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Banche Kabul

Afghanistan: la rabbia, l’orgoglio e il coraggio. L’esempio di Crystal Bayar

"Grazie, Crystal, per il coraggio che hai fatto prevalere sulla paura nella tua Kabul"

 

Si chiama Crystal Bayar, ha 24 anni, quasi quanto è durata l’occupazione militare del suo Paese da parte delle truppe occidentali, l’afghana ripresa a manifestare a Kabul qualche giorno fa e proposta in prima pagina ai suoi lettori dal Corriere della Sera. Che l’ha intervistata riportandone, certo, la paura avvertita mentre sfilava per le strade di Kabul con la bandiera che inutilmente i talebani le avevano ordinato di buttare via, ma anche la decisione di restare fra i coetanei, i genitori, gli anziani nella sua terra, senza unirsi alla calca dell’aeroporto e dintorni. Le cui immagini tirano, diciamo così, sui giornali più di tutte le altre che provengono da quel Paese.

“Mia madre – ha detto Crystal – mi ha raccontato molte storie dolorose sul periodo in cui i talebani governavano il Paese, quando io ero piccolissima. Mia madre è un medico, ha aiutato molto le donne durante l’era talebana. Io sono cresciuta nel Paese con i cambiamenti avvenuti dopo il 2001. Sono andata a scuola, ho frequentato l’università, ho un master e sto studiando per ottenere un dottorato. Faccio attività politica, sociale, civile per i diritti”.

Crystal è insomma sopravvissuta al “massacro” del e nel suo Paese cui Luciana Castellina – scusate se ripeto ciò che le ho già contestato – ha accusato i “nostri ragazzi” di avere contribuito alternandosi nelle missioni dei militari occidentali. E, pur comprendendo la paura di chi, avendone evidentemente più di lei, scappa anche a costo di appendersi agli aerei che decollano per poi abbandonarsi nel vuoto e morire, ha pensato – ripeto anche questo – di potere e dover rimanere non solo e non tanto per testimoniare quanto per difendere ciò che le è stato insegnato e permesso nella sua giovane vita. Anziché fuggire ha preferito continuare a coltivare ciò che gli occidentali hanno “seminato” nel suo paese, lasciando quella che il presidente del Consiglio Mario Draghi ha definito “una traccia profonda nella società afghana”.

Di fronte all’immagine e alle parole di Crystak Bayat, alla quale auguro naturalmente tutto il bene di questo mondo, complimentandomi con la madre che ha saputo allevarla così bene, meglio ancora di quanto possano avere aiutato a farla le truppe di occupazione ritiratesi, trovo vomitevole – per ripetere un aggettivo che l’interessato usa spesso contro chi dissente da lui-  ciò che ho letto proprio oggi di Marco Travaglio sul giornale che dirige.

In particolare, prendendosela con un “veterano della missione italiana”, avventuratosi a dire al Giornale della famiglia Berlusconi che “i nostri insegnamenti sono stati efficaci”, ha commentato: “Gli abbiamo insegnato a scappare”. Il direttore del Fatto Quotidiano merita di ricevere per ritorsione, diciamo così, ciò che lui ogni lunedì dice ad un po’ di malcapitati della settimana precedente non sfuggiti alla sua attenzione in una rubrica editoriale sotto questo titolo: “Ma mi faccia il piacere”.

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