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Lukashenko Intelligence

Bielorussia, ecco timori e scenari per la Russia

Che cosa auspica e teme la Russia nella crisi in Bielorussia. L'approfondimento dell'analista Angelantonio Rosato

Bielorussia: la grande manifestazione anti-regime ieri a Minsk ci dà importanti spunti per analizzare i possibili scenari futuri. Paradossalmente ad offrirceli non sono tanto le manifestazioni di protesta, ma le reazioni del governo bielorusso e, soprattutto, di Mosca.

Cominciamo dal primo: ieri il presidente Alexander Lukashenko ha lanciato, simbolicamente ma in modo inequivocabile, un guanto di sfida (e di disprezzo) contro i manifestanti mostrandosi mentre impugna un kalashnikov ed indossa un giubbetto antiproiettile scendendo da un elicottero davanti alla sua residenza mentre i dimostranti si ammassavano nelle vicinanze.

Intanto, secondo quanto riporta l’Huffington Post, il suo ministro della Difesa, Viktor Jrenin, affermava che i militari bielorussi sono pronti a intervenire contro i manifestanti se saranno “attaccati” i monumenti dedicati ai morti bielorussi durante il secondo conflitto mondiale.

“Nell’ultima guerra la Bielorussia ha perso un terzo della sua popolazione – ha detto il ministro secondo l’agenzia ufficiale Belta – migliaia di monumenti sono stati eretti nel nostro Paese a ricordo di quelle sofferenze, per noi sono sacri”. E ancora: “Non possiamo osservare con calma che si celebrino in questi luoghi atti con le bandiere dei fascisti che organizzarono il massacro di bielorussi, russi, ebrei ed altri popoli”, ha chiosato Jrenin.

“Il riferimento — prosegue l’Huffington — è alla bandiera bianca e rossa che si vede spessissimo nelle piazze delle ultime settimane. È stata simbolo del Paese tra la caduta dell’Unione Sovietica del 1991 e il 1995 — l’anno in cui con un referendum indetto da Lukashenko si decise di cambiarla — ed era usata nella Bielorussia occupata dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale” (ma è pure la prima bandiera bielorussa della breve indipendenza del 1918, prima che i bolscevichi arrivassero).

Insomma per l’attuale governo bielorusso questa bandiera è simbolo di fascismo e collaborazionismo con l’invasore straniero. Tenetele a mente queste due ultime parole — fascisti e collaborazionisti — perché le sentirete spesso in futuro, se la crisi degenera davvero in Bielorussia.

Poi il ministro Jrenin aggiunge sibillino: “non si può escludere che nel futuro forze distruttive cerchino di prendere il potere provocando disordini generalizzati ed il ricorso alle armi”. E infine Jrenin lancia la stoccata finale contro la Polonia, pur senza fare nomi: “la situazione più difficile si può creare nelle regioni occidentali del Paese, dove da qualche tempo si sta cercando di convincere la nostra popolazione della sua affinità etnica e culturale con alcuni Paesi confinanti più vicini”.

Ma è da Mosca che arrivano i segnali più chiari: il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, afferma: «Quello che sta succedendo in Bielorussia ci preoccupa molto. Nessuno fa segreto del fatto che si stia parlando di una questione geopolitica, della lotta per il controllo dello spazio post-sovietico».

Inoltre, continua Lavrov, ci sono “forze estremiste” che intendono provocare “un bagno di sangue”. Perché, a suo dire, “c’è chi vuole che la situazione pacifica in Bielorussia precipiti nella violenza, cercano di provocare lo spargimento di sangue perché si ripeta lo scenario ucraino”.

In questo giorni molti, sia in Bielorussia che in Occidente, continuano a ripetere il mantra che “la Bielorussia non sarà la nuova Ucraina” , come se, a furia di ripeterla, questa frase si trasformasse in una profezia che si auto-realizza.

Ma se restiamo lucidi ed obiettivi, dobbiamo constatare che purtroppo i segnali che abbiamo citato, e molti altri ancora, non promettono nulla di buono.

Anche in Ucraina durante la crisi EuroMaidan la propaganda filo-russa creò ed uso massicciamente la meta-narrativa per cui i manifestanti anti-governativi erano “forze estremiste”, fascisti e collaborazionisti di potenze straniere che intendono provocare “un bagno di sangue”. Nel caso bielorusso, poi, la situazione è aggravata dall’evidente e pesante intromissione della Polonia e dei Baltici, che stimolerà ancor di più un deciso intervento russo.

Come sarà caratterizzato questo presunto intervento russo (sperando che non avvenga mai) in Bielorussia? Non dobbiamo aspettarci una invasione con le divisioni corazzate rosse stile Praga ’68, ma qualcosa di più sofisticato, invisibile e complesso: una guerra combattuta non solo con truppe e mezzi militari (magari senza insegne), convenzionali o meno, ma pure con strumenti diplomatici, economici, di Cyber ed Info war, propaganda e disinformazione. Una guerra asimmetrica, ibrida e per procura (Hybrid War by Proxy).

Ma la Bielorussia non è neppure l’Ucraina. Se delle similitudini ci sono tra le due crisi, la differenza fondamentale, soprattutto dal punto di vista russo, è che nel secondo caso si trattava di separare il Donbass e la Crimea dalla Kiev di EuroMaidan.

In Bielorussia oggi per Putin si tratta piuttosto di tenere unita tutta la Bielorussia sotto un regime filorusso, ovvero evitare che un Paese satellite, strategico per la sua posizione geopolitica, esca dalla sfera d’influenza di Mosca, con il risultato finale di avere in breve i missili e le truppe NATO (con le agguerrite avanguardie baltico-polacche) ammassati ai confini occidentali russi.

Se proprio volete un paragone, la crisi in Bielorussia oggi ricorda più l’Afghanistan del 1979, ossia la crisi del regime comunista filosovietico a Kabul ed il conseguente intervento di Mosca per sostenerlo, intervento prima limitato poi sempre più profondo fino all’invasione militare. Sappiamo tutti come andò a finire.

Presto, forse addirittura oggi, inizierà il vero contrattacco di Lukashenko. E verosimilmente sarà duro e spietato, soprattutto perché deve dimostrare a Putin, che non lo ama, di essere il cavallo vincente su cui puntare. Non è dunque detto che Mosca intervenga subito: in questo momento la cosa migliore per Putin è stare alla finestra e aspettare se Lukashenko vince da solo oppure si arriva ad una transizione negoziata che metta al potere un candidato gradito a Mosca. Putin non ha nessun interesse a prendere misure drastiche.

Ma se a Minsk si assiste al rovesciamento violento del regime di Lukashenko ed all’instaurazione di un governo democratico filo-occidentale e soprattutto filo-baltico-polacco, l’intervento di Mosca sarà inevitabile e non indolore.

A seconda di come si comporteranno gli attori interni e quelli esterni, Russia da una parte, USA, Germania, Polonia, Baltici ecc dall’altra, e di come sosterranno i loro proxy bielorussi, sapremo presto se si va verso un escalation molto pericolosa o verso una normalizzazione “sovietica” in Bielorussia.

(Tratto dal blog di Angelantonio Rosato)

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