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Pd Draghi

Caro Zingaretti, non basta la buona volontà

Il Bloc Notes di Michele Magno

Parafrasando una vecchia favola, c’era una volta un principe (il governo) che, per entrare nel palazzo incantato dove dorme la bella che lo aspetta (l’Italia), doveva superare tre prove: guadare un fiume in piena (un debito pubblico stratosferico); abbattere il drago che sbarra la porta del palazzo (la Commissione europea); risolvere un enigma inestricabile (rilanciare la crescita gonfiando la spesa corrente e riducendo quella per investimenti).

Nonostante l’ottimismo di maniera sbandierato nei mesi passati da premier, vicepremier e ministro dell’Economia, nessuna delle tre prove è stata superata. Stando ai sondaggi, infatti, la manovra del popolo non piace alla maggioranza del popolo. Forse perché sospetta che il reddito di cittadinanza e i pensionamenti anticipati per alcuni saranno pagati da tutti con l’aumento dell’Iva e con una bassa crescita. Nonostante il fidanzamento tra Lega e M5s (infatti il matrimonio non c’è mai stato né ci poteva essere, a proposito di “famiglia naturale”) sia sull’orlo di una crisi di nervi, stando sempre ai sondaggi, tuttavia, quasi sei elettori su dieci restano fedeli ai due partiti della coalizione gialloverde.

La contraddizione è solo apparente, e si spiega con la scarsa credibilità delle principali forze di opposizione. La creatura di Berlusconi continua a puntare sulla riunificazione della famiglia di un centrodestra che non c’è più, dove nella migliore delle ipotesi ricoprirebbe il classico ruolo del parente povero. Dal canto suo, il Pd vive una crisi di identità e di leadership che non si risolve dall’oggi al domani. Le culture politiche, come i patrimoni, si consumano se non sono bene amministrate. Nicola Zingaretti è pieno di buona volontà, ma linea politica e strategia delle alleanze sono ancora evanescenti, si formano e si deformano come le nuvole in una giornata di vento.

Per esperienza personale e da qualche lettura ho imparato che un partito è fatto soprattutto di due cose: di organizzazione e di passione ideale. Quando non c’è né l’una né l’altra, molti di coloro che, magari animati esclusivamente da spinte morali, sarebbero disponibili a dare una mano per costruire un’alternativa al sovranismo del Carroccio e al populismo digitale dei pentastellati, si tengono ben lontani dalle logomachie e dai giochetti di potere di capicorrente litigiosi e narcisi. Mi rendo perfettamente conto che rigore e chiarezza d’idee sono virtù rare. Ma ho ragione di credere che, se il Pd non supera con uno scatto di orgoglio collettivo personalismi e risse intestine, è destinato a un declino che potrebbe perfino essere inarrestabile, a uscire di scena come quei personaggi secondari che scompaiono al primo atto, quando il dramma è appena cominciato.

Ma ora la campagna per le elezioni europee entra nel vivo e forse non tutto è perduto. Sapendo però, come ammoniva Machiavelli, che “non c’è niente di più difficile da condurre, né più dubbioso di successo, né più dannoso da gestire, dell’iniziare un nuovo ordine di cose”. Beninteso, sempre che lo si voglia iniziare sul serio.

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