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Google Canada

Via Chrome dall’impero di Google. L’Antitrust Usa fa a pezzetti Mountain View?

Questa volta a insidiare una Big Tech americana non è la solita puntigliosa Commissione europea, ma la Giustizia degli Stati Uniti: Google potrebbe essere costretta a separarsi da Chrome e ad autoimporsi diversi limiti sul proprio s.o. Android, alla base dell'intricato ecosistema di software e servizi che permettono a Mountain View di prosperare. Per evitarlo Alphabet dovrà appellarsi a Trump?

Con ogni probabilità Google nei prossimi anni sarà molto diversa da come la conosciamo oggi. Non solo perché, se l’Intelligenza artificiale prenderà davvero piede, nessuno avrà più bisogno di navigare le sue tediose e monotone schermate di ricerca (con l’affinarsi degli algoritmi sarà possibile chiederle “riassumi l’Odissea” o “raccontami in 1000 parole i risultati delle presidenziali Usa” e si avrà un temino più che soddisfacente, senza gli scivoloni attuali), ma anche perché il Dipartimento di Giustizia Usa intende ridisegnarne il perimetro aziendale, obbligando l’azienda a scorporare Chrome, il browser che si è rapidamente imposto sul rivale di Microsoft e, soprattutto, su Firefox.

GOOGLE PERDE CHROME?

Mentre il legislatore statunitense impone alla software house cinese ByteDance di liberarsi di TikTok e a trovare un acquirente meno allineato con Pechino, in patria Antitrust e Dipartimento di Giustizia sembrano intenzionate a costringere Google a liberarsi di Chrome avendo definito illegale il monopolio di Alphabet, casa madre di Google, nel settore delle ricerche sul web.

IL MONOPOLIO DI MOUNTAIN VIEW È EVIDENTE

Chrome attualmente è il browser più diffuso al mondo. Non solo su PC, dove si è rapidamente diffuso grazie alla straordinaria lentezza di Internet Explorer (un tempo Microsoft aveva di fatto il monopolio nel settore) ma riuscendo, con tutti i soldi che Mountain View ha speso in R&D, a superare persino la diffusione di Firefox di Mozilla Foundation, che naturalmente non può e nemmeno vuole competere e spendere simili cifre. Ma soprattutto Google ha il dominio su smartphone e tablet. E avrebbe ottenuto questo risultato – sostiene la giustizia americana – per mezzo di accordi ritenuti illegittimi con i produttori di device, per lo più asiatici.

L’AIUTINO ARRIVA DAGLI SMARTPHONE ASIATICI?

Del resto, la maggior parte dei cellulari ha Android come sistema operativo. E Android è di Google. L’utente sarà così invogliato a usare Chrome per navigare, sebbene di solito sia presente anche un browser piuttosto limitato che potremmo considerare “bianco”. In pochissimi scelgono di aprire il Play Store (sempre di Google) per scaricare un software per la navigazione Web differente.

Per questo, allo stato attuale, si può dire che Google disponga di due terzi del mercato globale dei browser e, allo stesso tempo, monopolizzi le ricerche online, dato che l’89% del traffico di chi va ricercando una pizzeria, una news, una strada o un fatto storico quotidianamente passa dal motore messo a punto da Mountain View.

GLI USA IMPORRANNO A GOOGLE DI VENDERE CHROME?

Secondo l’agenzia Bloomberg, l’Antitrust americano avrebbe suggerito alla Corte di imporre a Google la cessione del browser Chrome, come pure la separazione del sistema operativo per smartphone Android dagli altri prodotti di Alphabet.

Allo stato attuale, sebbene Alphabet si sia mossa con lungimiranza per non restare ancorata al solo business delle ricerche online, offrendo al consumatore una pluralità di servizi ormai difficile da contare (mail, mappe, tv, wallet, cloud, software per teleconferenze, domotica e naturalmente YouTube, fino ad hardware come tablet, cellulari, auricolari e smartwatch), l’intero ecosistema potrebbe rivelarsi assai più fragile di quanto non si creda, dato che poggia in fondo sulla presenza dei sistemi operativi Android su cellulari e tablet.

Due le speranze cui può aggrapparsi Mountain View, salvo che le sue schiere di legali non trovino scappatoie di tipo giuridico: la prima che la vendita vada deserta. Per Chrome in effetti Mountain View sarebbe autorizzata a chiedere una cifra stellare che potrebbe scoraggiare anche le altre Big Tech sulla scena che, in questo periodo, stanno già riversando miliardi nello sviluppo di soluzioni di Intelligenza artificiale.

TRUMP SCALERA’ MOUNTAIN VIEW?

La seconda riguarda Donald Trump, dato che l’amministrazione Biden è agli sgoccioli e se Alphabet riuscisse a ritardare di poche settimane l’iter, nel mentre si sarebbe già insediato il prossimo inquilino della Casa Bianca.

C’è però un problema: Trump non ama affatto Google e ritiene anzi che il motore di ricerca gli abbia remato contro per tutta la campagna elettorale, sfavorendolo nelle ricerche online. Potrebbe pure aver ragione, dato che i risultati delle ricerche, pur inserendo le medesime parole chiave, variano a seconda dell’utente e l’esatto funzionamento degli algoritmi è sconosciuto e segreto, come la ricetta della Coca Cola.

IL RISCHIO CINESE

L’esempio della Coca Cola però è calzante, dato che è un simbolo del made in Usa. Con il nuovo presidente americano Google potrebbe far valere proprio lo spirito patriottico del tycoon repubblicano e ricordargli che attualmente, sul fronte tech, gli Usa stanno giocando la partita in difesa, mentre la Cina è una fucina di innovazioni. Indebolire insomma l’ecosistema americano in un momento così cruciale potrebbe essere uno svantaggio per l’intero Paese. E chi decise di bandire Huawei per avvantaggiare i player autoctoni non è certo sordo a simili sirene.

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