurezza nazionale non si fa sull’individuo. Come per il segretario, sono più importanti i rappresentanti della burocrazia imperiale all’interno del consiglio di sicurezza nazionale e dunque: le forze armate, l’intelligence e tutto l’apparato burocratico. Queste sono persone che vogliono mantenere l’impero.
Cosa pensa della nomina di Avril Haines a capo dell’Intelligence nazionale?
Avril Haines è una persona di fiducia per Biden. Quando cambia un’amministrazione è difficile nominare una persona di rottura perché poi la burocrazia imperiale la può sabotare. La nomina è stata concordata tra Biden e più di una ventina di agenzie. Dobbiamo renderci conto che lì il confine destra/sinistra, democratici/repubblicani è molto labile. Esiste negli Usa un livello bipartisan della burocrazia imperiale che agisce con capacità condizionanti quando repubblicani o democratici esondano. La linea è quella della sicurezza nazionale che è molto strutturata. Ovviamente aver scelto Avril Haines come vertice dell’intelligence ha favorito una cordata di persone, ma si fa fatica a distinguere i repubblicani dai democratici, sono tipici processi di burocrazia dove esiste un sistema molto forte di controllo del Senato e del Congresso. Anche qui on vedo sorprese o strappi.
Quali sono le differenze con la passata amministrazione di Barack Obama?
L’amministrazione Obama fu parecchio discontinuista. Lui applicò la dottrina dell’interesse nazionale elaborata da Condoleezza Rice nel 2000 per la campagna elettorale di George W. Bush contro il globalismo di Clinton. La dottrina dell’interesse nazionale diceva, in buona sostanza, che gli Usa sono troppo piccoli per sostenere la domanda globale ed essere il pilastro della sicurezza mondiale e dovrà, dunque, avere un approccio selettivo. Obama ha tradotto nel “Lead from behind”, che per gli altri Stati ha significato un ingaggio maggiore in termini di spesa militare e di presenza militare. Ecco questo non cambia, il reingaggio è inteso come una maggiore presenza politica degli Usa nel senso buono della parola non è un reingaggio imperiale come fu, per necessità, dopo il settembre 2001 quando gli Usa occuparono 65 paesi nella lotta contro il terrorismo. Non mi aspetto grandi discontinuità e non mi aspetto dalla politica estera grandi cambiamenti. Il maggior problema di Biden è riuscire a contenere la sinistra radicale, influente nel Partito Democratico, che non ha nelle sue corde la voglia di occuparsi dei problemi di equilibrio mondiale. Nelle prime battute sembra che ci riesca, ed è qui il ruolo principale di Obama ma non è detto infatti c’è un piano B, rappresentato da una maggioranza nel congresso fatta da democratici centristi e repubblicani centristi.