Dopo la grande scissione da tutti i social, accusati di essere parziali e antidemocratici, che portò all’inizio del ’22 il tycoon statunitense alla creazione della propria piattaforma, Truth Social, Donald Trump ora rivolge le sue attenzioni e i suoi strali a Google, la piazza per antonomasia di Internet, accusandolo di parteggiare per l’avversaria, la sfidante democratica Kamala Harris.
TRUMP SE LA PRENDE CON GOOGLE
“È stato stabilito che Google ha utilizzato illegalmente un sistema per rivelare e visualizzare solo storie negative su Donald J. Trump, alcune inventate, mentre, allo stesso tempo, rivela solo storie positive su Kamala Harris”, tuona il candidato repubblicano dal suo Truth.
“Questa è un’attività illegale, auspico che il Dipartimento di Giustizia li persegua penalmente per questa palese interferenza nella competizione elettorale. Se non avverrà – la minaccia con toni di ultimatum del repubblicano -, in base alle leggi del nostro Paese, chiederò loro di procedere penalmente ai massimi livelli, quando vincerò le elezioni e diventerò Presidente degli Stati Uniti.”
LA RISPOSTA DI GOOGLE
Google, che dal canto suo in vista delle presidenziali ha iniziato a blindare le proprie piattaforme (non solo il sistema di ricerca, ma anche YouTube) dalle numerosissime insidie dei deepfake creati con l’Ia, replica sostenendo che “entrambi i siti web delle rispettive campagne elettorali appaiono costantemente in cima a Search nella ricerche pertinenti e comuni”.
L’accusa di Trump questa volta non sembra però la solita fuga in avanti del candidato rispetto al suo stesso partito. Il Media Research Center dei conservatori, l’organo di controllo per i mezzi di comunicazione, in precedenza aveva infatti pubblicato alcuni studi secondo i quali il motore di ricerca di Mountain View cercando per esempio “corsa alla presidenza di Donald Trump 2024”, tenda a mostrare per lo più notizie positive sulla sfidante Harris.
META SI RIPOSIZIONA
Mentre Trump individua in Google il suo nuovo nemico prediletto, sembrano dimenticati i dissapori con Meta. Il tycoon, che ancora a inizio anno aveva definito Facebook “nemico del popolo” ha riavuto indietro i propri account privi di ogni restrizione.
E mentre Trump spendeva parole parole a favore dell’attività social di Menlo Park (l’alternativa, in sostanza, per il tycoon sarebbero i cinesi di TikTok) il founder di Facebook rivelava casi di censura dell’amministrazione di Joe Biden in epoca Covid.
LE ACCUSE DI ZUCKERBERG A BIDEN
“Nel 2021, alti funzionari dell’amministrazione Biden, tra cui la Casa Bianca, hanno ripetutamente fatto pressione sui nostri team per mesi affinché censurassero determinati contenuti sul Covid 19, tra cui umorismo e satira, e hanno espresso molta frustrazione nei confronti dei nostri team quando non eravamo d’accordo”, ha affermato Zuckerberg.
Nella sua lettera alla commissione giudiziaria, il numero 1 di Facebook ha sostenuto che la pressione che ha sentito nel 2021 era “sbagliata” e che è arrivato a “rimpiangere” che la sua azienda non sia stata più onesta con la propria utenza. Una ammissione tardiva, proprio sotto elezioni, che pare un riposizionamento della società in chiave repubblicana.