Innanzitutto ribadisco i miei complimenti ai colleghi degli ospedali San Matteo di Pavia e Carlo Poma di Mantova – ed in particolare a Giuseppe De Donno e Massimo Franchini, primari rispettivamente della Pneumologia e del Servizio Trasfusionale a Mantova – che hanno fatto da pionieri, in Italia, dell’uso di plasma di soggetti convascenti come terapia dei casi severi di Covid-19.
Al momento hanno trattato 82 pazienti con buoni risultati e minima tossicità, quindi in accordo con le esperienze dei medici cinesi e quelle degli studi, peraltro molto più grandi, condotti qui in America.
Senza voler smorzare l’entusiasmo e l’orgoglio di questi bravissimi colleghi (e quelli dei loro sostenitori nei social), è bene ricordare che:
– L’uso di plasma o siero convalescente per trattare malattie infettive è stato introdotto nella pratica medica da oltre un secolo.
– Nel Department of Pathology alla Emory lo abbiamo usato con successo nel 2015 in pazienti con Ebola (Kraft C et al., Clin Infect Dis. 2015; 61:496-502).
– Nel caso di Covid-19 il plasma convalescente è stato usato in vari studi effettuati durante la prima fase della pandemia in Cina (Chen et al. Lancet Inf Dis 2020; Shen et al., Jama 2020; Duan et al., Pnas 2020) e sul tema due miei Vice-Direttori, John Roback e Jeannette Guarner, hanno scritto un editoriale pubblicato sul prestigioso JAMA il 27 marzo 2020.
-In America il trattamento è approvato dalla Fda nel marzo 2020, e ad oggi sono stati praticati gratuitamente oltre 5,200 trattamenti con plasma donato da oltre 8.000 soggetti convalescenti (da cui consegue che chi insinua che la terapia con plasma convalescente sia “boicottata” dagli Amerikani è un emerito imbecille).
-Come sempre in medicina è importante attendere il risultato di studi controllati prima di emettere giudizi definitivi in termini di efficacia di un trattamento terapeutico.
-Tra i vantaggi del trattamento, oltre alla promettente efficacia, segnalo anche il costo basso e la grande sicurezza.
-Aggiungo, da vecchio “romantico” della medicina – e da figlio di un primario di Centro Trasfusionale che considerava la donazione di sangue un grande gesto di solidarietà – che mi piace molto l’idea di una terapia resa possible dallo sforzo generoso di persone che, guarite da una malattia, vogliono fare qualcosa di utile per i propri simili meno fortunati di loro.
-I limiti principali del trattamento sono la virtuale impossibilità di standardizzazione (vista la variabilità da donatore a donatore) e, durante la prima fase della pandemia, la scarsa disponibilità di donatori.
-Per chi volesse più informazioni serie su questo tema consiglio di leggere questo position paper: Bloch EM et al., Deployment of convalescent plasma for the prevention and treatment of Covid-19. J Clin Invest 2020, con autori di Johns Hopkins, Mayo Clinic, Stanford, Wustl, Columbia, NY Blood Center, Michigan State, Albert Einstein e Brown.
(Estratto di un post pubblicato da Guido Silvestri su Facebook)