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Viaggio Giorgetti Stati Uniti

Cosa dimostra il viaggio di Giorgetti negli Stati Uniti

Il corsivo di Giuseppe Gagliano

 

Il viaggio del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti negli Stati Uniti, in primo luogo dimostra l’assoluta fedeltà – subalternità, direbbero altri – di questo governo agli Stati Uniti e all’Alleanza atlantica sia sul piano militare che sul piano della sinergia nel settore industriale.

Rappresenta da un lato una continuità dal punto di vista squisitamente politico ma una relativa discontinuità rispetto alle scelte compiute dall’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e dal ministro degli Affari esteri Di Maio.

In secondo luogo, nel contesto delle scelte politiche compiute dalla Lega in relazione alla Russia, rappresenta una netta presa di distanza e un ritorno nel cortile dello zio Sam.

In terzo luogo, l’enfasi posta dal ministro sulla necessità di prendere in attenta considerazione il nucleare procede di pari passo con le dichiarazioni sia di Roberto Cingolani sia di Ursula von der Leyen che ha affermato che per la transizione green abbiamo bisogno di più rinnovabili ma abbiamo anche bisogno di una fonte stabile, il nucleare e il gas.

Scelte queste che sono assolutamente comprensibili e legittime ma che smentiscono in modo clamoroso tutta la retorica messianica di Greta Thunberg.

L’Italia – a differenza della Francia – ha pagato e continua a pagare molto caro sia sul piano economico che sul piano della sovranità energetica il fatto di aver rinunciato completamente al nucleare civile.

Ma ci si domanda – proprio facendo riferimento al viaggio del ministro Giorgetti – chi dovrà fornire la tecnologia all’Italia nell’eventualità – adesso remota – che il nostro paese voglia fare propria la scelta nucleare? Gli Stati Uniti?

Ed infine: Cingolani, Giorgetti e Ursula von der Leyen hanno attentamente considerato il ruolo che le lobby come Greenpeace, Legambiente e i sindacati hanno in Italia?

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