C’è molto di «non detto – non dicibile» nella crisi afghana che ostacola la valutazione dei rischi da parte del mercato. Ciò giustifica inferenze molto ipotetiche, forse fantasiose, ma utili per tenere l’attenzione sullo scenario.
America ed alleati temono che un eventuale colpo terroristico islamista abbia effetti moltiplicati sull’economia, innescando una crisi di fiducia prolungata. Washington ha certamente una strategia silenziosa per prevenirlo, dialogando con parte dello schieramento jihadista, ma non condividendola del tutto con gli alleati, finora. Il rischio è che l’America protegga sé stessa, ma non gli alleati (molto ipotetico, ma non escludibile).
Se fosse così, comunque, l’America sbaglierebbe: la vittoria islamista in Afghanistan è stata presentata come atto di Allah che ha galvanizzato tutti i movimenti jihadisti non influenzati dagli afghani, per esempio l’Isis che è di fatto in guerra con i talebani (e con al Qaeda).
Poi il «non detto – non dicibile» potrebbe estendersi alla politica interna statunitense: forse la decisione di attuare un ritiro in fretta senza preparazione è stata motivata dal farlo prima della campagna per le elezioni di mid term nel 2022, immaginandone l’effetto e in tempo per farlo dimenticare agli elettori (probabile). Segno di una debolezza gestionale e cinica dell’amministrazione Biden. Che potrebbe cercare un successo compensativo contro la Cina. Ma la Cina serve sia per non dare troppa forza ai talebani rendendoli immuni dalle eventuali sanzioni economiche condizionanti sia per organizzare uno schieramento globale antiterrorismo, come intelligentemente perseguito da Mario Draghi proponendo un G20 dedicato.
In sintesi, da un lato è rassicurante la compattezza formale dell’alleanza, ma dall’altro il troppo «non detto» crea dubbi sui rischi per l’Ue. Pur riservatissimo, un chiarimento sarà necessario.