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Centrodestra

Il treno dei desideri (falliti) della sinistra

Che cosa auspica la sinistra per il centrodestra e che cosa invece non succede al centrodestra. La nota di Paola Sacchi.

Alla ricerca costante e minuziosa di un incidente al giorno che toglierebbe il governo Meloni di torno, ora il traguardo delle opposizioni frantumate al loro interno e uscite sconfitte anche dal voto di Lombardia e Lazio, è stato fissato nelle Europee del 2024. E nel frattempo nel frullatore mediatico è il turno di Silvio Berlusconi messo nelle vesti del “guastatore”, ridicoleggiato con la storia del viale del tramonto (che però “è tanto lungo”, disse Giulio Andreotti).

Fallito il tentativo di aver messo nelle vesti del “guastatore” Matteo Salvini , che in una sorta di interminabile e noiosa “telenovela padana” ogni giorno veniva dato a rischio di imminente sostituzione da parte di questo o quell’altro maggiorente leghista, ora è di nuovo il turno del Cav, da un lato attaccato, dall’altro quasi corteggiato quando fa un distinguo dalla politica estera all’economia in una alleanza di centrodestra, dove ha confermato che FI resta determinante, che non è mai stata un monolite da caserma. Ragione anche questa, insieme alla formula quasi trentennale della coalizione, della vittoria sul centrosinistra lacerato.

Ma ora, se si vanno a guardare i fatti e non le opinioni, la realtà dice che Salvini ha fatto, contrariamente a tutte le previsioni di carta, crescere la Lega in Lombardia sulle Politiche, la “telenovela padana” sugli avvicendamenti ha subito al momento un brusco stop e Berlusconi ha bruscamente stoppato, doppiandolo e anche di più, ancora una volta l’eterno sogno di Matteo Renzi, stavolta in coppia con Carlo Calenda, di svuotare Forza Italia.

Sballate tutte le previsioni o caldeggiamenti del cosiddetto mainstream. Eppure, in certe previsioni e giochi a tavolino sulle leadership interne sembra abbiano rischiato di incorrere anche personalità autorevoli ai vertici del Ppe, entrando stavolta da Bruxelles di fatto nella vita di un partito, che, grazie a Berlusconi, da 25 anni rappresenta il Ppe in Italia e pure con quel simbolo andò alla Politiche dove FI ha tenuto ancora una volta, nonostante anche allora le profezie di carta sballate.

Incidente chiuso, ha detto Antonio Tajani, che del Ppe è vicepresidente, oltre ad essere numero due del Cav, vicepremier, Ministro degli Esteri, dopo aver incontrato Manfred Weber a margine della conferenza di Monaco. Dopo che Weber, presidente e capogruppo del Ppe, con un tweet aveva non solo cancellato il summit di Napoli in polemica con le parole di Berlusconi su Zelensky. Ma aveva tentato nello stesso tweet di fatto di dividere il Cav dalla sua creatura: FI e dallo stesso Tajani, che, con tutto lo stato maggiore di FI a partire dai capigruppo Licia Ronzulli e Alessandro Cattaneo, ha subito reagito con un’uscita nettissima probabilmente non messa nel conto a Bruxelles.

Tajani ha replicato a stretto giro di posta quello che tutti sanno da quasi trent’anni: “Berlusconi è Forza Italia e Forza Italia è Berlusconi”. Ora, che ci siano state forti tensioni, che permangono, nel Ppe rispetto alle parole del Cav – che ha rilanciato ribadendo il suo sostegno, dato sempre, all’Ucraina, come Tajani e tutta FI hanno ricordato, ammonendo però il Ppe ad aprire contestualmente un percorso di pace – è vero. I Paesi baltici sono soprattutto in fermento. Ma, come lo stesso Tajani, ha ribadito: la pace non potrà mai essere fatta “con la resa dell’Ucraina, senza la sua libertà e indipendenza”, rimarcando così in un fronte italiano e europeo che sembra solo parlare della via delle armi, che queste “sono di difesa” per l’Ucraina contro l’aggressione militare della Russia.

Insomma, Tajani ricorda quello che dovrebbe essere chiaro a tutti, dopo quasi un anno: la guerra non la fa chi sostiene l’Ucraina ma a farla è la Russia che l’ha aggredita, “violando le regole del diritto internazionale”. Ma, in un vuoto oggettivo di voci sull’altra faccia della medaglia, ovvero il percorso anche diplomatico da cercare di iniziare di intraprendere, sostenendo sempre l’Ucraina, le parole di Berlusconi – che pur criticando Zelensky per vicende antecedenti ha subito stigmatizzato di non essere dalla parte di Putin e ha posto concretamente l’accento sulla necessità di un piano Marshall per la ricostruzione – hanno suscitato scandalo.

“Sostenere Zelensky non significa smettere di pensare”, ha brillantemente sintetizzato sabato scorso in un editoriale il direttore del Giornale, Augusto Minzolini. Ma, alla drammatica vicenda internazionale si aggiunge anche il solito giochino mediatico di casa nostra alla ricerca ossessiva del “guastatore” di turno nel centrodestra in attesa della resurrezione del Pd, le sorti magnifiche e progressive del “terzo polo”, “partiti di Draghi senza Draghi”. E via continuando, in un treno dei desideri che però poi alla prova delle urne non si avverano.

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