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Uber

Uber, conti in rosso. La sharing economy ha fallito?

Mentre i conti di Uber continuano a registrare importanti perdite, Presidente e altri dirigenti lasciano il timone dell’azienda. E’ il fallimento della sharing economy? Non è certo un bel periodo per Uber, la società di San Francisco che ha avviato un servizio di di trasporto privato a metà tra il taxi e il noleggio di…

Mentre i conti di Uber continuano a registrare importanti perdite, Presidente e altri dirigenti lasciano il timone dell’azienda. E’ il fallimento della sharing economy?

Non è certo un bel periodo per Uber, la società di San Francisco che ha avviato un servizio di di trasporto privato a metà tra il taxi e il noleggio di auto con autista, che deve fare i conti con i dirigenti che abbandonano il timone e con perdite ancora eccessive. Colpa, si dice, dei grandi investimenti, ma non solo. Approfondiamo insieme.

Uber: i dirigenti abbandonano la nave

In Uber, il numero di partenze importanti è in crescita. Jeff Jones, presidente di Uber, ha lasciato l’azienda dopo appena sei mesi di lavoro. E presto, come anticipa The New York Times, anche Brian McClendon, vice presidente della divisione Mappe, prevede di lasciare il timone entro la fine del mese.

C’è da dire che se è vero che entrambi lasciano, è vero anche che lo fanno in circostanze molto diverse. Mr. Jones si è dimesso dopo che il numero uno di Uber, Travis Kalanick, ha detto che la società ha bisogno di un altro tipo d leadership e che è alla ricerca di un direttore operativo. “I miei valori e il mio approccio alla leadership che hanno guidato la mia carriera fin qui sono in contrasto con quello che ho visto e sperimentato in Uber”, avrebbe detto Mr. Jones.

Mr. McClendon, invece, lascia amichevolmente Uber e anche se fuori, sarà un consulente dell’azienda. Andrà in Kansas ad occuparsi di politica e il suo ultimo giorno a Uber sarà il 28 marzo.

Ma ci sono anche altri esodi, come quello di Raffi Krikorian, che ha lasciato l’azienda la scorsa settimana, e quello di Gary Marcus, che ha lasciato l’azienda questo mese.

La partenza di Jones era stata anticipata da Recode e confermata nelle scorse ore da Matt Kallman, un portavoce di Uber, che avrebbe scritto “Vogliamo ringraziare Jeff per i suoi sei mesi presso l’azienda e gli auguriamo tutto il meglio”.

L’uscita di scena rappresenta un bel problema per l’azienda e per i soci, desiderosi di una stabilità dopo mesi di turbolenze. Anche la partenza di McClendon sarà un guaio per la società di San Francisco, dal momento che l’ingegnere amato dalla Silicon Valley, si occupava di sviluppi strategicamente importanti per l’azienda, come quelli di mappatura e geolocalizzazione.

I conti di Uber

Travis Kalanick
Travis Kalanick. Ceo Uber

Sapere perchè in tanti stanno abbandonando il timone, in Uber, è difficile. Quel che è certo è che i conti al momento non vanno bene. Travis Kalanick non rende pubblici i bilanci, ma non sono mancate le indiscrezioni e qualcosa è comunque trapelata dal consiglio di amministrazione. Secondo il sito The Information, Uber anche nel 2016 ha registrato importanti perdite. L’azienda di San Francisco avrebbe perso circa 2,8 miliardi di dollari (una cifra in crescita rispetto ai 2,2 miliardi persi nel 2015).

E quel che è peggio, forse, è che Uber un risultato così brutto se lo aspettava. La società, fin dal 2009, anno della sua fondazione non ha mai registrato utili. Sempre secondo il sito The Information affermano,  Uber avrebbe perso quasi 700 milioni di dollari nel 2014 e solo nella prima metà del 2015 quasi un miliardo di dollari. A fronte di queste perdite, il fatturato netto è stato di circa 500 milioni di dollari nel 2014, con quasi 700 milioni di spese operative, e 1,5 miliardi nel 2015.

É vero che il patrimonio e i ricavi (almeno al momento) permettono di essere ancora ottimisti, ma è vero anche che ancora non si vede la luce in fondo al tunnel e che questa situazione non può durare a lungo.

Non tutto il bilancio di Uber, infatti, è negativo. L’azienda di San Francisco ha fatturato circa 5,5 miliardi di dollari nel 2016, più del doppio dei due miliardi incassati nel 2015.

Uber: troppi investimenti?

Ad onor del vero, dobbiamo ammettere che Uber investe tanto. Forse troppo, più di quel che può permettersi (secondo i calcoli di TechCrunch, spende 1,55 dollari per ogni dollaro che guadagna). E mentre prova a conquistare nuovi mercati, l’azienda prova anche a scommettere in settori innovativi, come quello delle auto senza conducente.

Tutti questi investimenti, però, non bastano a giustificare le performance pessime, che sarebbero dovute anche alle ante cause in corso di svolgimento e ad attività di dumping (in pratica Uber terrebbe i prezzi artificialmente bassi per eliminare la concorrenza).

Il fallimento della sharing economy

UberE ancora. A non far volare i conti di Uber potrebbe essere qualcosa di ben più grave. Un “problema” di fondo della sharing economy. Una volta che si crea un contatto diretto tra autista (in questo caso) e utente, l’applicazione non ha più senso di esistere. Insomma, si passa tra offerente e consumatore al dialogo diretto, a discapito di Uber che non incassa più la percentuale sulla corsa.

Insomma, in base a questo modo di fare (non universale, per carità) Uber potrebbe presto finire le riserve di denaro racimolate negli anni passati e i 77 gruppi di investitori che hanno creduto all’icona della sharing economy potrebbero iniziare a ripensarci.

E la quotazione?

La quotazione dovrebbe arrivare entro il 2017, ma la poca stabilità e i conti ancora in rosso potrebbero essere motivo di un posticipo. E nonostante non ci siano bilanci pubblici e le perdite registrate siano importanti, l’azienda fondata nel 2009 a San Francisco da Travis Kalanick, secondo le stime di Dow Jones Venture Source, vale 68 miliardi di dollari.

Tantissimo. Potrebbe essere l’azienda privata più valutata del mondo. Per avere un’idea, si pensi che SnapChat il giorno della sua quotazione ha raggiunto un valore di 24 miliardi di dollari, mentre Alphabet (Google) valeva 27,2.

Uber in Italia: verso la fine della guerra con i tassisti?

Ai tassisti Uber non è mai stato simpatico, dal momento che ruba i potenziali clienti. In tutte le città del mondo i conducenti delle auto bianche hanno scioperato e manifestato contro l’idea arrivata dall’America. L’ultima battaglia che vede protagonisti i due fronti è scoppiata qualche settimana fa, quando il Governo ha approvato il decreto milleproroghe in cui un emendamento, a firma di Linda Lanzillotta e Roberto Cociancich, rinvia alla fine dell’anno il termine per l’emanazione di un provvedimento contro “l’esercizio abusivo dei taxi” e il “noleggio con conducente”.

Ma una soluzione potrebbe esser vicina. Nei giorni scorsi l’Antitrust ha proposto l’eliminazione delle limitazioni territoriali che gravano sugli Ncc (e quindi anche su Uber), equiparandoli di fatto ai taxi, a patto che sia previsto un un regime transitorio che garantisca ai tassisti un rimborso per la prevedibile svalutazione delle licenze, pagate anche 200mila euro.

A questa soluzione la casa di San Francisco sembra starci, almeno secondo le parole di Carlo Tursi, responsabile Uber Italia: se il mercato dovesse essere liberalizzato, anche l’azienda di sharing economy contribuirà ad un fondo per compensare i tassisti.

All’incontro fissato per lunedì 20 marzo tra Uber e i tassisti, però, nessuna sigla sindacale delle auto bianche si è presentata. E la cosa non fa certo ben sperare.

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