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Uber, il ceo Travis Kalanick non abbandona realmente il timone

Sarà lui a prendere le decisioni strategiche per Uber: l’aspettativa è solo una decisione per tenere a bada le critiche dei media

 

Il ceo di Uber ha abbandonato il timone. Dopo le accuse di molestie sessuali e atti di bullismo nei confronti dei dipendenti, Travis  Kalanick ha annunciato a tutti che prenderà una pausa. Obiettivo: crescere e maturare, anche professionalmente, per poter riprendere il suo ruolo. Ruolo, però, che sarà ridimensionato, dal momento che alcune sue responsabilità, fin da ora, passano in mano altri manager dell’azienda.

Ma basta davvero una pausa per risolvere tutti i problemi di Uber? Andiamo per gradi.

Cosa è Uber

Uber è una start up con sede a San Francisco che ha creato un’applicazione: si tratta, dunque, di un servizio digitale. Un servizio, però, che si traduce nella realtà quotidiana in passaggi a prezzi bassi, rappresentando una forma di concorrenza diretta per le compagnie di trasporto tradizionali.

Obiettivo della casa di San Francisco, infatti, è rappresentare una valida alternativa alle auto provate, ai mezzi di trasporto e ai taxi. E ci prova sfruttando il potenziale della sharing economy. Gli automobilisti sfruttano la propria stessa auto per trasformarsi in strumenti per il trasporto urbano altrui.

Nei primi mesi, Uber era un’app per richiedere auto di lusso in alcune zone metropolitane. Negli anni, l’azienda è cresciuta, si è rinnovata e ha allargato il proprio business, modificando le abitudini. Che si tratti di una corsa, di un sandwich o di un pacco, la  casa di San Francisco prova a dare alle persone quello che vogliono, quando vogliono.

“Per tutte le donne e gli uomini che guidano con Uber, l’app rappresenta una nuova e flessibile fonte di guadagno. Per quanto riguarda le città, diamo vigore alle economie locali, miglioriamo l’accesso ai trasporti e rendiamo le strade più sicure. Se i trasporti sono affidabili, tutti ne beneficiano, soprattutto quando fuori nevica!”, si legge sul sito dell’azienda.

Cosa è accaduto

Susan Fowler è una donna ingegnere assunta, nel 2015, da Uber. Fin dai primi giorni di lavoro (dal racconto di Susan), la ragazza ha dovuto subire pressioni e molestie sessuali dall’amministratore delegato (e cofondatore) Travis Kalanick.

Vista l’insistenza del suo capo, la neoassunta ha informato il capo del personale della situazione, che trattandosi di high performing manager’ (ovvero di un manager che fa molto bene il suo lavoro), ha preferito non intervenire.

Susan Fowler ha deciso di lasciare l’azienda di San Francisco. Ora lavora per un’altra startup, il gigante dei pagamenti Stripe.

Kalanick ha respinto le accuse e ha avviato un’indagine ad ampio raggio sulla questione. L’indagine interna, come ha scritto il The Guardian, si è conclusa in questi giorni con il licenziamento di 20 persone con l’accusa di molestie sessuali.

Travis Kalanick

Travis Kalanick. Ceo Uber

All’indagine sarebbe seguita anche una lettera  di Kalanick ai manager in cui dà loro istruzioni su come relazionarsi ai dipendenti.

E ancora. Il 1 marzo 2017, infatti, un dipendente ha pubblicato, su Youtube di Bloomberg, un video in cui discuteva della situazione difficile degli autisti dell’azienda proprio con il Ceo.

Il cambio di regole continuo e la riduzione dei prezzi faceva guadagnare sempre meno agli autisti. ‘Ho perso 97 mila dollari finora per colpa tua’ gli dice l’autista. Cabiate tutto ogni giorno!’. La risposta è brutale e colpevolizza l’autista della sua situazione.

Travis  Kalanick si prende una pausa

In seguito alla pubblicazione del rapporto sulla cultura di Uber, richiesto dopo lo scandalo di molestie sessuali, l’amministratore delegato della socità, Travis Kalanick, si prende un’aspettativa senza precisare quando intende tornare al suo ruolo.
Ruolo, però, che sarà ridimensionato, con alcune delle sue responsabilità che saranno distribuite fra chief operating officer e il presidente.

Nell’email inviata ai dipendenti, Kalanick afferma di aver bisogno di tempo dopo la morte della madre, “per riflettere e lavorare su se stesso”. La pausa servirà, spiega l’ex numero uno, per lavorare sull’idea di “Uber 2.0”. Ma prima di lavorare a questo devo lavorare per dar vita a “Kalanick 2.0”

Una crisi ancora più profonda?

La decisione di Kalanick fa sorgere delle domande. Quanto tempo una società di 12.000 persone che è valutata a tra 60 e 70 miliardi di dollari, potrà stare senza un Ceo? Per quanto tempo trà svolgere le sue attività senza incorrere in una crisi ancora più profonda?

Sì, perchè l’allontanamento di Kalanick, se da una parte può mettere a tacere le voci e può tenere buoni gli utenti, dall’altra apre delle voragini all’interno della stessa società. Se ci saranno dei disaccordi sulle future operazioni, chi li risolverà? E Se uno dei manager che ora svolge alcune delle funzioni di Ceo dovesse anadare via, chi dovrà sostituirlo? E soprattutto, chi farà i colloqui per trovare un nuovo chief operating officer?

Una risposta a tutto questo, in realtà, c’è già. Sarà lo stesso Kalanick “ sarà ancora disponibile come necessario per le decisioni più strategiche”, ha fatto sapere l’ex Ceo. E allora non ha preso realmente un congedo.

UberDunque, quanto fatto da Uber è solo una mossa di facciata. “La mia sensazione è che tutto quello che ha fatto Uber ha come obiettivo quello di mandare un ‘segnale’ che le cose stanno cambiando. Che si tratti di un cambiamento vero è un’altra questione.”, ha commentato Jeffrey Pfeffer, professore presso la Graduate School of Business di Stanford.

“Fino a quando Travis era nel ruolo di CEO, l’azienda avrebbe continuato ad essere al centro dell’attenzione dei media e sarebbe stata, con molta probabilità, al centro di numerose critiche. Credo che questa manovra mette fine alle critiche, dal momento stesso che l’oggetto delle critiche stesse è andato via”, ha commentato a Techcrunch un esperto di comunicazione di crisi, che ha chiesto di non essere nominato.

Un modo per farla franca

Se non va via del tutto e, soprattutto, se tornerà (anche se non si sa quanto), la mossa di Kalanick è solo, come scrive The New York Times, un modo per farla franca. Come molti manager della Silicon Valley. 

E la decisione di non nominare un CEO ad interim, presumibilmente, è dovuta alla volontà di ridurre al minimo la possibilità di una lotta di potere al suo ritorno.

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