Un progetto di cooperazione franco-giapponese per sventare le minacce alla navigazione costituite da mine sottomarine. Un secondo progetto mirato a sviluppare giunti per rendere più solide le strutture fabbricate in 3D. Un terzo destinato a trasformare droni subacquei in oggetti connessi per missioni sottomarine a basso costo. Un quarto concernente un drone subacqueo per esplorare i fondali marini e cercare prima di tutto di individuare pericoli per i cavi di collegamento. Un quinto infine relativo allo sviluppo di un sistema laser per intercettare, e casomai abbattere, droni marittimi (e non solo) ritenuti pericolosi. A Euronaval, la maggiore esposizione mondiale dedicata all’industria navale della difesa (tenuta a Parigi dal 18 al 21 ottobre scorso), sono stati queste cinque novità (assieme a iniziative in fase più avanzata) i punti di forza del padiglione allestito dall’Agence de l’innovation de défense (Aid), uno tra i più frequentati spazi del salone organizzato nel parco di Le Bourget. Il successo a Euronaval non è che il suggello a una storia cominciata qualche anno fa, esemplare per gli altri Paesi europei e per l’Italia.
L’organismo transalpino nasce il primo settembre del 2018 come costola della Direction générale de l’armement (Dga) per “svegliare la bella addormentata” come fu scritto all’epoca. Vale a dire per “superare le debolezze e colmare le lacune” proprio della Dga.
Secondo la definizione ufficiale contenuta nella legge istitutiva, l’Aid è chiamata a mettere in opera la politica ministeriale in materia di innovazione e di ricerca e a orientare le strategie elaborate da questi settori per gli stati maggiori. Coordina e indirizza la realizzazione dei lavori di innovazione e di ricerca scientifico-tecnica realizzati dagli stati maggiori nell’ambito delle loro attribuzioni. Individua, sviluppa e mette in opera partenariati e collaborazioni con attori pubblici e privati, anche a livello internazionale.
A volere con forza la nascita dell’Agenzia era stata l’allora ministre des Armées, Florence Parly, che riuscì a convincere il presidente della repubblica, Emmanuel Macron. La signora Parly aveva affermato che l’Agenzia, “creata per facilitare le sperimentazioni direttamente con gli utilizzatori, sarebbe diventata il faro dell’innovazione di un ministero aperto all’esterno”. Spiegando come “l’innovazione nel settore della difesa è stata per decenni esclusiva o quasi delle maggiori industrie del comparto. Ora siamo convinti che queste imprese debbano interagire con le altre entità della galassia come le piccole e medie imprese, i laboratori di ricerca, le start up innovative”.
Passare dal dire al fare non è stato facile. Certo, le risorse messe a disposizione dell’Aid non sono paragonabili a quelle di cui gode l’omologa statunitense Darpa, che ammontano ormai a quattro miliardi di dollari annui. Nemmeno l’Agenzia francese, però, deve fare le nozze con i fichi secchi: è partita con un bilancio di 750 milioni di euro (sia pure con un centinaio tra tecnici, militari e amministrativi da retribuire) salito a un miliardo da quest’anno e presumibilmente destinato a crescere dal 2024. Del resto, spiegano a Parigi, ogni paragone con Washington è improponibile: “La nostra competitività tecnologica riposa su un approccio giocoforza selettivo in termini quantitativi. Noi non possediamo, né potremmo portare avanti, dieci, quindici soluzioni parallelamente per farne uscire una o due dal cappello. Noi tentiamo di identificare a monte le nostre necessità e puntiamo alle tecnologie adatte a risolverle il prima possibile”.
I primi tempi dell’Aid non sono stati fortunati. In particolare l’Agenzia è finita nel mirino della Corte dei conti francese che ha chiesto esplicitamente a che cosa servisse l’Aid in presenza della Dga. Ma l’atout dell’Aid è stato fin dall’inizio il suo numero uno, Emmanuel Chiva, che ne ha esaltato le prospettive in ogni sede (politica, industriale, militare) e dovunque è riuscito a forgiare solide alleanze. Tanto da essere riuscito a bruciare le tappe della carriera.
Oggi 53enne, all’epoca dell’insediamento 49enne, Chiva ha un curriculum metà scienziato metà grand commis de l’ètat con una spruzzata da imprenditore. Laureato in biomatematica (la branca della biologia che utilizza metodi matematici per studiare i sistemi biologici) con una specializzazione in Intelligenza artificiale, esperto in sistemi complessi e biomimetismo (la disciplina che studia e imita i processi biologici e biomeccanici della natura e degli esseri viventi come fonte di ispirazione per il miglioramento delle attività e tecnologie umane), Chiva ha frequento anche l’Ena, l’Ecole normale supérieure, fucina della classe dirigente transalpina prima che nell’aprile del 2021 Macron la sopprimesse.
Nominato al vertice dell’Agenzia per l’innovazione transalpina fin dalla fondazione, Chiva ha cercato di captare il più rapidamente possibile l’innovazione dove emerge, forte della sua esperienza di creatore di start up innovative, e soprattutto di sfruttare a fini militari innovazioni civili, capovolgendo l’approccio contrario di scuola Usa. Senza rimanere in ufficio ad attendere proposte si è messo a setacciare il mondo dell’innovazione della produzione, scoprendo “pepite” quali la start up Watiz, che sviluppava software di riconoscimento d’immagine per il commercio su Internet ed è stata inserita nel progetto MMT (Man machine tealing), mirato a imbarcare l’Intelligenza artificiale a bordo degli aerei da combattimento.
In una intervista apparsa sul numero di dicembre 2020 del mensile L’Usine Nouvelle, Chiva spiegò che a differenza di un tempo l’innovazione nel settore della difesa è strettamente collegata a quella condotta nei comparti civili più avanzati: le tecnologie quantiche, l’Intelligenza artificiale, l’energia, i materiali di ultima generazione. Il primo compito dell’Agenzia – sottolineò nell’occasione – è quello di riuscire a trovare nell’universo della ricerca e dell’innovazione le tecnologie che possano essere adattate a uso militare per condurre studi e progettazioni su questo versante in parallelo con gli studi orientati esclusivamente sul militare. Non sempre, infatti, il duale è applicabile in maniera agevole. E a tale proposito aveva spiegato che una cosa è progettare un’auto elettrica per le strade cittadine e un’altra un mezzo blindato sempre a propulsione elettrica in grado di rispondere alle ben diverse sollecitazioni di un terreno quale quello del Sahel che, anche dal punto di vista motoristico, ha ben altre esigenze. Forte della sua esperienza, Chiva si era detto ottimista su una nuova stagione di rapporti tra imprese (soprattutto quelle non solo militari) e ministero, in Francia spesso burrascosi. Proprio un approccio meno burocratico, secondo Chiva, avrebbe permesso all’Aid di facilitare le relazioni tra imprese e ministero. A tal proposito aveva citato casi specifici di imprese che, proprio grazie ai rapporti con la sua Agenzia, erano passati, o stavano passando, a collaborare con il ministero conducendo progetti comuni: il fabbricante di droni Parrot, la produttrice di additivi per carburanti Poly-Shape, Franky Zapata (realizzatore del motore a propulsione idrica Flyboard).
A meno di due anni da tale intervista, queste imprese (e non solo) hanno preso a lavorare in perfetta armonia con la Dga. L’approccio imprenditoriale di successo di Chiva (che in passato è stato a capo di 13 imprese attive nel settore dell’innovazione e della difesa) evidentemente ha convinto anche Macron. Tanto che, a fine luglio, Chiva è stato nominato delegato generale dell’armamento, insomma al vertice della Dga, con il via libera di vertici militari e industriali. E va ricordato che in Francia le industrie della difesa contano, anche politicamente. molto. Mutuando il linguaggio della finanza, si potrebbe dire che l’Aid ha fatto l’Opa (offerta pubblica di acquisto, insomma ha conquistato) sulla Dga, un gigante da 10mila dipendenti e un bilancio di quasi 25 miliardi. A prendere ad interim il posto di Chiva al vertice dell’Aid è stato il suo braccio destro, Patrick Aufort, ingegnere generale dell’armamento che è dato come probabile prossimo numero uno effettivo e garantirebbe piena sintonia con il suo predecessore. Nel frattempo Chiva si è messo a lavorare subito sui dossier più caldi della difesa francese, a cominciare dalla velocizzazione nella produzione di armamenti, espressamente richiesta dalla politica e dai militari per rispondere alle esigenze (e ai vuoti nelle dotazioni) create dalla guerra in Ucraina e dalle forniture a Kiev.
Pietro Romano