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Tunisia

Basta con la comunicazione alla Casalino e Ricciardi

Consigli non richiesti al governo Draghi in materia di comunicazione. Il commento di Gianfranco Polillo

Lo stile di Mario Draghi lo si è visto fin dall’inizio. Tempi stretti. Comunicazione ridotta all’essenziale. Riserbo british. L’armatura del banchiere centrale che rimane tale, anche se chiamato a svolgere funzioni diverse. Un atteggiamento che, visto il disposto dell’articolo 95 della Costituzione, non potrà non influenzare tutta l’attività di governo. È infatti difficile ritenere che l’indirizzo generale, di cui si parla in quell’articolo, non possa non riguardare anche la comunicazione, che è tratto essenziale del rapporto tra l’esecutivo e il Parlamento, innanzitutto. Ma con una ricaduta immediata sulla stessa pubblica opinione.

Se ne può dedurre, pertanto, che non assisteremo più ai magheggi di Rocco Casalino. Quelle manifestazioni indecenti davanti la Camera dei deputati: “Bye bye vitalizi”. Oppure alle feste, sul balcone di Palazzo Chigi, che inneggiavano alla fine della povertà, dovuta a un deficit di bilancio fuori controllo. Se sarà così, ma è ancora troppo presto per saperlo, non potremo che rallegrarci. Nel frattempo, tuttavia, è bene che soprattutto i tecnici, che lavorano per il governo, comprendano che le prassi, ch’erano tipiche del governo Conte, non hanno più lo stesso diritto di cittadinanza. Specialmente quando si affrontano problemi delicati, quali quelli relativi alla gestione della pandemia.

Personalmente, ad esempio, siamo rimasti sorpresi, nell’ascoltare le parole di Walter Ricciardi nella trasmissione di Fazio, su Rai tre. Quella sua anticipazione circa la proposta di un lockdown generalizzato, che avrebbe sottoposto a Roberto Speranza, ministro della salute, di cui è consulente. Non perché non la riteniamo giusta: non spetta a noi giudicare. Ma perché certe proposte, per l’impatto che possono avere sulla pubblica opinione, è bene che siano riservate, quando la fase istruttoria é ancora in corso. Per poi essere comunicate quando il decisore politico, che in questo caso non è il solo Ministro della salute, le abbia condivise. Soprattutto decise.

Quella voce dal sen fuggita, com’è noto, aveva determinato dure reprimende, sia da parte di Matteo Salvini che di Vittorio Sgarbi. Ci saremmo risparmiati quelle arrabbiature, se, appunto, Walter Ricciardi avesse fatto tesoro dell’arte del self restraint, tanto più in un campo così opinabile, come quello delle previsioni. Naturalmente non spetta a noi discettare sulle caratteristiche del virus importato dall’Inghilterra, dal Sud Africa o dal Brasile. Se esso sia più o meno contagioso. Se la sua carica virale sia più pericolosa. Se più o meno refrattario di confronti dei vaccini a disposizione. Nessuno può negare, come in tutti questi casi, i livelli di indeterminatezza, al momento, siano massimi. Richiedono, pertanto, valutazioni di carattere probabilistico, che solo chi ha la responsabilità di governo può, anzi deve, tentare.

Limitiamoci allora a ragionare sui dati oggettivi che sono a nostra disposizione. Che sono quelli forniti, in termini prospettici, dalla Protezione civile. E quelli stocastici della Johns Hopkins University, che consentono, tuttavia, un raffronto di carattere internazionale. In esso, l’Italia occupa ancora le prime posizioni. È al terzo posto, come numero di morti per 100 mila abitanti (154,48), dopo Gran Bretagna e Repubblica Ceca. Stessa collocazione per indice di letalità (3,4 per cento dei contagiati) dopo Messico e Perù.

Si tratta, tuttavia, di dati che devono essere interpretati. L’indice di letalità attuale sembra essere infatti leggermente migliorato. Qualche tempo fa era pari al 3,5 per cento. Oggi, come si è detto, si registra un leggerissimo calo dello 0,1 per cento. Non c’è ovviamente da brindare, ma comunque sempre meglio di niente. Più significativa l’analisi del trend. La cosa che più impressiona è la differenza tra l’intensità della seconda ondata rispetto alla prima. A partire dagli inizi di agosto, la progressione dei contagi è stata geometrica. Da poco più di 12 mila casi, il punto di massima è stato raggiunto verso la fine di novembre con 800 mila positivi. Nella prima ondata non si erano superati i 110 mila contagi.

Quasi raddoppiati il numero dei morti. Passati da poco più di 35 mila a quasi 60 mila. Numero, tuttavia, che va messo in relazione al maggior numero dei contagi. In questo caso, ovviamente, l’indice di letalità è risultato molto più tranquillizzante. Durante la prima ondata, il cumulato aveva raggiunto la doppia cifra. Nella seconda, invece, si é stabilizzato intorno ad una media del 3,5 per cento, rispetto al totale dei casi. Il che lascerebbe supporre, non prendendo in considerazione le eventuali varianti, una maggiore contagiosità del virus, ma una minore letalità.

Infine gli ultimi dati. La punta massima del contagio sembrerebbe che si sia verificata il 22 novembre, quando i casi furono quasi 806 mila. Da allora una progressiva flessione. Ieri il numero dei contagiati era inferiore ai 403 mila casi. Con una riduzione netta del 50 per cento. Motivi di ottimismo? Se non fossero le notizie qualitative, circa i mutamenti, presunti o reali, del virus rilanciate dagli esponenti del Comitato tecnico scientifico. Che, tuttavia, non hanno la stessa certezza dei numeri che abbiamo appena citato. Quindi prudenza, prima di profferir parola: il nemico, anzi il virus, ti ascolta.

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