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Diabete

Ogm, se la biotecnologia fa paura agli italiani

In Italia non solo è vietata la coltivazione di Ogm, è vietata anche la ricerca su campo   Si chiamano Ogm, Organismi geneticamente Modificati. La parola è entrata nelle nostre case in riferimento, sopratutto, a frutta e verdura, ma gli OGM non sono solo questo. Basta nominarli, comunque, per scatenare grandi polemiche. Come mai? Difficile…

In Italia non solo è vietata la coltivazione di Ogm, è vietata anche la ricerca su campo

 

Si chiamano Ogm, Organismi geneticamente Modificati. La parola è entrata nelle nostre case in riferimento, sopratutto, a frutta e verdura, ma gli OGM non sono solo questo. Basta nominarli, comunque, per scatenare grandi polemiche.

Come mai? Difficile comprenderlo: attualmente nessuno studio dimostra che facciano male alla salute, ma agli scienziati è lasciato poco spazio nel dibattito e la chiusura dei governi italiani non aiuta a capirci qualcosa in più. E così, c’è chi è convinto che parlando di cipolle OGM, queste si possano trasformare in pomodori.

Cosa sono gli OGM?

lavoro biotecnologico ogmSono organismi vive i cui DNA, tramite operazioni di ingegneria genetica, hanno subito variazioni. Facciamo attenzione: non si possono definire OGM gli esseri viventi che hanno subito modifiche genetiche tramite processi spontanei e tramite incroci. Per dar vita ad un OGM serve l’intervento umano e in particolare, serve fare ricorsi a tecniche di ibridazione e selezione, o di mutagenesi e selezione, o alla manipolazioni del DNA e dunque all’inserimento mirato di nuovi geni (transgeni) negli organismi.

Perchè nascono gli Ogm?

Attulamente, la modifica dei geni viene essenzialmente impiegata per gli esseri viventi vegetali, con lo scopo di migliorare il settore alimentare e industriale. Basta fare la distinzione tra le diverse piante modificate per comprendere anche il motivo per cui l’uomo, alcuni agricoltori, aziende e industria chimica hanno sentito l’esigenza degli Ogm. Le piante modificate si dividono in due grandi gruppi: i GMHT(genetically modified herbicide tolerance), a cui è stata ampliata la tolleranza ad alcuni erbicidi, e i GMIR (genetically modified insect resistance), a cui tramite operazioni di ingegneria genetica è stata aumentata la resistenza agli attacchi degli insetti.

Ma non basta. Se è vero che potrebbe far pausa magiare un organismo genericamente modificato, è anche vero che grazie alle coltivazioni Ogm sarebbe possibile ottenere alimenti che abbiano più elementi nutritivi importanti per la salute dell’uomo e degli esseri viventi, o che, al contrario, presentino meno tossine e sostanze allergeniche. A questo si aggiunge anche la riduzione dei tempi di crescita dei raccolti e la riduzione dell’uso di pesticidi dannosi per l’ambiente.

Ogm vietata coltivazione e commercializzazione in Italia

A luglio 2013 ministri delle Politiche agricole (Nunzia De Girolamo), dell’Ambiente (Andrea Orlando) e della Salute (Beatrice Lorenzin) hanno firmato un decreto che vieta la coltivazione del mais Mon810 in Italia.

Il Governo, in realtà, si è poi spinto ben oltre impedendo non solo agli agricoltori ma anche ai suoi scienziati di fare il loro lavoro, ovvero sperimentare Ogm in campo aperto. La decisione dell’Italia è avallata dall’ue, che  il 22 aprile 2015 ha offerto agli stati membri la libertà di decidere se vietare o proseguire l’importazione di derrate Ogm.

Sono pericolosi per la salute?

No. Non ci sono, al momento, studi che dimostrino la loro pericolosità. Purtroppo, però, Sugli organismi geneticamente modificati c’è stata fin dall’inizio un’informazione scorretta e distorta che ha dato vita a leggende metropolitane (anche assurde, come una fragola che diventa pesce con l’intervento dell’ ingegneria genetica) difficili da contrastare.

Chi ha paura degli Ogm?

In Italia non solo vige il divieto di coltivazione degli OGM, ma addirittura è proibita la ricerca su campo. Si tratta di una decisione pesante in materia, basata su una paura irrazionale delle biotecnologie, che, come sostiene l’associazione Pro-test, “rischia di far perdere terreno all’Italia in uno dei settori più promettenti della ricerca e dell’innovazione futura”.

Di tutto questo si discuterà in occasione di “Chi ha paura degli OGM?”, mercoledì 27 Settembre, presso OPEN Milano. La manifestazione, organizzata nell’ambito della Settimana Europea delle biotecnologie, da Pro-test, ANBI; Italia Unita per la scienza e Associazione Nazionale biotecnologi italiani, affronterà il tema nella sua interezza, dall’aspetto scientifico all’aspetto politico, passando dalla divulgazione.
A discuterne saranno Chiara Tonelli, Prorettrice alla Ricerca dell’Università degli Studi di Milano, Marco Cappato, Tesoriere Associazione Luca Coscioni, Stefano Bertacchi, Ricercatore di Biotecnologie industriali e autore del libro “Geneticamente Modificati (Hoepli)” e Daniele Colombo dell’Associazione Nazionale Biotecnologi Italiani.

Biotecnologie: valgono 9,4 miliardi

Quasi 500 imprese attive, oltre 9 mila addetti e 9,4 miliardi di fatturato: sono questi gli ottimi numeri registrati dal settore biotecnologie in Italia. Un comparto in pieno sviluppo e ad elevata intensità di innovazione: ad evidenziarlo è il Rapporto 2016 “Le imprese di biotecnologie in Italia – Facts&Figures”,realizzato da Assobiotec, Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica, in collaborazione con ENEA. Il fatturato, che oggi supera i 9,4 miliardi di euro, è destinato ad aumentare: le previsioni indicano un +12,8% al 2017 e un +18,1%  al 2019.

I dati mostrano come “l’industria biotecnologica in Italia rappresenti un comparto di indiscussa eccellenza, sia scientifica che tecnologica. Un settore caratterizzato da un forte fermento e dinamismo, testimoniato dalla presenza di quasi 500 aziende”, ha commentato Riccardo Palmisano, Presidente di Assobiotec.

La fotografia scattata da Assobiotec ed ENEA mostra come nella grande maggioranza dei casi il biotech italiano sia costituito da imprese micro o di piccola dimensione: sono queste a trainare l’intero settore. Nel corso del 2014, oltre la metà (56%) delle imprese si è autofinanziata, più di un quarto (26%) ha avuto accesso a contributi in conto capitale, pubblici o privati (grants), il 16% ha fatto ricorso al capitale di debito, mentre soltanto il 4% ha potuto accedere a finanziamenti di Venture Capital.

Quasi il 90% delle imprese dedicate alla R&S biotech sono e restano realtà piccole o micro, una caratteristica che ostacola lo sviluppo delle grandi potenzialità della biotecnologia in Italia”, ha continuato Riccardo Palmisano. È necessaria “l’istituzione di una cabina di regia centrale e comune dell’intero sistema che, sull’esempio di quanto già avviene nel Regno Unito, possa coordinare ed armonizzare gli interventi su ricerca ed innovazione, individuando le priorità, ma anche indirizzando le risorse disponibili”. Ma non solo: si deve anche pensare al “rafforzamento delle competenze di trasferimento tecnologico, attraverso, ad esempio, lacostituzione di un centro nazionale di Technology Transfer per le scienze della vitaTerzo punto quello legato al miglioramento delle agevolazioni fiscali ad oggi presenti. Senza dimenticare la necessità di far nascere un venture capital pubblico-privato”.

Ad oggi, gli addetti superano le 9.200 unità, gli investimenti in R&S (Ricerca e Sviluppo) gli 1,8 miliardi con un’incidenza del 25% sul fatturato delle imprese dedicate alla R&S biotech a capitale italiano e punte che possono raggiungere anche il 40% del giro d’affari. Insomma, il settore è fortemente impegnato nella ricerca (rispetto all’industria manifatturiera, infatti, la quota di addetti in R&S è 5 volte maggiore).

La Lombardia è la prima regione in Italia per numero di imprese (141), investimenti in R&S (29,43% del totale) e fatturato biotech (51,11% del totale).

Biotecnologie Lombardia

“Per poter cogliere pianamente le opportunità che si prospettano, è però necessario fare sistema nella ricerca e sostenere le imprese nella gestione delle forti incertezze che caratterizzano soprattutto i settori più innovativi”, ha invece dichiarato Marco Casagni, Vice Responsabile della Direzione Committenza dell’ENEA.

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