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App Immuni Anti Virus Cina

Quanto è europea l’app Immuni?

L’app italiana Immuni di tracciamento anti Covid-19, il consorzio europeo Pepp-Pt e il ruolo degli istituti francesi e tedeschi

Per quanto se ne parli poco in Italia, l’app italiana di tracciamento anti-Covid19 denominata Immuni si trova pienamente calata in Europa. Come ha scritto bene Chiara Rossi su Start, il consorzio che ne è all’origine, col complicato acronimo Pepp-pt, riunisce partner di otto Paesi europei. L’applicazione, per quanto assuma nomi diversi (Immuni in Italia, Stop-Covid in Francia) risponde a requisiti europei, elencati in una Raccomandazione della Commissione europea, che non nasce dal nulla, ma da una consultazione – per quanto veloce – con gli Stati membri.

La Raccomandazione dell’8 aprile – un atto giuridico di indirizzo non vincolante che fornisce tra l’altro indicazioni di interpretazione e contenuto del diritto dell’Unione – punta a costruire una dimensione europea dell’app e a fissa almeno due paletti, cioè il rispetto delle norme sulla privacy e la sua interoperabilità europea.

Ci sono basi giuridiche: il Trattato fa riferimento ai “grandi flagelli che si propagano oltre frontiera” (art. 186 TFUE), una Decisione (obbligatoria in tutti i suoi elementi) del 2013 Parlamento-Consiglio per la sorveglianza epidemiologica aveva istituito un “Comitato per la sicurezza sanitaria” e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), la Direttiva sull’assistenza sanitaria transfrontaliera ha allargato le possibilità di soccorso (con il tesserino sanitario) e di cura transfrontaliera oltre a creare la rete e-Health. Per dire, a Cerdagna in Catalogna, esiste ora un piccolo ospedale comune di frontiera tra Francia e Spagna.

La presa nazionale sulle competenze sanitarie resta tuttavia forte, anche sulla base dei Trattati: gli scambi di pazienti sono modesti, le reti sottotraccia, il Centro europeo Ecdc viene omaggiato ma chi conta veramente sono gli istituti nazionali, come l’Istituto Superiore di Sanità ISS, il Robert Koch, il Pasteur. Però, malgrado siano gli Stati membri a gestire in relativo isolamento il tema sanitario (si è visto, ognuno per sé) si notano due elementi più solidi: la protezione dei dati e la dimensione transfrontaliera. Questi fattori sono veramente europei: i dati perché la direttiva Gdpr è recepita in leggi nazionali con cui pare non si possa scherzare, con tanto di garanti della privacy e strumenti di attuazione e controllo, il transfrontaliero per utilità e necessità economica.

Gli europei si muovono infatti per far girare l’economia, per esempio autisti di tir o collaborazioni nella componentistica industriale tra nord Italia e Baviera, e si è visto in Lombardia e a Codogno.  Ci sono anche i frontalieri in senso stretto: il 62% del personale sanitario del Lussemburgo è estero e soprattutto francese, i pendolari italiani in Ticino sono oltre 60 mila, poi vanno considerati quelli savoiardi a Ginevra, quelli liguri in Francia e a Monaco, poi tra Belgio e Francia, Paesi Bassi e Germania e avanti così. Nella fase 2 che si prepara in Europa, sono fattori da tenere in conto per la ripartenza economica ma anche per una buona sorveglianza di sanità pubblica.

La Raccomandazione della Commissione dice quindi a monte ciò che ritroviamo nei dibatti nazionali, anche in quello italiano. Vi si legge che i dati dovranno alla fine essere distrutti e che la loro tutela è pubblica, e lo si sente ripetere nei giornali nazionali e da vari esponenti politici e tecnici. Si legge che il controllo dei dati deve essere pubblico e non a caso il Garante italiano della Privacy l’ha ripetuto in questi giorni.

Il tema frontaliero emerge poi chiaramente nella preparazione tecnica. Sia il corsorzio Pepp-Pt sia il gruppo DP-3T contemplano lo scambio dei dati per annotare la positività di chi si muove in Europa per lavoro o necessità. Le autorità sanitarie nazionali devono infatti poter scambiare “informazioni interoperabili sugli utenti positivi al test con altri Stati membri o regioni per affrontare le catene di trasmissione transfrontaliere”.

Anche se si vede meno in Italia sull’app Immuni, la dimensione europea nel dibatto politico è altrove è più marcata. Macron l’ha citata nel discorso di Pasquetta sulla fase 2, il dibattito tra esperti sul decentramento dei dati è veramente europeo, tra consorzio Pepp-pt di otto Paesi che comprende Bending Spoons e il gruppo DP-3T che ne riunisce anche di più.

In Pepp-pt c’è anche un nucleo franco-tedesco pubblico, con la collaborazione diretta tra la francese Inria (partecipata per le tecnologie digitali) e l’istituto Robert Koch tedesco. Insieme hanno già sviluppato, in parte anche per gli altri soggetti pubblici, più prudenti e un passo indietro (forse l’Italia), il protocollo di contact tracing dall’evocativo nome di Robert, che si annuncia “centrato-decentrato”. Nulla di definitivo, poiché non è chiaro se Apple l’accetterà nel suo store, visto che i dati, in modo o nell’altro, andrebbero in server statali, per di più capaci di scambiarli con altri server statali: e si capisce perché volino gli stracci.

La politica continentale è poi pienamente coinvolta. Il partito popolare europeo ha preso posizione il 21 aprile a favore del modello Pepp-pt – che è più centralizzato, per semplificare – rispetto all’auspicio “di forte “decentramento” dei dati espresso dalla mozione del Parlamento europeo del 15 aprile, firmata dallo stesso Ppe. In quel caso si preferiva un’app pienamente decentrata, senza i dati su server statali, un po’ nella linea della protesta contro il Pepp-pt, che ha prodotto la fuoriuscita di esperti e scienziati (anche il nostro ISI di Torino) e la nascita del modello DP-3T. Allora vedremo. D’altronde, chi l’avrebbe detto, alcuni mesi fa che avremmo assistito anche a questa incredibile vicenda.

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