Non si finirà mai di ricostruire l’orrenda serata del 30 aprile di trenta anni fa delle “monetine” (e non solo) lanciate contro Bettino Craxi, ogni volta con qualche particolare in più che fa ancora rabbrividire. Ma i fatti di ieri e di oggi, nella loro cruda oggettività, parlano chiaro. Intanto, il “teatro” dove avvenne quel processo di piazza era Largo Febo, dove è il “Raphael”, residenza privata di Craxi, la piazzetta dietro Piazza Navona, dove era appena terminata l’affollata manifestazione del Pds.
Stefania Craxi ha ricordato ieri in un’intervista a il quotidiano “Il Giorno” che davanti all’hotel “c’era un drappello di militanti inferociti e aizzati, che arrivavano dal comizio di Occhetto in piazza Navona, con qualche missino”.
I fatti di quella serata. Il grosso degli assalitori era “rosso”. E i fatti di oggi dicono che mentre dalla destra e da tutto il centrodestra sono arrivati significativi riconoscimenti alla figura di Craxi, la sinistra post-comunista, mai presente con una delegazione ufficiale nelle commemorazioni al cimitero cristiano di Hammamet, non solo non ha mai chiesto scusa per quella che Craxi definì un’aggressione “squadrista”, ma ha disconosciuto la stessa figura dello statista socialista.
Tranne singole, rare eccezioni. Come quella del vignettista e ex direttore dell’”Unità”, Sergio Staino, che alcuni anni fa alla Fondazione Craxi, rivedendo un video di quel 30 aprile 1993, si commosse e chiese scusa anche per chi non lo continua a fare e cerca ora di annacquare il tutto dando la colpa a un indistinto “populismo” di stampo “rosso-bruno”.
In realtà, come ricorda la Craxi, senatrice di Forza Italia, presidente della commissione Esteri e Difesa di Palazzo Madama, “la barbarie, l’evento squadrista” nasce da lontano. Da quella grande avversione del Pci, quella delegittimazione persino sul piano antropologico dell’unico leader della sinistra moderna e in quanto tale radicalmente anti-comunista che abbia avuto questo Paese. L’aggressione, afferma Stefania Craxi, “scaturiva dall’aria mefitica di Tangentopoli, da quel moralismo militante, come io chiamo il giustizialismo, che la sinistra inoculò nel sistema politico e nella società italiana. Ma, in realtà, la caccia al ‘cinghialone’ era cominciata molti anni prima”.
Si riferisce alla guerra a Craxi fatta dal Pci?, le chiede Raffaele Marmo per “Il Giorno”. La Craxi: “Certo. Ricordo che bruciavano la sua effigie e che alle feste dell’ ‘Unità’ mangiavano la trippa alla Bettino. Adesso cominciano ad emergere anche scritti che indicano come già negli anni ‘70 cercarono di creare il mostro Craxi. Del resto, il braccio destro di Enrico Berlinguer, Tonino Tatò, disse che era un capobanda. Dunque, quelle monetine erano figlie del clima infame del momento, ma la demonizzazione veniva da lontano”. E su Achille Occhetto che oggi afferma che quelle immagini lo colpirono e furono “un esempio di barbarie innescata dal furore giustizialista”, la Craxi replica secca: “Non ricordo che Occhetto rimase contrariato e che fece queste valutazioni. Lo dice ora solo perché sente l’aria. Non si può difendere l’indifendibile”.
Conclusione: “I grillini sono e sono stati i figli dei lanciatori di monetine del Raphael. Dal Pd mi pare purtroppo che si siano levate ben poche voci, anche il 25 aprile, per dire che bisogna finirla con un clima da guerra civile perdurante. Serve avviare una fase di pacificazione nazionale che passa anche da un’operazione verità sul biennio ’92-’94″.
Oggi la Craxi in un’ intervista con “Il Giornale” chiosa: “A trent’anni dalle monetine, la sinistra è ancora giustizialista”.
È un fatto che trent’anni dopo quel 30 aprile ’93 la figura di Craxi resti disconosciuta dalla sinistra post-comunista. Tranne la presenza di alcuni esponenti dem a titolo personale per il ventennale della morte, il Pd ufficialmente assente. A differenza di esponenti renziani di Italia Viva. Mentre per il centrodestra, a cominciare da Silvio Berlusconi, che ha sempre omaggiato la memoria di Craxi, anche quest’anno delegazioni ufficiali di FI, della Lega di Matteo Salvini, lettere e prese di posizione negli anni di esponenti di FdI. Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri, numero due di FI, andò sulla tomba di Craxi in occasione di una visita ufficiale in Tunisia da presidente del Parlamento Europeo. Fatti, trent’anni dopo quel 30 aprile.