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Quota 100

Caro ministro Bonafede, troppi silenzi e troppe omissioni

Che cosa non va nella conduzione del ministero della Giustizia da parte di Bonafede. L'analisi di Giuliano Cazzola

La crisi di governo ha evitato al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, di presentare in Senato la relazione di sua competenza. Probabilmente la crisi è stata determinata, almeno nei tempi, dalla quasi certezza di una mancata approvazione. Troppi erano i conti in sospeso che il capo delegazione pentastellato aveva accumulato reggendo il Dicastero nei due governi di Giuseppe Conte.

Certo gli ultimi anni sono stati meno brillanti (dal suo punto di vista) dei primi, quando con l’appoggio della maggioranza giallo-verde aveva introdotto nell’ordinamento giuridico la belluria della sospensione della prescrizione dopo la sentenza nel processo di primo grado. Allora Matteo Salvini aveva fatto finta di non capire e si era attaccato allo spostamento dell’entrata in vigore come se nel frattempo fosse possibile attuare una riforma della giustizia in grado di rimediare a quello strappo insensato. A dire la verità anche il Pd, dopo aver aggiunto un po’ di colore rosso al posto del verde accanto al riconfermato colore giallo, aveva girato al largo da quel problema per non indispettire il nuovo alleato (Parigi val pure una messa).

Se fosse arrivato in Aula con la sua relazione a Bonafede sarebbero state rimproverate tante altre cose, sia commissioni che omissioni. L’elenco sarebbe lungo e rigonfio di strappi al comune senso di giustizia. Quanto al potere politico, c’è un ministro della Giustizia che si lascia insultare da un pm membro del Csm e replica, in risposta ad una mozione personale di sfiducia che trae origine da quegli insulti, come un cagnolino bastonato dal suo padrone in toga.

A suo tempo si fece un gran parlare del ‘’salvataggio’’ di Alfonso Bonafede da parte di una maggioranza compatta. Eppure, non ci si poteva attendere altro. Non tanto per evitare la crisi di governo, quanto piuttosto perché su certe linee strampalate di politica giudiziaria tutto il governo era d’accordo. Il decreto contro le scarcerazioni, che rappresentava l’ultima  raffica dell’abiezione manettara, l’hanno preteso più o meno tutti i partiti e non solo di maggioranza. Poi c’è la questione delle carceri nel tempo del Covid-19, dove una condizione di sovraffollamento non è in grado di assicurare quel diritto fondamentale alla salute che l’articolo 32 Cost. riconosce anche ai reclusi.

Ma quello che è più grave è il silenzio assordante di un titolare della Giustizia che rimane attonito e impotente davanti allo scandalo esploso nel Csm a seguito della vicenda Palamara e delle sue denunce (approdate in un libro) di un sistema ormai divenuto ingovernabile e dove gli addetti alle procure si ritengono ‘’più magistrati’’ degli altri. Anche sulle dichiarazioni ambigue di Nicola Gratteri sui magistrati giudicanti – persino MD ha preso una posizione critica – avrebbero meritato probabilmente l’avvio di una azione disciplinare (come è avvenuto in altri casi che hanno riguardato colleghi critici verso le iniziative di Gratteri) mentre sono state accolte in silenzio da via Arenula. Ma un ministro è anche al vertice dell’amministrazione.

Il Covid-19 ha provocato la chiusura degli Uffici giudiziari senza neppure la finzione dello smart working come in altri Dicasteri. Nella Giustizia  solo una piccola parte dell’attività con caratteri di  urgenza è proseguita; ma la rete è inaccessibile dall’esterno, tutto ciò con ritardi dilatati, con rinvii  che si prolungheranno fino al giorno del giudizio (quello universale). Anche i concorsi previsti per l’assunzione di 310 magistrati ordinari sono slittati a fine maggio dell’anno in corso, mentre il ministero tace per quanto riguarda le prove per i praticanti avvocati, nonostante le numerose sollecitazioni della loro associazione.  In una recente audizione – il 15 dicembre scorso – in Commissione Giustizia della Camera i loro rappresentanti hanno ricordato che le tradizionali prove scritte, in conseguenza dell’emergenza sanitaria, hanno subito uno slittamento a data da destinarsi. Pertanto, hanno sostenuto “da futuri garanti dei diritti dei cittadini, mentre gli altri nostri coetanei si abilitano ed entrano nel mondo del lavoro, siamo stati abbandonati al nostro incerto futuro professionale da una politica che dovrebbe intercettare le esigenze di tutti cittadini guardando equamente al futuro delle nuove generazioni’’. Di qui la loro richiesta – inevasa – al ministro della Giustizia di trovare delle soluzioni immediate e concrete per la sessione 2020, al fine di non stravolgere anche la sessione di dicembre 2021.

È stata  ancora una volta la necessità di individuare quanto prima una soluzione alternativa per lo svolgimento della sessione 2020 degli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense. La proroga dello stato di emergenza fino al 30 aprile 2021 rende di fatto poco plausibile se non impossibile – sostiene l’associazione – che possano regolarmente tenersi le tre prove scritte il 13, 14 e 15 aprile. Certo che la crisi ci ha messo del suo. Chissà? Dice un proverbio che se Maometto non va alla montagna è la montagna a recarsi dal Profeta. Si spera in un nuovo e più sollecito ministro?

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