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Piano Colao

Sarà Leonardo il perno del Polo nazionale pubblico del Cloud?

Che cosa ha detto e non ha detto su 5G e Cloud Pa il ministro per l'Innovazione tecnologica, Vittorio Colao, alla Camera. Le indiscrezioni del quotidiano La Verità su Leonardo e l'analisi di Repubblica su Huawei.

Primo: “Vogliamo che il cittadino possieda un’unica identità digitale e interagisca con la PA attraverso un unico “sportello” digitale, attraverso cui poter consultare i propri dati anagrafici, chiedere e ottenere permessi, tracciarli qualora non arrivino in tempo, e pagare i servizi”.

Secondo: “Per i dati più sensibili intendiamo creare un Polo Strategico Nazionale a controllo pubblico, localizzato sul suolo italiano e con garanzie, anche giurisdizionali, elevate. Il Polo Strategico permetterà di razionalizzare e consolidare molti di quei centri che ad oggi non riescono a garantire standard di sicurezza adeguati. Allo stesso tempo, l’investimento in infrastrutture all’avanguardia ci consentirà di cogliere appieno le opportunità del cloud computing e aiutare le PA a rendere più efficiente l’erogazione dei servizi”.

Sono due brani salienti sottolineati ieri dal ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, Vittorio Colao, nel corso dell’audizione alla Camera.

IL POLO STRATEGICO NAZIONALE A CONTROLLO PUBBLICO

Rilevante il passaggio sulla creazione di un “Polo Strategico Nazionale a controllo pubblico”.

LE INDISCREZIONI DEL QUOTIDIANO LA VERITA’ SU LEONARDO E CLOUD

Parole che confermano indirettamente le indiscrezioni di giorni fa del quotidiano La Verità: “Avrà un ruolo essenziale un player finanziario di Stato (che potrebbe essere Cdp) e altri interlocutori. In prima fila Leonardo”.

COLAO E HUAWEI SECONDO REPUBBLICA

Un alto aspetto dell’audizione del ministro è stato sottolineato oggi dal quotidiano Repubblica: “Colao – che si rivolge ai deputati della commissione Trasporti – è prudentissimo quando parla della Cina. Non bolla come un pericolo le aziende orientali (leggi Huawei) che forniscono programmi e strutture per la costruzione delle reti in 5G”.

ECCO IL TESTO INTEGRALE DELL’AUDIZIONE DEL MINISTRO COLAO:

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Signora Presidente, Onorevoli Deputate e Deputati,

Vi ringrazio per questa occasione che mi consente di illustrare la visione strategica che stiamo mettendo a punto per sostenere il processo di trasformazione digitale.

In particolare, vorrei concentrarmi sulle linee di azione a supporto alla transizione digitale nella PA. Parlerò, nell’ordine, di infrastrutture digitali, di cloud, di dati, di sicurezza digitale e di competenze.

Prima di entrare nel merito delle misure, vorrei ribadire un concetto per me molto importante. Riguarda l’attuale stato di incertezza dovuto alla crisi pandemica, che si protrae da oltre un anno, e che spinge molti a guardare all’orizzonte con preoccupazione. È comprensibile.

Per questo, come governo, dobbiamo operare con decisione per trasformare questo periodo di preoccupazione in occasione di trasformazione, restituendo la fiducia ai nostri cittadini. Per arrivarci non dobbiamo aspettare gli eventi, ma dobbiamo pianificare, oggi, interventi che i cittadini possano apprezzare nella loro vita quotidiana. Interventi che migliorino significativamente la loro vita.

La transizione digitale è la nostra occasione per progettare questi interventi e realizzare quel futuro, con determinazione, spirito di collaborazione e, permettetemi, quella creatività e voglia di sperimentare che è alla base dell’innovazione.

In Italia abbiamo bisogno di riattivare la crescita come e forse più di ogni altra nazione europea. In Italia – nonostante tutti apparentemente sosteniamo l’innovazione e l’investimento – abbiamo però tradizionalmente vissuto resistenze al cambiamento e velocità di implementazione degli investimenti molto ridotte.

Lo ha ricordato più volte anche il Presidente del Consiglio: dobbiamo lavorare a un cambiamento radicale, pervasivo e di lungo periodo. Altrimenti non solo non recupereremo il tempo perso, ma rischieremo di rimanere indietro ulteriormente. Non ce lo possiamo permettere più.

1. PRIMO PUNTO DELLA STRATEGIA DI TRANSIZIONE DIGITALE: LA DETERMINAZIONE

La nostra strategia è improntata a tre principi cardine. Il primo è quello della determinazione. Dobbiamo, io credo, essere più decisi nell’attuazione delle misure strategiche di transizione digitale. Ce lo impongono due circostanze:

– Da una parte, la velocità e pervasività del cambiamento tecnologico, che ormai investe le nostre vite su ogni fronte. Riguarda le nostre interazioni, nella vita privata e professionale. Interessa tutte le forme e i modelli di produzione e commerciali, su ogni scala. Potenzia – se ben attuata – le opportunità di apprendimento e crescita individuale, riducendo iniquità e diseguaglianze. Trasforma addirittura i tempi e modi con cui ci informiamo, manifestiamo le nostre idee e partecipiamo alla costruzione delle decisioni collettive. La transizione digitale è, per sua natura, orizzontale, equa e democratizzante.

– Dall’altra, i gap strutturali del nostro Paese, e il ritardo cumulato sul fronte dell’innovazione e infrastrutturazione digitale. Di qui l’urgenza di porre rimedio a questi ritardi, con l’ausilio del PNRR e in favore, soprattutto, delle nuove generazioni, delle donne e dei territori a minore prosperità.

Agire in modo risoluto significa definire rapidamente il perimetro degli interventi, e concentrare ogni sforzo sulla loro implementazione. Per noi, sia il perimetro sia l’orizzonte implementativo si inseriscono pienamente nel quadro tracciato dall’Unione europea con il digital compass.

Digital Compass indica la bussola che orienta le politiche pubbliche verso il ‘nord’ digitale. Gli obiettivi europei sono chiari e ambiziosi:

– Per i cittadini, l’Unione europea intende far sì che l’80% abbia e usi regolarmente l’identità digitale. Intende anche accompagnare questo sforzo, sostenendo lo sviluppo delle competenze digitali sempre per almeno l’80% della popolazione europea.

– Per le famiglie, intende raggiungere tutti, il 100%, con connessioni a banda ultralarga per il 2030.

– Per gli oltre 25 milioni di imprese che attualmente operano sul territorio dell’Unione, il digital compass intende portarne il 75% a utilizzare stabilmente servizi cloud, intelligenza artificiale e Big Data. Non solo. L’Unione mira anche a favorire la crescita delle startup e a raddoppiare il numero di unicorni – le startup che arrivano a valere più di un miliardo di dollari – nell’Unione.

– Per il settore pubblico, il digital compass pone l’obiettivo più ambizioso: erogare – entro il 2030 – la totalità dei servizi pubblici fondamentali online. I servizi pubblici erogati in modo rapido ed efficiente consentiranno a loro volta ai cittadini di beneficiare degli effetti dell’economia digitale.

Bruxelles intende raggiungere tutti questi obiettivi di innovazione digitale entro dieci anni. Anche noi, e grazie al PNRR, vogliamo essere ambiziosi. Vogliamo, e possiamo, essere nel gruppo di testa in Europa.

Oggi propongo obiettivi a 5 anni, per essere già a fine 2026 tra i paesi migliori:

1. Possiamo nel 2026 ambire ad avere almeno il 70% della popolazione che usi regolarmente l’identità digitale – più del doppio rispetto a oggi;

2. Vogliamo che almeno il 70% della popolazione sia digitalmente abile;

3. Abbiamo il piano di portare circa il 75% delle PA italiane a utilizzare servizi cloud;

4. Intendiamo raggiungere almeno l’80% dei servizi pubblici fondamentali erogati online.

5. E soprattutto vogliamo, in collaborazione con gli operatori di mercato e il MISE, raggiungere il 100% delle famiglie e delle imprese italiane con reti a banda ultra-larga.

Questi sono obiettivi ambiziosi perché ci permetteranno già nel 2026 di avvicinarci di molto a quelli europei con ancora 4 anni di lavoro per completare l’opera.

2. SECONDO PUNTO DELLA STRATEGIA DI TRANSIZIONE DIGITALE: COOPERATIVA

Il secondo principio della nostra strategia è la cooperazione. La transizione digitale infatti, in quanto orizzontale, ci richiede espressamente di coinvolgere tutti gli attori in questo sforzo.

– Parlo, anzitutto, della fondamentale cooperazione di tutto l’apparato amministrativo, centrale e territoriale. Il Comitato interministeriale per la transizione digitale nasce proprio con questo scopo: agevolare un metodo di lavoro condiviso tra le strutture di governo coinvolte ad ogni livello, dando alla digitalizzazione della PA una rinnovata attenzione sia politica sia amministrativa. A tale scopo stiamo creando due sedi consultive del Dipartimento per la Transizione Digitale: una con rappresentanti delle PA locali e una con esperti di ICT. Vogliamo ascoltare e reagire ai bisogni del territorio e delle amministrazioni. Assieme individueremo gli ostacoli da rimuovere e le opportunità di accelerazione.

– Occorrerà anche la cooperazione di tutte le forze produttive del Paese. Le grandi aziende, la piccola e media impresa, gli artigiani, i commercianti, le organizzazioni di categoria, i liberi professionisti. Tutti sono chiamati a dare il loro contributo alla realizzazione agli obiettivi comuni della digitalizzazione.

– Mi riferisco infine a una cooperazione su scala europea e atlantica. Parlo del tema dell’autonomia digitale. Vogliamo sì sviluppare spazi autonomi sulle tecnologie che ci rendano più competitivi, come paese e come continente, ma sempre salvaguardando la libertà e i diritti individuali a sperimentare e intraprendere. Perché una vera autonomia digitale può essere raggiunta solamente dando più spazio all’innovazione, alle competenze e aprendo alle opportunità, a garanzia di tutti, soprattutto dei giovani.

3. TERZO PUNTO DELLA STRATEGIA DI TRANSIZIONE DIGITALE: LE PERSONE

E qui passo al nostro ultimo principio cardine. Perché determinazione e cooperazione, da sole, non bastano. Il tassello imprescindibile di qualsiasi trasformazione, e soprattutto quella digitale, sono ovviamente le persone.

Se veramente vogliamo cambiare marcia dell’innovazione in Italia, dovremo sì mobilitare gli investimenti, ma soprattutto dovremo investire sul valore creativo e innovativo che deriva da competenze individuali e conoscenze collettive.

La formazione continua di occupati e non, la ricerca scientifica all’avanguardia, la sperimentazione e lo studio, sono importanti tanto quanto i piani di investimento. Scuola, università, formazione e libera sperimentazione sono quello che ci consentirà di liberare il potenziale delle persone e del Paese da qui al 2030.

LE AREE DI INTERVENTO DELLA TRANSIZIONE DIGITALE

Veniamo ora alle nostre linee di intervento, che declinerò in cinque aree che definiscono la nostra strategia di transizione digitale.

Le elenco rapidamente, prima di passarle in rassegna in modo più approfondito. Primo, l’ammodernamento ed estensione delle infrastrutture digitali per la connettività sul territorio nazionale. Secondo, per la PA, lo sviluppo del cloud e – ove appropriato – la collaborazione con i servizi del mondo privato. Terzo, le potenzialità dell’interoperabilità – ovvero di dati utilizzabili per offrire servizi digitali ai cittadini, riducendo così costose e ripetute interazioni di persona con la PA. Chiudono l’elenco la sicurezza dei sistemi informatici e lo sviluppo delle competenze digitali.

INFRASTRUTTURE DIGITALI

La prima area di intervento per realizzare il processo di transizione digitale è quella delle infrastrutture digitali per la connettività.

La connettività, per noi, è un diritto. Qui vogliamo agire con decisione e rapidità perché i ritardi accumulati stanno diventando intollerabili. Non ripeterò anche oggi che la copertura FTTH – Fiber to the Home – è insoddisfacente per un grande paese come l’Italia al 34% di famiglie raggiunte.

Leggiamo, scriviamo e parliamo ogni minuto di internet come moltiplicatore di possibilità. Ma non possiamo garantire queste molteplici possibilità con l’attuale livello infrastrutturale. Se non interveniamo rischiamo di negare diritti e alimentare vecchie diseguaglianze e di crearne persino di nuove.

Lasciare aree del paese scoperte vuole infatti dire limitare i loro residenti nelle opportunità di formazione, creazione, lavoro e civismo che la dimensione digitale oggi offre. Stefano Rodotà e Gaetano Azzariti trenta anni fa invocarono l’inclusione esplicita del diritto di accesso a internet tra i diritti costituzionali. Siamo nel 2021…

Riguardo alla connettività occorre anche valutare la situazione territoriale. Il Rapporto ICity Rank curato da Forum PA stila ogni anno la classifica delle città italiane più digitali. In quella del 2020 la classifica delle prime dieci comprende esclusivamente città nel Nord, tranne una, al nono posto: Cagliari. Questo significa che chi ha la fortuna di abitare in una zona residenziale di una città di medie o grandi dimensioni, situata nel Nord Italia, è servito da un livello infrastrutturale di rete significativamente migliore di chi invece si trova in altre zone del Paese, in periferia o sulle isole.

L’infrastrutturazione di rete a banda larga e l’accesso alla rete è quindi un intervento essenziale per assicurare la coesione sociale e territoriale, perché ci consente di raggiungere risultati abilitanti sul fronte della tutela dei diritti di tutti e della riduzione dei diversi divari.

– Anzitutto, ci permette di ridurre, fino ad azzerare, l’esclusione sociale delle categorie a rischio. Primi tra tutti, coloro che non hanno accesso o dimestichezza con la tecnologia: i più anziani, le classi della popolazione economicamente più svantaggiate, le minoranze etniche e linguistiche, i disabili, la popolazione carceraria. In alcuni casi addirittura i giovani. La didattica a distanza imposta dall’emergenza pandemica ha per esempio inciso sull’aumento dell’abbandono scolastico e la familiarità̀ allo studio di migliaia di adolescenti italiani.

– Rende possibile garantire flessibilità e innovazione nei processi produttivi. L’Osservatorio Nòmisma e Crif dedicato all’analisi dell’impatto sociale della pandemia ha stimato che nel 2021 almeno il 16% della forza lavoro italiana lavorerà da remoto. Si tratta di circa 1 milione di dipendenti pubblici e di 4 milioni di lavoratori del settore privato. Le aziende e le pubbliche amministrazioni hanno quindi assoluta necessità di tecnologie affidabili. Non solo. Attraverso tecnologie come il 5G si potranno sviluppare servizi e processi innovativi. Basti pensare che in Italia, solamente nell’ultimo anno, l’utilizzo dell’Internet of Things è cresciuto del 24%.

– Ancora, l’accesso paritario sarà sempre più fondamentale anche per sviluppare processi più democratici e partecipati. Si parla sempre più di “co-creazione” dei servizi pubblici per descrivere processi decisionali pubblici alimentati da conoscenze distribuite nella popolazione, attraverso piattaforme digitali. La Conferenza sul Futuro dell’Europa consulterà i cittadini europei attraverso una piattaforma digitale.

– Infine, l’accesso paritario è chiave per la semplificazione dei rapporti tra cittadini e PA. Dall’inizio della pandemia il tasso medio di crescita settimanale delle identità digitali erogate è raddoppiato: da 50 a 100mila, superando gli oltre 19 milioni di SPID. Sarà fondamentale in tal senso allargare il numero di servizi pubblici digitali e non parcellizzare i canali di accesso digitale ai servizi pubblici.

La Commissione europea ha adottato, nel corso degli ultimi anni, diversi atti – tra cui la Comunicazione verso la gigabit society, l’Action Plan per il 5G e la Direttiva sul nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche – tutti finalizzati a realizzare una società digitale pienamente inclusiva. Come ho già detto, il “Digital Compass” pone obiettivi ambiziosi sul tema della connettività: un gigabit per tutte le famiglie e copertura 5G in tutte le aree popolate entro il 2030.

Anche noi possiamo porci lo stesso obiettivo, da raggiungere prima, grazie al PNRR.

Come ha ricordato recentemente il collega Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, esistono diverse strade per affrontare questa sfida infrastrutturale.

Occorre agire su più fronti.

Il piano di azione che stiamo redigendo interviene infatti tanto sul lato dell’offerta quanto su quello della domanda. Quanto all’offerta, miriamo alla copertura dell’intero territorio con connessioni ad altissima velocità, senza lasciare indietro nessuno, con un approccio agnostico teso a dare accesso a tutti con tutte le tecnologie utili per poterlo fare: fibra a casa, fixed wireless, 5G. Per raggiungere tutti incluse le scuole, gli ospedali, gli uffici pubblici e tutte le 18 isole minori entro il 2026.

Come già anticipato, stiamo ora lavorando al Piano per l’identificazione e la copertura per quelle aree “grigie” ove non saranno previsti, nei prossimi anni, investimenti privati in reti ad altissima velocità. Faremo rapidamente la mappatura e le consultazioni. Non appena pronto porteremo il Piano al Comitato interministeriale per la transizione digitale. È un processo complesso che prevede l’interlocuzione con il mercato e con le Istituzioni nazionali e comunitarie. Lo vogliamo velocizzare il più possibile.

Sul fronte della domanda attendiamo l’approvazione, da parte della Commissione europea, delle misure relative alla fase 2 dei cd. Voucher a supporto dell’accesso alla rete di famiglie e imprese. Appena ottenuta, avremo circa 900 milioni di euro a disposizione di imprese e cittadini.

Sempre sul lato domanda: da novembre 2020 sono stati attivati oltre 118.000 Voucher in tutta Italia dedicati alle famiglie a basso reddito, per un totale di oltre 59 milioni di euro erogati. A cinque mesi dall’avvio della misura, le risorse impegnate ammontano a oltre 73 milioni di euro, pari a circa il 37% dei fondi disponibili.

Le misure di stimolo all’infrastrutturazione e alla domanda che ho brevemente descritto devono infine essere accompagnate da misure che rendano più rapida e agevole la realizzazione delle infrastrutture, da adeguate garanzie di investimento e di tempi certi per lo Stato, e da misure che stimolino l’effettiva adozione dei servizi da parte delle famiglie e delle imprese.

Stiamo quindi considerando ulteriori misure di semplificazione e revisione del quadro regolatorio per accelerare le procedure e migliorare tempi e modalità realizzative per le infrastrutture di rete, fisse e mobili.

CLOUD COMPUTING

Passo alla seconda area di intervento per realizzare la transizione digitale in Italia: il Cloud. Anche in questo caso un uso intelligente di questa tecnologia – poco utilizzata nella nostra PA – può non solo farci recuperare terreno perduto, ma riformare il complesso, e a volte farraginoso, rapporto tra cittadino e amministrazione.

Per raggiungere questo risultato stiamo lavorando su più fronti. Il primo e principale: occorre adottare decisamente il principio “cloud first”. Se fino ad oggi il cloud è stata una tra le tante opzioni per la PA, domani sarà sempre più la scelta obbligata per la conservazione sicura dei dati, per la loro elaborazione e per offrire servizi digitali.

Il cloud offre infatti quattro principali benefici per la PA:

1. È più sicuro. Ad oggi il 95% delle pubbliche amministrazioni pubbliche conservano i dati in strutture inadeguate a proteggerli. Il cloud ci aiuta a rafforzare la nostra sicurezza. Questo perché, riducendo la frammentazione, aiuta a poggiare la sicurezza su strutture centralizzate che per scala e investimento sono tecnologicamente più avanzate, e quindi più sicure.

2. Costa meno. A fronte della spesa iniziale per la migrazione dei dati, le aziende e le amministrazioni che transitano al cloud ottengono due vantaggi: anzitutto, azzerano i costi relativi al possesso e alla manutenzione dell’hardware. Riducono così anche i costi imprevisti generati dai disservizi. Ma soprattutto i costi per incrementare i volumi e utilizzare più risorse sono marginali e non richiedono investimenti extra.

3. Da ultimo, il cloud aiuta a migliorare la qualità dei servizi erogati. La scalabilità della struttura, per fare un esempio, consente all’azienda o all’istituzione pubblica di sostenere carichi di lavoro fluttuanti senza entrare in difficoltà nei momenti di picco. Essa, infine, abilita la fornitura di servizi e applicativi “as a service” – cioè pagati a utilizzo – per la pubblica amministrazione, che ne spingono il continuo aggiornamento, ne migliorano la qualità tecnologica e ne consentono il riuso tra più amministrazioni.

Oltre al “cloud first”, vogliamo assicurarci che le amministrazioni vengano aiutate a migrare in cloud diversi a seconda del diverso livello di sensibilità dei dati dei quali dispongono. Questo implicherà classificare innanzitutto le tipologie di dati in ultrasensibili, sensibili e ordinari, per garantire scelte che tutelino in maniera appropriata cittadini e amministrazioni, come già fatto da molti altri paesi.

– Per i dati più sensibili intendiamo creare un Polo Strategico Nazionale a controllo pubblico, localizzato sul suolo italiano e con garanzie, anche giurisdizionali, elevate. Il Polo Strategico permetterà di razionalizzare e consolidare molti di quei centri che ad oggi non riescono a garantire standard di sicurezza adeguati. Allo stesso tempo, l’investimento in infrastrutture all’avanguardia ci consentirà di cogliere appieno le opportunità del cloud computing e aiutare le PA a rendere più efficiente l’erogazione dei servizi.

– Accanto al Polo Strategico dobbiamo anche prevedere la possibilità per le amministrazioni di usufruire di efficienti cloud pubblici, economici, flessibili e costantemente aggiornati. Ma questo solo per tipologie di dati e applicazioni meno sensibili e di caratteristiche pre-definite di sicurezza e protezione richiesti ai fornitori.

Ovviamente si potrà anche adottare un modello ibrido tra le due precedenti soluzioni.

– Inoltre, vogliamo accompagnare questo ragionamento prettamente domestico con una strategia di respiro europeo, in modo da lavorare verso quell’autonomia tecnologica e strategica che ho già evidenziato. Qui pensiamo sicuramente ad una strategia di partnership europea. Ad esempio nel 2020 i governi francese e tedesco hanno lanciato il programma GAIA-X. Lo scopo dichiarato di questo partenariato è attrarre investimenti sull’economia dei dati che muove numerosi settori produttivi in Europa agendo su standard di interoperabilità e sulla creazione di spazi-dati in diversi domini e settori industriali. Pensiamo che anche l’Italia debba giocare un ruolo attivo all’interno di questo progetto. Sono essenziali a tal fine gli sforzi del settore privato, in particolare delle associazioni di rappresentanza industriale e dei centri di ricerca. Come Ministero, vogliamo dare tutto il nostro supporto istituzionale a questo progetto affinché l’Italia e il suo settore imprenditoriale individui nella collaborazione sui dati una nuova dimensione di politica industriale europea.

Prima di concludere questa seconda parte, lasciatemi dire un’ultima cosa.

La ‘cloudificazione’ della PA non è solo un grande investimento per lo Stato e per il rapporto tra Stato e cittadini, ma anche per le imprese e per l’innovazione stesse. Il passaggio al cloud, se efficiente e scalabile, consentirà la creazione di un ecosistema partecipato di imprese e startup in grado di migliorare la qualità degli applicativi e del software in uso alla PA, come già accade in molti altri paesi.

Anche da qui passa il concetto di autonomia strategica: l’autonomia non è solo figlia di investimenti statali. Beneficia anche di ecosistemi misti pubblico-privato in grado di creare la forza motrice innovativa che occorre per sviluppare vasti mercati digitali per competere globalmente. Questa duplice collaborazione europea e pubblico-privato non dobbiamo sottostimarla. È stata alla base del successo dei grandi modelli di riferimento del cloud, nordamericano e asiatico.

OPEN DATA E CITTADINANZA DIGITALE

Siamo alla terza area di intervento: i dati aperti e interoperabili. Il pensiero, in questi casi, va alle grandi aziende tecnologiche internazionali. In realtà il settore pubblico fra i più grandi collettori e gestori di dati.

I benefici prodotti dalla diffusione degli open data sono noti. L’Unione europea ne quantifica il valore in 325 miliardi di euro, valore in aumento costante. Tre le ricadute positive – sempre secondo la Commissione europea – ci sono la creazione di nuovi posti di lavoro e un considerevole risparmio nella spesa pubblica.

Ma le ricadute positive sono soprattutto per la vita dei cittadini. L’interoperabilità fra le banche dati della PA, che sembra un concetto oscuro, può ribaltare l’esperienza e la narrativa, a volte ingiusta, di una PA distante, inaccessibile che complica la vita del cittadino, delle imprese e dei lavoratori perché è l’elemento necessario per fornire ogni servizio digitale.

Vogliamo che il cittadino possieda un’unica identità digitale e interagisca con la PA attraverso un unico “sportello” digitale, attraverso cui poter consultare i propri dati anagrafici, chiedere e ottenere permessi, tracciarli qualora non arrivino in tempo, e pagare i servizi.

Per tradurre questa immagine in realtà contiamo di investire in una serie di iniziative, alcune delle quali già solide o ben avviate.

– Primo, vogliamo che la vita digitale del cittadino stesso sia semplificata. Qui stiamo lavorando per semplificare, e rendere gratuito, il domicilio digitale, ovvero quel recapito digitale – scelto dal cittadino – che servirà per le interazioni con la PA, se il cittadino così sceglie. Gradualmente, intendiamo convergere su un’unica piattaforma per le notifiche tra cittadino e amministrazione, che incentiveremo ogni cittadino ad adottare, lasciando sempre e comunque un’opzione di canale fisico per chi non potrà o non vorrà essere raggiunto solo dal canale digitale. Ad oggi sono già più di 10 milioni i cittadini che hanno scaricato l’app IO e possono accedere ai servizi o ai messaggi delle amministrazioni direttamente dal proprio telefono mobile. Contiamo di poter presto rendere disponibili nuove funzionalità sull’AppIO anche grazie alla emanazione delle linee guida Agid attualmente all’attenzione del Garante della Privacy.

– Secondo, vogliamo ulteriormente semplificare e rafforzare l’identità digitale, partendo da SPID e CIE ma arrivando ad offrire un’esperienza sempre più semplice nell’accesso ai servizi digitali, in linea con gli ambiziosi obiettivi del Digital Compass Europeo. Grazie ad una apprezzata interlocuzione con il Garante della Privacy a giorni avvieremo il percorso di approvazione delle linee guida sul domicilio digitale dei cittadini predisposte da Agid, tassello fondamentale per sbloccare le progettualità abilitanti l’interazione digitale fra PA e cittadino. Grazie a questo domicilio, e grazie all’identità semplificata, il cittadino disporrà di un unico punto di accesso e di interlocuzione con la PA.

– Il terzo investimento, quello della piena interoperabilità dei dati, è cruciale nel percorso di semplificazione della vita dei cittadini. Vogliamo far sì che, già in poco tempo, le amministrazioni pubbliche comunichino i dati dei cittadini tra loro, in sicurezza e in forme il più automatizzate possibile. Questo passo è la pietra miliare sulla quale poggia il cd. principio “once only”: attraverso l’interoperabilità si può evitare di chiedere a persone e imprese informazioni che la PA già detiene. Quindi, in questo disegno, dopo che con l’identità digitale il cittadino ottiene l’accesso certificato allo “sportello unico”, le amministrazioni comunicano i dati tra loro per espletare le richieste del cittadino.

A questo proposito, lavoreremo all’emanazione di linee guida Agid sull’interoperabilità e alla predisposizione della Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) per dare piena attuazione all’articolo 50-ter del Codice dell’Amministrazione Digitale. Grazie a questi interventi auspichiamo che, in tempi ragionevoli, la PDND abiliti lo scambio di informazioni fra le principali banche dati di interesse nazionale, nel pieno rispetto della privacy, diventando il nucleo portante dell’interoperabilità dei dati della PA,

– E, per chiudere il cerchio, vogliamo ulteriormente rafforzare la già positiva esperienza di PagoPA per consentire di concludere il percorso digitale con pagamenti semplici, tracciabili e digitali. Attualmente PAgoPA viene utilizzato da più di 28 milioni di cittadini e da 1,2 milioni di imprese.

Un ultimo, importantissimo, vantaggio degli open data e dell’interoperabilità è per il settore pubblico è la possibilità di trasformare la pubblica amministrazione da reattiva a proattiva, capace cioè di analizzare rapidamente le evidenze offerte dai dati e prendere decisioni migliori perché capaci di anticipare le criticità.

SICUREZZA

Ovviamente non possiamo immaginare alcuna transizione in assenza di condizioni di sicurezza cibernetica adeguate. In un mondo digitale in cui una mole incredibile e sempre maggiore di dati è disponibile online, spetta ai governi difendere queste informazioni da intrusioni e attacchi cibernetici. La cyber-security è la quarta area di intervento della transizione digitale.

Ancora pochi giorni fa grandi aziende tecnologiche come Facebook e LinkedIn hanno confermato intrusioni ai propri database. Ancora più vulnerabili ed esposti agli attacchi sono però i database posseduti dalle pubbliche amministrazioni. La transizione digitale richiede quindi uno sforzo significativo di rafforzamento della cyber-security nazionale, che protegga le persone, le infrastrutture e i dati. Occorrono sistemi più sicuri, competenze adeguate e distribuite in modo razionale.

Siamo già intervenuti sul fronte del coordinamento delle attività informative per la protezione dello spazio cibernetico del Paese e su quello della definizione del perimetro di sicurezza nazionale cibernetica. Ci concentreremo ora su tre interventi: primo, l’aggiornamento della strategia nazionale di sicurezza cibernetica; secondo, il potenziamento della capacità di risposta del pubblico contro gli attacchi cibernetici; terzo, il rafforzamento delle capacità di audit e valutazione.

COMPETENZE

La quinta, e ultima area, di intervento riguarda le competenze, e cioè il capitale umano. Le competenze noi dobbiamo crearle, dove non esistono ancora; abbiamo il dovere di incoraggiarle, dove esistono, ma sono ancora carenti; e siamo tenuti a svilupparle, dove non sono appropriate.

Guardiamo prima di tutto alla creazione delle competenze digitali. Spetta al sistema scolastico, di ogni ordine e grado, e a quello universitario crearle e sostenerne la formazione lungo tutto il percorso di studio.

Non entro ovviamente nel perimetro delle competenze dei colleghi Ministri Bianchi e Messa, che so impegnati nel dare corpo a interventi significativi su questo fronte. Mi limito a porre l’attenzione su alcuni punti:

– Il necessario potenziamento degli ITS all’interno del sistema educativo e professionalizzante. Ricordo che i migliori ITS hanno tassi di occupazione elevatissimi, superiori all’80%, e che in Italia i diplomati ITS sono una frazione degli omologhi francesi e tedeschi.

– L’impulso alle discipline scientifiche in generale, insistendo in particolare sulla parità di genere. Vogliamo aumentare il numero di ragazze e donne con competenze tecnico-scientifiche.

– Gli incentivi ai dottorati in generale, e in particolare quelli industriali, da collegare più strettamente con il sistema imprenditoriale, per rafforzare il legame tra mondo della ricerca ed imprese che è alla base dell’innovazione tecnologica.

Occorre agire anche sulla domanda di competenze digitali da parte delle imprese e delle amministrazioni pubbliche, favorendola e incentivandola.

Il Piano Transizione 4.0 ad esempio, recentemente rifinanziato nella scorsa legge di bilancio anche grazie alle risorse del PNRR, dovrà sostenere le aziende ad acquisire nuove o più adeguate competenze digitali, senza le quali gli stessi investimenti in alta tecnologia non si riusciranno pienamente ad attivare.

Nelle pubbliche amministrazioni, il ministro Brunetta è al lavoro per rafforzare e inserire nuove competenze digitali. Bene dunque iniziative come lo sblocco del turnover, l’assunzione di competenze tecniche e manageriali nelle PA e gli investimenti sulla formazione del personale.

Accanto a queste misure, stiamo progettando un nostro diretto contributo al piano delle competenze digitali nella PA. Due punti:

– In primo luogo, creeremo unità per la trasformazione digitale che possano accompagnare sia le amministrazioni centrali sia le amministrazioni locali in tutti i processi di trasformazione digitale di cui ho già parlato. Spesso, infatti, le misure economiche non bastano ad affrontare una trasformazione digitale perché questa investe anche e soprattutto i modi di organizzarsi, di collaborare e di strutturare processi. L’articolazione territoriale andrà a vantaggio di quelle amministrazioni che hanno più difficoltà a implementare i necessari cambiamenti che comporta la transizione digitale. Le amministrazioni avranno così tutti i supporti necessari – consulenziali, strumentali e finanziari – per essere accompagnate nel cambiamento.

– Specularmente, prevediamo di potenziare AgID. L’Agenzia è infatti preposta a garantire la piena realizzazione degli obiettivi dell’Agenda Digitale.

CONCLUSIONI

Arrivo alle conclusioni. Abbiamo una strategia digitale che deve aiutarci a cogliere le opportunità della crisi attuale. Ha davanti a sé tre grandi incognite. Quella del ritardo, quella dell’inclusione e quella delle competenze.

Alla prima porremo rimedio con gli interventi infrastrutturali. Sulla seconda interverremo insistendo sulla digitalizzazione come condizione abilitante della cittadinanza. Affronteremo la terza incognita creando e incentivano idee e conoscenze, nel medio periodo con investimenti di persone e, nel breve, sostenendo le amministrazioni nella migrazione.

La tecnologia digitale è la nostra occasione per riportare il nostro paese tra i leader europei. Attraverso l’applicazione del PNRR abbiamo l’opportunità di partecipare tutti attivamente al lavoro dei 5 importantissimi anni davanti a noi.

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