L’Unione europea e il Regno Unito hanno raggiunto l‘accordo commerciale che regola il futuro delle relazioni economiche tra i due sistemi dopo Brexit.
L’intesa garantisce scambi senza dazi sulla gran parte dei beni, un risultato positivo per Londra, ma lascia aperte alcune incognite, in primis il ruolo delle imprese di servizi.
L’accordo è stato raggiunto dopo nove mesi di negoziato, alla vigilia di Natale, in una call tra la presidente Ursula von der Leyen e il premier Boris Johnson
GLI EFFETTI SUGLI SCAMBI UK E UE
L’accordo evita di mettere a rischio gli scambi tra UK e i 27 paesi Ue. Nel 2019 il Regno Unito ha infatti esportato il 43% dei propri beni verso l’Unione europea, ed era per questo di gran lunga più vulnerabile al mancato accordo commerciale rispetto a ciascun singolo paese europeo.
IPOTESI EVITATA DI HARD BREXIT
Con l’hard Brexit, sulle merci britanniche dirette verso l’Europa sarebbero tornati ad essere applicati i dazi previsti dall’Organizzazione mondiale del commercio. Certo, il dazio medio europeo sarebbe stato comunque inferiore al 3% per i tutti i beni non agricoli. Tuttavia, per alcuni prodotti i dazi sarebbero stati nettamente superiori (del 10% sugli autoveicoli, e fino al 35% sui prodotti caseari).
I RAPPORTI FRA UE E UK E IL RUOLO DELL’ITALIA
Sottolinea un focus dell’Ispi: “I singoli Paesi europei erano notevolmente meno esposti, dal momento che l’anno scorso hanno esportato in media solo il 6,5% delle proprie merci verso Londra. Ma alcuni paesi erano più preoccupati di altri, perché la quota delle loro esportazioni diretta verso il Regno Unito è nettamente superiore (il 13% nel caso dell’Irlanda, o il 10% dei Paesi Bassi). Rispetto agli altri grandi Paesi Ue, l’Italia sarebbe stata meno esposta al rischio hard Brexit: l’anno scorso solo poco più del 5% delle nostre esportazioni era diretto verso il Regno Unito”.
CHE COSA CAMBIA PER L’ITALIA CON L’ACCORDO SULLA BREXIT
Tuttavia, aggiungono gli analisti dell’Istituto di studi per la politica internazionale, “era proprio Roma ad avere il terzo maggiore surplus commerciale europeo nei confronti di Londra (12 miliardi di euro l’anno). Un surplus peraltro in aumento negli ultimi anni, e che oggi rende il Regno Unito il quinto importatore di beni italiani. Tra i settori di punta del nostro export, i più esposti a nuovi dazi sarebbero stati la meccanica strumentale, il tessile, il chimico e l’agroalimentare. Oltre ai dazi, va inoltre ricordato che sarebbe entrata in vigore tutta una serie di adempimenti e controlli doganali (alcuni entreranno comunque in vigore anche con l’accordo)”, si legge nel report a cura dell’Ispi diretto da Paolo Magri.
CHE COSA CAMBIA PER L’EUROPA CON L’ACCORDO SULLA BREXIT
Per i cittadini europei – si legge nel report Ispi – “cambiano in ogni caso le regole per potersi recare in Regno Unito, in particolare per chi vuole spostarsi per periodi di tempo più lunghi, per esempio per lavoro. In questo caso le nuove norme, che entrano in vigore a causa di Brexit e non di questo accordo sui rapporti post-Brexit, prevedono che anche i cittadini dei 27 paesi Ue (assieme a tutti i cittadini del resto del mondo) facciano una richiesta di visto che verrà approvata sulla base di un sistema a punti rigoroso: quasi il 40% dei punti dipende dall’avere un’offerta di lavoro da un datore britannico, e un altro 18% dal fatto che lo stipendio superi le 25.600 sterline l’anno. Il tutto peraltro a un costo piuttosto elevato: tra i 1.300 e i 2.300 euro per domanda”.