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Successione Merkel

Angela Merkel, storia e cronaca della pragmatica cancelliera venuta dall’est

Il Bloc Notes di Michele Magno

Dopo le pesanti sconfitte elettorali in Baviera e in Assia, Angela Merkel ha annunciato il suo ritiro dalla guida della Cdu. Cala così il sipario sull’epoca del “merkiavellismo”, come recita il neologismo coniato dal sociologo Ulrich Beck. Il futuro ci dirà se l’uscita di scena della cancelliera sarà motivo di rimpianto per un’Europa che rischia di essere travolta da un’ondata di nazionalismi arrembanti. Resta il fatto che, all’inizio del terzo millennio, la Germania era in ginocchio e non sembrava in grado di riprendersi dallo shock della riunificazione. Dieci anni dopo era una nazione ammirata e anche temuta. Tutto merito di Frau Merkel? Ovviamente no, ma la rinascita tedesca è inestricabilmente legata anche alla sua visione politica e alla sua idea di società.

Ma chi è la “cancelliera venuta dall’Est”? Come ricorda Roberto Brunelli (“Angela Merkel. La sfinge”, Imprimatur), in realtà nasce nel 1954 in una città dell’Ovest , ad Amburgo. Ancora in fasce viene portata dai genitori a Quitzow, un paesino sperduto del Brandeburgo. Siamo nel cuore della Ddr. Il padre, Horst Kasner, è un pastore evangelico. La madre Herlind è insegnante di latino e inglese. Le condizioni di vita sono precarie, se non misere. La repressione del regime di Walter Ulbricht nei confronti dei religiosi è dura. Ma Kasner, un tipo tosto, è un sacerdote convinto che cristianesimo e socialismo possano coesistere. Incaricato di dirigere un Collegio ecclesiastico, nel 1957 si trasferisce con la famiglia a Templin. Siamo a due passi dalla Polonia. Oltre le mura cittadine c’è il Waldhof, immerso nella campagna. È un istituto per bambini handicappati, che ospita i corsi di teologia per seminaristi tenuti da Horst. Tra i suoi frequentatori c’è Rainer Eppelmann, che avrà un ruolo di primissimo piano nei moti che hanno accompagnato la caduta del Muro di Berlino. È qui che Angela passa la sua infanzia e parte della sua giovinezza.

Dopo il 13 agosto 1961, il giorno in cui viene eretto il simbolo della divisione del mondo, ai Kasner viene concesso di ricevere in dono dai parenti amburghesi libri, dischi, vestiti, generi alimentari. La teenager Angela diventa una fan dei Beatles e può indossare, tra l’invidia dei suoi coetanei, dei blue jeans nuovi di zecca di cui va fiera. Eletta “alunna ideale” dai compagni di scuola, si reca spesso nella capitale dello “Stato degli operai e dei contadini” per visitare musei, assistere a rappresentazioni teatrali, acquistare cartoline di opere d’arte. Come lei stessa racconterà, a quindici anni impara a memoria i nomi di tutti i ministri del governo di Bonn, ascolta furtivamente alla radio i notiziari sull’elezione del presidente federale Gustav Heinemann, apprezza i discorsi di Helmut Schmidt.

Nel 1968 si iscrive ai “Giovani Pionieri”, organizzazione legata alla Sed (il partito unico), dove ha modo di distinguersi per la sua stoffa da leader. Successivamente entra nel Club dei giovani matematici e si conquista un posto all’Olimpiade di russo a Mosca. Un viaggio che non dimenticherà mai: perché è a pochi metri dal Cremlino che uno dei partecipanti le parla dell’ineluttabilità della riunificazione tedesca. Dopo Mosca, tra i sedici e diciassette anni, altri viaggi: Praga, Sofia, Bucarest. Zaino, tenda, treno, jeans e eskimo. Il suo motto: “Non mostrare mai incompetenza, essere sempre la numero uno”. Lo sarà anche nel 1973, in un episodio in cui mostra un insospettabile spirito ribelle. La sua classe si oppone alla richiesta delle autorità scolastiche di allestire uno “spettacolo culturale”, dedicato all’eroica lotta del popolo vietnamita contro l’imperialismo statunitense. Il preside minaccia severe sanzioni. Gli alunni -sobillati da Angela- adottano una originale forma di protesta, mettendo in scena una poesia di Christian Morgensten (1871-1914) in cui c’è un verso che recita: “O uomo, stai in agguato rispetto a te stesso, altrimenti sei anche tu un carlino, un cagnolino, sul muro”. Come non bastasse, cominciano a cantare “L’Internazionale” in inglese, la lingua degli odiati capitalisti. La cosa suscita uno scalpore enorme. Interviene immediatamente la Stasi, allarmata da quel riferimento al “muro” e dalla scelta di un letterato “borghese”. I funzionari della polizia segreta decidono di interrogare gli studenti, ma poi preferiscono mettere a tacere lo scandalo.

Conseguita la maturità, dal 1973 al 1978 Angela studia fisica all’Università di Lipsia. Sono gli anni in cui il cantautore dissidente Wolf Biermann viene privato della cittadinanza, lo scienziato Robert Havemann viene arrestato, il filosofo Rudolf Bahro viene spedito come un pacco dall’altra parte della Cortina di ferro. Alcuni degli amici più stretti di Angela sono oppositori dichiarati del regime. Tra questi Reinhard Wulfert, che sarà messo sotto inchiesta ma riuscirà a espatriare. Annota freddamente il suo biografo Gerd Langguth: “Non risulta che Angela Merkel abbia partecipato ad azioni di protesta”. Aggiunge che comunque è una studentessa esemplare, che ogni tanto si guadagnava qualche soldo servendo bevande al bar universitario. Nel 1977 si sposa con Ulrich, da cui prende il cognome con cui è universalmente nota. Nel 1981 il divorzio. Lo giustificherà così: “No, non è stato il grande amore. Non mi sono accostata al matrimonio con la sufficiente serietà. Mi ero sbagliata”.

Nel 1978 è a Berlino, ricercatrice all’Accademia delle scienze. Vi lavorano fisici di fama, ma attrezzature e laboratori sono preistorici. L’immenso calcolatore centrale è stato impiantato dalla Robotron -il Kombinat di Dresda che fabbrica computer- sul modello Ibm e funziona con le schede perforate. Tutte le attività procedono con esasperante lentezza. Nondimeno, Angela nel 1986 consegna la sua tesi di dottorato in chimica quantistica, alla quale deve però accludere un saggio di marxismo-leninismo dal titolo: “Qual è lo stile di vita socialista?”. Censurato dalla commissione esaminatrice poiché trascurava di elogiare le virtù della classe operaia, Angela più tardi scoprirà che dietro c’era lo zampino di un collega da lei molto stimato, Frank Schneider. Questi era infatti un “Im”, cioè un “informatore non ufficiale” della Stasi. In uno dei suoi dossier riferiva che “la donna ha contatti con circoli del Prenzlauer Berg, che poco hanno in comune con la politica del nostro Stato, e anche con giovani artisti e membri della chiesa evangelica. Nonostante consideri il ruolo guida dell’Urss alla stregua di quella di un dittatore, a cui tutti gli altri paesi socialisti soggiacciono, prova entusiasmo per la lingua e la cultura russa […]”.

Schneider probabilmente non sapeva che Angela si era avvicinata alla Da (“Demokratischer Aufbruch”, Risveglio Democratico), uno dei principali movimenti civici che animavano le strade berlinesi prima della “Wende” (La svolta) del 9 novembre 1989. Le prime -e uniche- elezioni libere tenutesi nella Ddr (18 marzo 1990) sono però disastrose per la Da. I cristiano-sociali stravincono.Angela non ci pensa due volte: si dirige verso il locale dove festeggiano la vittoria e incontra il premier in pectore Thomas de Maizière, che la nominerà vice-responsabile per la comunicazione del suo dicastero. Inizia qui la sua irresistibile ascesa al potere. Nell’ottobre 1990 si iscrive alla Cdu unificata, che la candida alle elezioni di dicembre. Entra nel Bundestag e, soprattutto, conosce il padre della “nuova Germania”.

Helmut Kohl capisce subito che “das Mächden” (la ragazzina), come l’avrebbe chiamata, era perfetta per il suo grande disegno. Era infatti donna, figlia delle due Germanie e aveva un innegabile talento politico. Il 18 gennaio 1991 Angela giura come ministro per le donne e i giovani. Alla fine dell’anno è vicepresidente della Cdu. Nel 1994 è ministro dell’Ambiente. Presiede il vertice Onu sul clima (1995) e contribuisce alla stesura del Protocollo di Kyoto (1997). Il suo prestigio internazionale è ormai indiscutibile. Nel 1998 Wolfgang Schäuble la propone come segretario generale della Cdu. Otto anni dopo la riunificazione, la figura di Kohl è ammaccata e stanca. Ma non sarà il solo a soccombere. Il 6 novembre 1999 viene arrestato l’ex tesoriere del partito con l’accusa di finanziamento illecito. La Tangentopoli tedesca taglierà molte teste. Anche Schäuble sarà costretto a dimettersi, sia dalla guida del partito che del gruppo parlamentare. Ma la discesa agli inferi della vecchia guardia della Cdu viene decretata il 22 dicembre 1999 da Angela Merkel, che firma un articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung: “Il partito deve imparare a correre, deve sapere che potrà intraprendere la lotta contro gli avversari anche senza il proprio cavallo da combattimento, come lo stesso Kohl ama spesso definirsi. Come nella pubertà, deve liberarsi dalla propria casa paterna, deve andare per la propria via”. Scacco matto: la base comincia a tifare rumorosamente per la “donna venuta dall’Est”.Sarà lei il futuro della Cdu fino ai nostri giorni.

Paragonandola alla Tatcher, Jacob Augstein di Spiegel ha scritto: ” Anche Merkel è una radicale. Ma la sua radicalità sta nel suo pragmatismo senza confini. Lei è pronta alla svolta più inattesa, eppure rimane fedele al proprio corso interno. Perché il suo compasso interiore indica sempre dove stia il prossimo obiettivo”. Un giudizio azzeccato. Dice Mefistofele nel “Faust” goethiano: “Solo il primo passo è libero; al secondo si è già schiavi”. “Un passo alla volta”, gli fa eco Angela Merkel.Con la sua massima preferita la Kanzlerin ribadisce così un tratto distintivo del carattere tedesco: refrattario alle decisioni impulsive ma aperto all’innovazione. Federico II inizialmente non aveva intuito le potenzialità dell’artiglieria a cavallo, che considerava solo come un inutile spreco di denaro. Ma, di fronte ai vantaggi sperimentati sui campi di battaglia, la trasformò nell’arma vincente dell’esercito prussiano.

Un altro Hoenzollern, Guglielmo II, accolse con diffidenza i primi veicoli con motore a scoppio realizzati sul finire dell’Ottocento da Karl Benz e Gottlieb Daimler. Successivamente favorì la nascita di quella che sarebbe diventata una formidabile industria automobilistica. Insomma: per la cultura teutonica delle regole il futuro non si trova in grembo a Giove, ma -di fronte a un presente per sua natura sfuggente e inafferrabile- deve essere preparato con cura e costruito con ponderazione. Del resto, il paese che oggi offre centinaia di polizze assicurative contro il rischio di un viaggio aereo cancellato all’ultimo minuto, è stato anche il paese di Hegel e Heidegger. E cioè dei pensatori che hanno indagato in pagine memorabili le strutture emotive e psicologiche di quell’angoscia (“Angst”) che è un dato costitutivo dell’esperienza umana.

Siamo quindi lontani dalla vulgata di una Germania cinica e egoista, di cui si nutre l’Europa intera da quando è stata assalita dalla crisi. La tesi è sempre la stessa: è il dogma del pareggio di bilancio che sta uccidendo il sogno di Robert Schumann e di Altiero Spinelli. E dietro l’austerity imposta da Berlino molti credono di intravvedere l’ombra inquietante di Martin Lutero o quella luciferina di Max Weber, che però la genesi del capitalismo l’aveva imputata all’etica calvinista e delle sette protestanti radicali. Come ha osservato Angelo Bolaffi in un libro che smonta in modo esemplare questi stereotipi (“Cuore tedesco”, Donzelli, 2013), le cose sono assai più complicate. Beninteso, l’europeismo della Merkel non è quello fiducioso e romantico dei padri fondatori. Ma il suo antikeynesismo non può essere dedotto -come qualcuno ha avventurosamente sostenuto- da un ottuso vincolo morale, che troverebbe una clamorosa conferma nella coincidenza semantica di debito e colpa -messa in luce già da Nietzsche- nel termine “Schuld”. E questo per la semplice ragione che lo stato sociale in Germania è nato prima (con Bismarck e Lassalle) e si è sviluppato poi (nella Repubblica di Weimar con il “Sozialer Rechsstaat”, lo Stato sociale di diritto) indipendentemente dalle teorie di Keynes e di Beveridge.

Quando la Germania era il “malato d’Europa” (come la bollò l’Economist) fu accusata da Paul Krugman di non aver capito che il mondo era cambiato, e che pertanto occorreva privilegiare il valore della flessibilità rispetto a quello della disciplina. Ma non potendo lui-acceso assertore del deficit spending- fare proprie le critiche dei neoconservatori anglosassoni, per i quali le difficoltà dell’economia tedesca derivavano da un welfare troppo generoso, ne attribuì la causa nientemeno che alla rigidità pietista dell’imperativo categorico di Kant: “Quello che i tedeschi veramente vogliono è un quadro chiaro di principi: norme che specifichino […] quando i negozi saranno aperti e che valore ha il marco. Gli americani, invece, sono filosoficamente e personalmente più sciamannati. Essi si adattano con qualunque cosa sembra funzionare […](“Fortune”,19 luglio 1999).

Un’ultima considerazione. In un pionieristico pamphlet sui problemi politici del pieno impiego (1943), Michal Kalecki sostenne che Hitler era stato il più diligente allievo di Keynes, e che il suo “keynesismo militarizzato” aveva rappresentato l’applicazione più conseguente della “Teoria generale”. Questa tesi ha profondamente influenzato i teorici dell’ordoliberalismo e dell’economia sociale di mercato, oggi difesa con tenacia dalla Merkel. Ma, al di là della tragedia del nazismo, il trauma che ha segnato in maniera indelebile la biografia della cancelliera è stato il fallimento del socialismo tedesco, conclusosi con la dissoluzione della Ddr. Una sorta di “keynesismo impazzito”, in cui la mortificazione della libertà dell’individuo (stupendamente descritta nel film “Le vite degli altri”) si associava a un sistema capace di garantire soltanto burocrazia, corruzione e inefficienza economica. “Dare addosso” alla Merkel è stato uno sport assai diffuso, ma in pochi si sono interrogati sulle ragioni storiche della sua ossessione per “i conti in ordine”. Ma forse anche la cancelliera ha sottovalutato il rischio di un “dissidio spirituale” tra Germania e Europa, per usare una celebre espressione di Benedetto Croce. Per scongiurarlo, occorrerebbe una Germania più europea e non un’Europa più tedesca.

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