Caro direttore,
si vocifera che il centrodestra stia pensando a una riforma del Rosatellum basata su due punti fermi: proporzionale con premio di maggioranza per la coalizione che ottiene il 40-45 per cento del voto nazionale; indicazione sulla scheda del premier (un bel rebus per i leader del campo largo). Sul resto (reintroduzione delle preferenze, applicazione della nuova legge al Senato). Vedremo, in tal caso, quale sarà il giudizio della Consulta.
Ora, immaginiamo una legge elettorale che assegni il 65 per cento dei seggi alla coalizione che raggiunge il 50 per cento più uno dei voti validi espressi. Cambiano i numeri, ma siamo lì. Eppure sessantadue anni fa fu considerata un imbroglio e divenne teatro di una “patria battaglia” che appartiene alle mitologie della storia repubblicana.
La “legge truffa” del 1953 – la definizione si deve forse a Piero Calamandrei – fu interpretata sia come un cupo episodio della restaurazione postbellica, sia come un apprezzabile tentativo di garantire una governabilità messa a repentaglio dalla frammentazione partitica.
Allora la sinistra si impegnò in una lotta senza esclusione di colpi per affossarla, denunciandone il carattere liberticida (non passò per un soffio). I partiti di centro invece la difesero come una specie di ultima spiaggia per la democrazia italiana. Fuori dal coro “Il Mondo”, che con Gaetano Salvemini si spese per la creazione di un’area liberaldemocratica trasversale al sistema dei partiti. L’appello, nonostante l’adesione di prestigiosi intellettuali, ebbe scarsa fortuna.
Il dramma del 1953 si ripeterà come farsa nel 2026?