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Microsoft

Vi spiego che cosa combina Microsoft con Skype e Cortana

C'è totale mancanza di trasparenza dell’operato dei colossi come Apple, Amazon e Microsoft che non spiegano volentieri in maniera completa, corretta e accessibile le operazioni eseguite sulle voci (e su ogni altra azione) dei propri utenti. Il commento di Umberto Rapetto

 

La storia di Facebook che registra le nostre voci, arriva dopo quella di “Siri” di Apple e quell’altra di Amazon (e della sua fida Alexa) cui nulla sfugge. E poi che succederà?

Chi ha fretta di conoscere il futuro, si accontenti di sapere cosa accade oggi. Chi teme per la propria riservatezza prenda atto che anche Microsoft non si perde una parola di quel che diciamo e – per avere certezza di quel che il computer ha sentito è corretto – affida a strutture esterne il noioso compito di riascoltare e verificare la corrispondenza tra le frasi pronunciate e quelle trascritte dai sistemi automatici.

L’utilizzo di Skype e dell’assistente vocale Cortana comporta attività di registrazione audio e – come adesso si legge nella “policy” a disposizione degli utenti – di successiva elaborazione con strumenti elettronici e con l’impiego di personale addetto allo specifico scopo.

L’azienda di Bill Gates (fors’anche in considerazione del pullulare di scandali in tema di privacy) non fatica ad ammettere che le procedure automatizzate sono “integrate” dall’intervento di operatori “umani”. L’esame materiale dei file audio è mirato a costruire, addestrare e migliorare l’accuratezza delle soluzioni tecnologiche basate principalmente su sistemi di intelligenza artificiale attualmente in esercizio. In particolare l’analisi di “piccole” porzioni di dati (ma la vera entità è certo sconosciuta) servirebbe a perfezionare la trascrizione e la traduzione dei discorsi fatti dalle voci registrate.

Quel che spiace maggiormente è la totale mancanza di trasparenza dell’operato dei colossi dell’informatica che non spiegano volentieri in maniera completa, corretta e accessibile le operazioni eseguite sulle voci (e su ogni altra azione) dei propri utenti.

La notizia che anche Google colleziona file audio (e ne affida la lavorazione a soggetti terzi che vengono contrattualizzati allo specifico scopo) è l’ennesima conferma della sudditanza dei cybernauti nei confronti dei “big” dell’universo tecnologico. Ognuno viene schedato per le ricerche effettuate in Rete, per la navigazione sui diversi siti e per il tempo trascorso sulle singole pagine, per le opinioni espresse sui social e per le “reazioni” (dai like agli emoticon di segno avverso) a certi contenuti, per la rete di relazioni instaurata (dagli “amici” ai followers fino alle persone che si seguono) e per la frequenza delle interazioni con Tizio, Caio e Sempronio.

Il fatto che “Cortana”, l’assistente vocale delle più recenti versioni di Windows, assilli l’utente per dare un aiuto non richiesto e per farsi dire qualcosa con agghiacciante insistenza, giustifica le risposte di chi siede alla tastiera. I “vaffa” si sprecano e il turpiloquio impera nelle conversazioni standard tra utilizzatore e assistente vocale. Io stesso ho “mandato a quel Paese” Cortana nelle poche occasioni in cui ho adoperato un PC con Windows 10: il programma mi ha risposto che “sono cose che non si dicono”, dimostrando che il sistema si era evoluto (in passato replicava “non ho capito” oppure “perché?”).

A metter giudizio alle tecnologie ci pensano gli utenti più caparbi, quelli che mal digeriscono di avere un software che soffia costantemente sul collo. E così la base di metaconoscenza dei sistemi di intelligenza artificiale si arricchisce ogni giorno di parolacce e imprecazioni, contribuendo ad involgarire il database di espressioni ricorrenti su cui si basa il rapporto interlocutorio tra essere umano e macchina.

E’ vicino il momento in cui il computer – al “vaffa” dell’utente estenuato – replicherà “vacci tu, pezzo di m….”. Sarà un grande giorno, insuperabile, nemmeno secondo alla paralisi di HAL in “2001, Odissea nello spazio”.

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