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Biden medio oriente

Vi spiego cosa dirà Biden all’Europa. L’analisi di Silvestri (Iai)

L'analisi di Stefano Silvestri, direttore editoriale di AffarInternazionali

Dopo aver ricevuto i premier della Corea del Sud e del Giappone alla Casa Bianca, Joe Biden approfitta di una serie di grandi scadenze per venire a fare un giro in Europa. Venerdì, sabato e domenica parteciperà al G7 nel Regno Unito, il lunedì e martedì successivi sarà a Bruxelles, prima per il Consiglio Atlantico e poi per il vertice tra gli Usa e l’Unione europea, ed infine mercoledì farà un salto in Svizzera, a Ginevra, per incontrare in campo neutro Vladimir Putin. Cosa aspettarsi da tutto ciò?

Il risultato minimo, quello che tutti danno per scontato, ma resta comunque significativo, sarà la chiusura ufficiale dell’era Trump, che aveva portato i rapporti transatlantici sull’orlo della rottura. Ma sarà anche necessario guardare al futuro, e su questo le incertezze crescono. Il nuovo presidente americano intende mantenere e rafforzare la grande rete globale di alleanze, multilaterali e bilaterali, del suo Paese, ritenendo, a giusto titolo, che esse siano un grande patrimonio politico e un ineguagliabile moltiplicatore della forza americana. È però anche evidente che le sue priorità non sono in Europa.

A capo di un Paese politicamente spaccato in due, il normale funzionamento della democrazia americana (governata perlopiù dal centro, sulla base di accordi bipartisan) sembra ormai impossibile, limitando fortemente la capacità di conseguire grandi risultati e minando alla base la credibilità e la resilienza del modello americano. Il primo e più importante obiettivo di Biden è dunque quello di recuperare, almeno in parte, la tradizionale capacità del presidente di ottenere il necessario consenso del Congresso per le sue maggiori iniziative.

Questioni quali il futuro della democrazia e dello stato di diritto, il raggiungimento dei maggiori obiettivi ambientali e climatici, la lotta alla corruzione e in più in generale la riaffermazione dei grandi valori fondanti del sistema “occidentale”, a partire dai diritti umani, dipendono dalla capacità di Biden di penetrare l’attuale spaccatura ideologica e massimalista tra maggioranza e opposizione.

La seconda priorità di Biden è invece la Cina, una delle pochissime questioni sulle quali sembra esserci un certo livello di consenso bipartisan. Nessuno mette in dubbio il fatto che la Cina è ormai il grande rivale strategico degli Stati Uniti, anche se l’approccio di Biden è molto più articolato di quello scelto da Donald Trump. L’America conferma quindi lo spostamento del baricentro della sua politica internazionale dall’Atlantico al Pacifico, anche se rimane impegnata in Europa.

Le discussioni tra i leader del G7, nella pittoresca baia di St. Ives in Cornovaglia, consentiranno di comprendere meglio cosa esattamente Biden si aspetta dagli alleati, sul piano globale. Ma i primi segnali sembrano piuttosto rassicuranti, in particolare per l’Ue. La forte presa di iniziativa della titolare del dicastero del Tesoro americano, Janet Yellen, alla riunione dei ministri finanziari del G7, che ha portato all’accordo di massima sulla tassazione minima globale degli utili delle multinazionali è perfettamente nelle corde delle istituzioni europee, anche se vede l’opposizione di alcuni paradisi fiscali anche interni all’Ue. Per questa strada Washington contribuisce al necessario completamento del mercato unico europeo.

Analogamente ci si aspetta un nuovo impulso per fissare più ambiziosi obiettivi di politica ambientale, in linea con le iniziative delineate in ambito europeo. Queste linee di azione rientrano per Biden all’interno di un comune discorso ideale sul modello democratico “occidentale”, a volte semplificato con lo slogan di “Lega delle democrazie” in competizione con il modello autoritario promosso dalle grandi potenze “eredi” del comunismo come la Russia e soprattutto la Cina.

Questa impostazione potrebbe creare qualche problema ad un’Europa troppo concentrata solo sulla difesa dei suoi interessi commerciali, che certamente includono sia la Russia (specie nel settore energetico) sia la Cina un po’ ad ogni livello delle catene produttive e commerciali. Anche in questo caso, però, la linea della Casa Bianca sembra piuttosto prudente. Così, ad esempio, Biden sembra aver rinunciato a chiedere la chiusura del gasdotto Nord Stream 2, privilegiando il mantenimento di buoni rapporti con Berlino (magari anche con l’aspettativa di una scelta di dipendenza decrescente della Germania dalle esportazioni russe che renda il gasdotto molto meno importante, economicamente e politicamente). Più significativa sembra invece la pressione per ridurre la dipendenza europea dalla tecnologia e dai capitali cinesi. Ma anche in questo caso le preoccupazioni americane trovano una eco crescente in Europa, in particolare dopo aver constatato la propensione cinese ad usare politicamente il ricatto economico per ostacolare le decisioni comuni europee.

Nel complesso, quindi, dovremmo aspettarci una serie di incontri produttivi che, se accompagnati da una analoga disponibilità al dialogo da parte europea, dovrebbero risanare le fratture del precedente quadriennio e rimettere i rapporti transatlantici in carreggiata. Rimane però un dubbio non indifferente, e non fa centro a Pechino, quanto a Mosca (ed in misura minore ad Ankara).

L’Europa ha a che fare con una periferia e delle frontiere, ad est e a sud, molto agitate e complesse, da cui arrivano notevoli rischi e minacce, nonché problematiche (come quelle migratorie, del controllo delle crisi e dei diritti umanitari) di difficile gestione. In quest’area è molto attiva la Russia, in primo luogo militarmente, e cresce l’iniziativa indipendente di alcune potenze regionali, come la Turchia, molto restie, se non del tutto contrarie, a fare “gioco di squadra”. Purtroppo queste sono anche le aree che vedono il maggior disimpegno americano, confermato dall’attuale presidente. Ma sono anche aree da cui l’Europa non può realmente isolarsi e che quindi richiedono un qualche chiarimento con Washington.

Di cosa parleranno Biden e Putin a Ginevra? Questo è forse il maggior interrogativo di questa visita europea del nuovo presidente americano. Non sembra che Biden voglia tentare una molto improbabile manovra di distacco di Mosca da Pechino o altre manovre di riavvicinamento ad un leader che ha qualificato come “assassino”. Certamente affronterà il tema del controllo degli armamenti nucleari e forse anche quello, su cui Russia e Usa sono in largo accordo, della non proliferazione nucleare (e quindi anche dell’Iran e della Corea del Nord).

Ma sul piano politico più generale, dall’Ucraina al Caucaso, dalla Siria alla Libia, cosa si diranno? Quali che siano le loro posizioni, le conseguenze dovranno essere gestite dall’Europa.

 

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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