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Russia Stazione Spaziale

Putin cambia il capo di Roscosmos e si riapre il dialogo per la Stazione spaziale

È Yury Ivanovich Borisov il nuovo gerarca che ha preso il posto di Dmitry Rogozin come direttore generale di Roscosmos, la principale agenzia spaziale russa. L'approfondimento di Enrico Ferrone

 

È Yury Ivanovich Borisov il nuovo gerarca che ha preso il posto di Dmitry Rogozin come direttore generale di Roscosmos, la principale agenzia spaziale russa. Vladimir Putin ha compiuto il cambiamento senza aver dato nessuna spiegazione o motivazione.

Del nuovo capo dello spazio russo sappiamo che è laureato alla Kalinin Suvorov Military School e alla Radioelectronics Higher Command School nel 1978. E che, dopo essere stato al servizio delle forze armate dell’Unione Sovietica e della Russia come ultimo incarico, è stato vice primo ministro per la difesa e l’industria spaziale nel secondo gabinetto di Dmitry Medvedev, rimasto a galla anche quando il premier si è dimesso dopo che Putin pronunciò il discorso presidenziale del 2020 all’Assemblea federale, in cui propose diversi emendamenti alla costituzione. Quindi un perfetto boiardo della nomenklatura sovietica riciclata in una dittatura oligarca e guerrafondaia. Allineato e concorde al massimo livello del potere.

Cosa ha indotto il tiranno di San Pietroburgo al licenziamento di Rogozin? Una breve dichiarazione ha annunciato solo la sua destituzione con effetto immediato. Meduza, una testata giornalistica indipendente che ha la sede in Lettonia, diretta da Galina Timchenko, un paio di giorni prima della defenestrazione ha riferito che il Cremlino valutava segretamente la possibilità di spostare Rogozin nell’amministrazione presidenziale o nella posizione di supervisore per due regioni dell’Ucraina occupate dalle forze russe. La testata della direttrice coraggiosa citava fonti che affermavano che Rogozin restava sempre “favorevole” con Putin, che era stato “notevolmente amichevole” nei suoi confronti in due incontri pubblici dall’inizio dell’invasione russa a febbraio. Tutte parole, diciamocelo pure, che sono un contentino piuttosto che una vera e propria declamazione dei fatti.

Alcune fonti americane sostengono che quanto abbia infastidito Putin fino al punto da sollevare il suo fido dall’incarico sia stata il 4 luglio scorso, la pubblicazione da parte di Roscosmos di foto che mostravano i cosmonauti russi sulla Iss (Stazione spaziale internazionale) che esibivano colori delle regioni da lui occupate, dando spazio sia alla Nasa che all’Esa di farne eco, occasione ghiotta per un’inappropriata sede dove far propaganda politica. Probabile che questa sia una delle motivazioni perché in ogni dittatura la simbologia ha sempre fondamentale importanza.

Ma purtroppo lo spazio o meglio i suoi operatori sono stati i primi ad aver risentito di quanto sta accadendo nella regione incuneata da una guerra di confini: Rogozin pochi giorni prima del suo abbattimento politico aveva dichiarato che avrebbe incaricato i cosmonauti della Iss di non utilizzare più un braccio robotico europeo sul modulo Nauka, parte del segmento russo della stazione, in rappresaglia per l’annuncio dell’Esa della fine della cooperazione di ExoMars. Una bella manovra del capetto russo che però non ha capito che la decisione avrebbe avuto un effetto maggiore sulle operazioni russe sulla Stazione rispetto a quelle europee. E forse anche questo Putin non l’ha digerito.

Del resto Rogozin ha sempre esposto una linea dura dell’agenzia da lui diretta. Basta ricordare quando a marzo accusò Elon Musk di essere un uomo d’affari che per i propri lucri intasava l’orbita bassa e pure per essersi mostrato pronto a uscire dalla Stazione Spaziale abbandonandola alla deriva siderale per farla precipitare a caso su India o Europa. Insomma, una persona veramente esemplare! Al momento tuttavia non ha commentato il suo licenziamento. È disponibile solo un post sul suo account Telegram con un video di ringraziamento.

Intanto, cambi di poltrone a parte, c’è un’altra notizia interessante che viene dagli stessi ambiti paragovernativi.

Nello stesso momento in cui il Cremlino annunciava la rimozione di Rogozin da Roscosmos, la Nasa comunicava la messa in opera di un accordo con l’agenzia russa su cui si sta lavorando a dire il vero dallo scorso anno. Ci sarà uno scambio incrociato di equipaggi per Soyuz e Dragon per mantenere il filo delle collaborazioni e seguitare gli ordinari lavori di manutenzione sulla Stazione.

Anna Kikina a settembre andrà sull’avamposto spaziale a bordo del veicolo n.5 di Musk e Frank Rubio viaggerà sulla navicella Soyuz MS-22. In seguito ci saranno altre due viaggiatori i cui lanci sono stati programmati con questo accordo. Andrei Fedyaev è stato assegnato alla missione Crew-6, che partirà nella primavera del 2023, mentre Loral O’Hara volerà sulla Soyuz MS-23.

In questo piano c’è ovviamente anche un programma di formazione e quindi di una presenza incrociata di russi e americani sui luoghi di addestramento.

Non ci sembra tanto una pace fatta quanto una possibile distensione tra due fazioni contrapposte e soprattutto, una promessa, sia pur tenue di mantenere in vita la Stazione Spaziale nonostante le minacce del recente passato. Perché questo assunto? Perché è necessario che vi siano a bordo sia russi che americani per garantire taluni accessi fruibili solo dagli astronauti e cosmonauti delle due grandi nazioni. Una piccola pace fatta o una contingenza necessaria? A nostro parere la cosa più importante in questo momento è che sia ripreso il dialogo.

“Del diman non v’è certezza!”

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