Continua lo scontro tutto italiano tra editori e Meta, gruppo cui fanno capo Facebook e Instagram, che è presto diventato uno scontro anche tra l’AgCom (cui la legge italiana, recependo il diritto europeo, ha dato mandato di stilare un regolamento ad hoc e assistere la negoziazione tra le parti) e il Tar laziale.
LA DECISIONE INATTESA DEL TAR DEL LAZIO
I giudici amministrativi del Lazio, chiamati a sindacare sul ricorso presentato da Meta con la sentenza numero 18790, accogliendo le istanze del colosso di Menlo Park hanno infatti contestualmente sospeso il regolamento dell’AgCom erga omnes, sostenendo che l’Autorità italiana abbia valicato i limiti discendenti dalle norme comunitarie in materia. E, per delucidazioni, ha inoltrato il fascicolo alla Corte di Giustizia Ue che dovrà quindi dire la sua.
TUTTO BLOCCATO?
Col risultato che l’AgCom si trova ora senza poteri e impossibilitata a muoversi anche in altri casi, non solo in quello che ha dato origine a tutto e che riguardava Gedi e Meta. L’autorità in tutta risposta ha, prevedibilmente, deciso di ricorrere al Consiglio di Stato.
L’AgCom ha adito – ha rimarcato il quotidiano Repubblica (quotidiano del Gruppo Gedi, parte in causa) – il secondo e ultimo grado di giustizia amministrativa spiegando che nelle more di una risposta della Corte di Giustizia dell’Ue (una sola per tutti i 27 Paesi dell’Unione: per questo impiega per rispondere, in media, un anno e mezzo) le trattative tra gli editori e i colossi del Web sono ora congelate perché il regolamento dell’AgCom è stato privato dai suoi effetti da tale ricorso.
TRA I DUE LITIGANTI META GODE
Il ricorso era stato fatto, come già si ricordava, da Meta ma questa sospensione paralizza tutti i negoziati tra gli editori e qualsiasi altra società della Rete. L’AgCom dal canto suo, assistita dall’Avvocatura dello Stato, ricorda ai magistrati del Consiglio di Stato la capitalizzazione di Borsa della società messa in piedi da Mark Zuckerberg: oltre 1.190 miliardi di dollari.
Difficilmente l’equo compenso previsto dal diritto Ue la danneggerebbe in qualche modo, anche laddove la norma italiana si fosse spinta “troppo in là”. Mentre non si può dire lo stesso degli italici editori che, è noto, non versano sempre in buone condizioni. Sempre l’AgCom sottolinea che il suo regolamento non obbliga certo le società di Internet al versamento dell’equo compenso.
I SOCIAL TEMONO DI DOVER DIVULGARE I DATI?
Tra i vari punti su cui il Tar del Lazio vuole vederci chiaro ce ne è uno che merita attenzione perché, sebbene nascosto tra le pieghe delle carte bollate, potrebbe avere valore per le BigTech, ovvero “se l’art. 15 EUCD sia ostativo a disposizioni nazionali, quali quelle indicate al precedente punto 1), che impongono ai fornitori di servizi della società dell’informazione (nel caso di specie, Meta) un obbligo di divulgazione dei dati, assoggettato a vigilanza da parte della stessa Autorità regolatoria nazionale, la cui inosservanza incontra l’applicabilità di misure sanzionatorie amministrative”.
Eppure l’AgCom nel rispondere alle eccezioni dei giudici amministrativi rimarca come “nell’ambito della procedura per la determinazione dell’equo compenso richiesto a Meta per l’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico di Gedi, ove l’Autorità ha unicamente agevolato le negoziazioni in corso tra le parti, nel pieno rispetto e salvaguardando la loro autonomia negoziale […] nessuna richiesta di informazioni è stata formulata nei confronti di Meta”. Insomma, perché tutta questa enfasi sui dati che potrebbero essere richiesti a Meta e agli altri soci, se nel caso in esame l’AgCom si è limitata ad agevolare il negoziato e l’editore italiano non ha chiesto nulla a Menlo Park?
Una querelle tutta italiana che, per ovvi motivi, fa bene a Meta e al codazzo di altri tenutari delle maggiori piattaforme. I quali, è noto, ottengono le cosiddette reactions (like, condivisioni, commenti) in genere proprio alla circolazione di contenuti giornalistici. Peraltro, recenti cambi di algoritmo di Meta volti a trattenere l’utenza sulle sue pagine stanno penalizzando gli editori.
COSA DICE LA FIEG IN MERITO ALLA LITE TRA AGCOM E META
Anche per questo la Federazione Italiana Editori Giornali fa sapere di essere “al fianco dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, presieduta da Giacomo Lasorella, contro la sospensione del Regolamento sull’equo compenso per l’utilizzo on line delle pubblicazioni giornalistiche”. Si legge, ancora, in una nota della Fieg, presieduta da Andrea Riffeser Monti (nella foto): “Gli editori, nel condividere quanto scritto dal Commissario AgCom Antonello Giacomelli (sull’Huffington Post) sottolineano l’importanza di agire in tutte le sedi per tutelare la qualità e la sostenibilità dell’informazione, garanzia dei principi di pluralismo e di libertà d’espressione di ogni società democratica”.
E ancora: “Il Regolamento AgCom sull’equo compenso esplicita la ratio della normativa di recepimento della Direttiva copyright, ossia garantire l’effettività del diritto connesso da questa riconosciuto agli editori per l’utilizzo on line delle pubblicazioni giornalistiche, così riducendo il value gap tra gli editori che producono i contenuti e le piattaforme che li riproducono”.
TUTTI I DANNI DEL TAR PER AVER CONGELATO IL REGOLAMENTO AGCOM
Per la Fieg, “il Regolamento AgCom – frutto del confronto con le associazioni e le rappresentanze di categoria del settore – è fondamentale per il buon esito delle trattative tra editori e piattaforme, anche perché individua i criteri di riferimento per determinare l’equo compenso dovuto per l’utilizzo on line dei contenuti editoriali e obbliga le piattaforme a mettere a disposizione i dati necessari a tale scopo” e “la sospensione del Regolamento AgCom disposta dal Tar solleva di fatto le piattaforme dagli obblighi previsti dalla normativa di recepimento della Direttiva copyright ed allontana l’obiettivo di tutelare adeguatamente il prodotto editoriale”.