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Sony, Warner e Universal tradiranno gli artisti per la musica IA di YouTube?

Per addestrare legalmente i software di intelligenza artificiale che generano musica, YouTube prova a trattare con Sony, Warner e Universal affinché gli cedano in licenza le canzoni di artisti famosi, i quali però non sembrano averla presa troppo bene. Tutti i dettagli

 

Mentre OpenAI stringe accordi con i gruppi editoriali, YouTube è in trattative con le principali etichette discografiche – Sony, Warner e Universal – per un’intesa che conceda in licenza le canzoni di artisti famosi per addestrare legalmente i software di intelligenza artificiale (IA) a generare musica e canzoni.

Si prevede, però, una lunga battaglia dai contorni indefiniti tra favorevoli e contrari. Lunedì scorso infatti le principali case discografiche hanno citato in giudizio Suno e Udio, due start-up di IA, le quali utilizzerebbero illegalmente registrazioni protette da copyright per addestrare i loro modelli di intelligenza artificiale.

Inoltre, già ad aprile, più di 200 musicisti, tra cui Billie Eilish e la famiglia di Frank Sinatra, hanno firmato una lettera aperta in cui denunciavano che “se non controllata, l’IA darà il via a una corsa al ribasso che sminuirà il valore del nostro lavoro e ci impedirà di essere equamente ricompensati”.

TRATTATIVE IN CORSO

Secondo indiscrezioni riportate dal Financial Times, YouTube ha recentemente offerto “somme forfettarie” alle principali etichette discografiche – Sony, Warner e Universal – per cercare di convincere un maggior numero di artisti a consentire l’utilizzo della loro musica per l’addestramento di software di intelligenza artificiale che generano canzoni.

I PROGETTI DI YOUTUBE

L’anno scorso YouTube ha iniziato a testarne uno che consente alle persone di creare brevi clip musicali inserendo una richiesta di testo. Il prodotto, inizialmente chiamato “Dream Track”, era stato progettato per imitare il suono e i testi di cantanti famosi. Tuttavia, tra gli artisti, non ha riscosso grande successo. Solo 10 di loro hanno accettato di partecipare alla fase di test e Dream Track è stato reso disponibile solo per un piccolo gruppo di creatori.

Sony, che non ha partecipato alla prima fase dell’esperimento, è in trattative con YouTube per mettere a disposizione alcuni dei suoi brani musicali per i nuovi strumenti. E anche Warner e Universal, i cui artisti hanno partecipato alla fase di test, sono in trattative con il sito di video di proprietà di Google.

Il nuovo generatore IA di canzoni di YouTube che, secondo il FT, “difficilmente porterà il marchio Dream Track”, potrebbe far parte della sua piattaforma Shorts, in concorrenza con TikTok. “Non stiamo cercando di espandere Dream Track ma stiamo conversando con le etichette per altri esperimenti”, ha dichiarato il sito, che vorrebbe riuscire a coinvolgere “decine” di artisti per lanciare quest’anno la sua novità.

ARTISTI VS ETICHETTE

Quasi tutti gli artisti però si oppongono strenuamente a un progetto in cui l’IA minaccia il loro lavoro. Le etichette, tuttavia, sembrano tentate dal voler trovare un accordo. “L’industria sta lottando con questo problema. Tecnicamente le aziende hanno i diritti d’autore, ma dobbiamo pensare a come comportarci”, ha detto al FT il dirigente di una grande azienda musicale, aggiungendo: “Non vogliamo essere visti come dei luddisti”.

Se nel settore dei media gli accordi tra aziende come OpenAI e i gruppi editoriali valgono decine di milioni di dollari, in ambito musicale gli accordi sarebbero diversi perché, come hanno riferito alcune fonti, “non si tratterebbe di licenze generalizzate, ma si applicherebbero a un gruppo selezionato di artisti”.

Spetterebbe, dunque, alle etichette incoraggiare i propri artisti a partecipare ai nuovi progetti e “ciò significa che l’importo finale che YouTube potrebbe essere disposto a pagare alle etichette è al momento indeterminato”.

“Gli accordi – spiega il FT – assomiglierebbero più ai pagamenti una tantum che le aziende di social media come Meta o Snap effettuano ai gruppi di intrattenimento per l’accesso alla loro musica, piuttosto che agli accordi basati sulle royalty che le etichette hanno con Spotify o Apple”.

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