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Ma gli Stati Uniti hanno reciso o no i legami tra Tsmc e Huawei?

Poche cose al mondo negli ultimi cinque anni sono cruciali come il rapporto tra la cinese Huawei e la taiwanese TSMC. L'analisi di Alessandro Aresu.

Tra le notizie su TSMC degli ultimi giorni, oltre alle fabbriche in Arizona, l’aumento dei prezzi, i nuovi prodotti, c’è sicuramente il nuovo caso Huawei. Poche cose al mondo negli ultimi 5 anni sono cruciali come il rapporto Huawei/TSMC. Ecco una breve spiegazione.

Huawei e TSMC, nate entrambe nel 1987, sono aziende al centro dei miei tre libri, Le potenze del capitalismo politico (soprattutto Huawei), Il dominio del XXI secolo (soprattutto TSMC), Geopolitica dell’intelligenza artificiale (entrambe).

Nel 2019, in un momento cruciale della guerra tecnologica tra USA e Cina, Huawei attraverso la sua divisione HiSilicon, diviene il secondo cliente di TSMC dopo Apple. Per via dei provvedimenti USA, il rapporto Huawei/TSMC viene reciso. Sul serio o no?

Qui si inserisce l’ultima controversia che coinvolge Huawei e TSMC: chip avanzati prodotti da TSMC sono stati trovati in dispositivi Huawei, sollevando interrogativi sulla conformità alle restrizioni USA. La scoperta dei chip di TSMC nei dispositivi di Huawei è stata fatta da TechInsights, che ha analizzato gli acceleratori di intelligenza artificiale Ascend 910B di Huawei. La vicenda è stata approfondita anche da The Information, NYT e altri.

TSMC ha dichiarato di non fornire più chip a Huawei dal 2020, in conformità con le sanzioni USA, ma le indagini hanno evidenziato ordini effettuati da terzi, come la cinese Xiamen Sophgo Technologies.

Ricordiamo che, dal 2020, Huawei ha cercato alternative affidandosi soprattutto a SMIC, il principale produttore cinese di semiconduttori, per prodotti essenziali per la sua “Lunga Marcia” di una agognata, ancorché sempre relativa, indipendenza dalla sfera USA. SMIC si è legata sempre più alla filiera di Huawei, grazie a stabilimenti avanzati a Shanghai collegati da un sofisticato sistema produttivo e in grado di sfruttare i “buchi” nelle sanzioni, come riconosciuto dalla stessa Gina Raimondo.

Huawei ha investito massicciamente nella propria rete “indiretta” di fabbriche di semiconduttori per evitare di dipendere dai fornitori stranieri, puntando su tecnologie e forniture nazionali, ed emergendo come grande capo-filiera cinese.

TSMC afferma di aver avvisato subito il governo degli Stati Uniti e quello taiwanese dopo aver scoperto l’uso dei suoi chip nei dispositivi Huawei. Di recente, come riportato da Nikkei Asia, TSMC ha anche sospeso le spedizioni verso due clienti cinesi sospettati di fungere da intermediari per Huawei, rafforzando così i controlli sulle esportazioni.

Dal canto suo, Huawei ha risposto alle accuse affermando che le forniture di chip provengono da scorte accumulate in precedenza e dalla produzione nazionale in collaborazione con SMIC.

La controversia, in ogni caso, solleva interrogativi sull’efficacia dei controlli USA e mette in evidenza le difficoltà nel monitorare la supply chain, davanti alla strategia sofisticata e in parte ancora ignota di Huawei. La resistenza e l’adattabilità di Huawei, unite a una strategia mirata all’autosufficienza, mostrano la capacità del campione cinese di restare nella competizione, mentre la Cina affronta nuove sfide e difficoltà, soprattutto sui macchinari.

Va considerato un altro fattore: gli USA non possono essere troppo severi con TSMC. Anche se ci fossero state disattenzioni da parte del campione taiwanese, TSMC è sempre più indispensabile. In Geopolitica dell’intelligenza artificiale approfondisco ulteriormente questi temi, soprattutto nella cronologia della guerra tecnologica attraverso TSMC e nella terza parte del libro.

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