Il commissario Piacentini in audizione alla Camera sulla PA digitale: servono competenze e più smartphone nelle amministrazioni. E le startup debbono vincere le gare
A tre mesi da oggi la Pubblica amministrazione italiana conoscerà tempi e modi della propria digitalizzazione. Il timing è stato fornito dal commissario all’Agenda digitale ed ex vicepresidente di Amazon, Diego Piacentini, ascoltato in commissione digitalizzazione alla Camera. Piacentini, cui Palazzo Chigi ha affidato le chiavi per la modernizzazione delle amministrazioni pubbliche, ha toccato tutti i diversi punti nodali del difficile processo di digitalizzazione della PA, a partire dalla necessità di rivedere le procedure di procurement alla carenza di competenze digitali che pesa sul ritardo digitale del nostro paese. Nelle gare pubbliche, secondo Piacentini, non bisogna definire in anticipo i requisiti tecnologici di una gara, visto che il contratto può durare diversi anni e lo sviluppo delle tecnologie è galoppante. Inoltre, secondo il commissario, è necessario aprire alla partecipazione delle startup. Ma il punto di partenza, nemmeno a dirlo, è la tabella di marcia con cui l’amministrazione italiana diventerà finalmente all’altezza di un Paese del G7.
Piano digitalizzazione in arrivo
“Il piano triennale dell’Ict nella PA è in arrivo, ci stiamo lavorando con l’agenzia per il digitale e una prima bozza sarà pronta entro il primo trimestre dell’anno”, ha chiarito il manager. Dunque, se tutto andrà bene, entro poco dovrebbe iniziare quel processo di innovazione di cui la Pubblica amministrazione del BelPaese ha un disperato bisogno. Ma per raggiungere l’obiettivo, bisogna avere le carte in regole. A cominciare da un elevato standard di competenze. Che oggi pare mancare.
PA Digitale: competenza cercasi

Incentivi (a chi è competente)
Alle competenze dovranno poi essere legati precisi incentivi, volti anche a migliorare l’efficienza delle singole unità. Ma le due cose dovranno andare di pari passo. “Si parla molto dell’introduzione di compensi variabili, legati alla performance o al raggiungimento degli obiettivi: per esperienza, posso dire che, se mancano le competenze e la cultura della trasformazione, della condivisione, della tecnologia – che però deve partire dall’alto – incentivi legati a norme che obblighino a fare le cose rischiano di rimanere inefficaci”.
Largo ai giovani nella PA digitale…

…e alle startup
Una filosofia che dovrebbe trovare il suo naturale sfogo anche nell’assegnazione delle gare pubbliche. Privilegiando cioè le startup. “Alle gare devono poter vincere le startup, aziende con nuove tecnologie e non solo le società già affermate solo perchè sanno fare meglio le gare“, ha osservato poi Piacentini illustrando gli obiettivi a cui sta lavorando la sua squadra di 20 persone, selezionata “con una chiamata alle armi di tutti gli italiani che si occupano di tecnologia, in Italia e all’estero”. “In 18 mesi con venti persone non possiamo riuscire a fare l’Italia digitale ma possiamo creare degli esempi virtuosi, delle nuove modalità di lavoro. Molti dicono che non ce la faremo mai, io credo che qualche speranza la abbiamo”.
Una PA che parli una sola lingua. Quella dell’efficienza

Piu’ smartphone nella PA
Poi sono arrivate le indicazioni, per così dire, più pratiche, legate alla vita di tutti i giorni. Una su tutte, il ricorso massiccio agli smartphone per svolgere alcuni tipi di operazioni, come i pagamenti. “La missione è rendere i servizi pubblici per i cittadini e le imprese accessibili nel modo più semplice possibile, anche applicando il principio ‘mobile first’: tutti i servizi della Pubblica amministrazione devono essere concepiti in maniera che permetta al cittadino di usarli con lo strumento tecnologico a lui più congeniale, ovviamente lo smartphone”, ha spiegato Piacentini. Il tutto per raggiungere un obiettivo che suona ovvio, ma che per un Paese come l’Italia, e non solo, è di vitale importanza. Il miglioramento dell’offerta della Pa. “La rivoluzione digitale è stata talmente repentina che in tutto il mondo, sia nel pubblico che nel privato, si fa fatica a convertire le competenze di ieri in quelle necessarie a confrontarsi con questo fenomeno. Si parla di digital divide, si fanno i servizi tecnologici per le aziende pubbliche ma nessuno li usa: bisogna spostare il centro del problema, concentrandosi sul miglioramento dell’offerta di servizi digitali da parte della Pubblica amministrazione. Sono convinto che se concentriamo gli sforzi a migliorare la qualità dei servizi, la domanda crescerà spontaneamente, nonostante il gap demografico e culturale”.
Fattura elettronica in versione retrò

Il paradosso del Cad
Un altro esempio è quello del Codice per l’amministrazione digitale. Il 10 Agosto 2016, il governo lo ha approvato. Ma, se da una parte, prova ad accelerare la digitalizzazione del Bel Paese, ma dall’altra concede più tempo agli enti locali per dire addio al cartaceo e utilizzare i documenti soltanto in formato digitale. Insomma, l’Italia cambia ma lentamente e cedendo a inevitabili (forse), compromessi: ci sarà un lungo processo di attuazione, come per tutte le forti novità che riguardano l’amministrazione pubblica. Il nuovo testo del CAD differisce da quello approvato a gennaio in via preliminare: la Commissione competente della Camera ha infatti dato sì il suo parere favorevole allo schema di decreto di gennaio, a condizione però di inserirvi 18 punti aggiuntivi. A questo punto la domanda è d’obbligo. A quando una Pa digitale?
Gianluca Zapponini






