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Vi racconto il fallimento dei controlli sui chip (di Nvidia e non solo)

La guerra dei chip, gli intrecci di Nvidia, le ambizioni controverse delle amministrazioni americane e il ruolo della Cina. L'analisi di Alessandro Aresu

Le più recenti dichiarazioni pubbliche del CEO di NVIDIA Jensen Huang sul fallimento dei controlli sulle esportazioni verso la Cina non sono una sorpresa per chi conosce la storia di NVIDIA, i suoi interessi e le sue tradizionali posizioni.

In primo luogo, l’obiettivo di NVIDIA, come quello di pressoché tutte le aziende, è aumentare le sue quote di mercato, difendere il proprio vantaggio competitivo e fare profitti.

NVIDIA, come quasi tutte le aziende importanti dell’enorme e differenziato ecosistema dei semiconduttori, ha una presenza in Cina, sia in termini di forniture che in termini di fatturato, diretto e indiretto. L’incidenza del mercato cinese nel fatturato di NVIDIA è molto più bassa rispetto a quella, per esempio, di aziende come ASML, NXP e Qualcomm, ma è comunque tutt’altro che trascurabile e la perdita della quota di mercato cinese, già in corso, fa male. Ogni provvedimento del governo degli Stati Uniti che chiude a NVIDIA le porte del mercato cinese, pertanto, sarà contrastato dall’azienda. Inoltre, la Cina per NVIDIA è anche un essenziale bacino di talento, per gli sviluppatori che alimentano costantemente il suo potere di piattaforma e di ecosistema, e per i ricercatori che lavorano nei suoi laboratori, come tutti possono comprendere studiando l’organizzazione dei team di ricerca di NVIDIA e ai paper aziendali. Più della metà dei dipendenti dell’azienda fondata da Jensen Huang si identificano come asiatici o asiatici americani.

Come ho più volte sottolineato, nel mondo in cui viviamo siamo già giunti al punto in cui chi pensa che il potere tecnologico degli Stati Uniti possa reggersi sui “bianchi”, o per essere più “delicati” sui discendenti delle varie ondate di immigrazione europee dei secoli passati nella terra americana, non sa letteralmente di cosa parla.

Nel mio libro “Geopolitica dell’intelligenza artificiale”, ho documentato in molte pagine le varie collaborazioni di NVIDIA in Cina, con aziende come Baidu, Tencent, Hikvision, SenseTime e perfino, ovviamente, Huawei. NVIDIA monitora gli avanzamenti di Huawei nelle infrastrutture per l’intelligenza artificiale da molti anni e teme, come deve fare qualunque concorrente, l’enorme capacità dell’azienda fondata da Ren Zhengfei di operare come grande integratore, con una forza lavoro eccezionale per quantità e qualità, dinamismo e reattività.

Come ricordato da Jensen Huang questa settimana al Computex di Huawei, Blackwell non è un “chip”, bensì un sistema con 1,2 milioni di componenti, 2 miglia di cavi di rame, 130.000 miliardi di transistor con un peso di 1.800 kg. Al sistema Blackwell partecipano centinaia di aziende, indirettamente migliaia, in una filiera che NVIDIA ha organizzato nel corso di anni. Da TSMC a Foxconn, passando per SK Hynix, Wistron, Quanta, Pegatron, Cooler Master, Spil, Amkor, Wiwynn e moltissime altre (tra cui tanti campioni taiwanesi). Perciò, quando un’azienda qualunque, anche famosa o potente, si sveglia e dice che sta riproducendo il sistema di NVIDIA perché ha un “chip” con una buona performance, dice il falso. In tanti possono prendersi degli spiccioli rispetto all’azienda fondata dall’uomo col giubbotto in pelle ma questo non cambia i rapporti di forza finché non si incide su piattaforme e filiere in una scala adeguata. La vera alternativa a NVIDIA è chi può costruire e gestire, su una scala colossale, nell’hardware e il software, una filiera del genere. E il candidato più forte è sempre Huawei.

Questi sono gli interessi di NVIDIA e il suo panorama competitivo. Poi bisogna considerare le ipocrisie e i limiti delle politiche degli Stati Uniti. Prendiamo l’affermazione del consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, Jake Sullivan, sulla protezione del primato tecnologico con “un piccolo cortile e un’alta recinzione”. È un’immagine in prima battuta affascinante ma che lascia il tempo che trova.

Delimitare questo “cortile” ed erigere la “recinzione” richiede competenze enormi e capacità di prevedere gli effetti non voluti. Più facile a dirsi che a farsi. Pronunciare un discorso o scrivere 300 pagine di regolamenti è una cosa, mettere insieme 1,2 milioni di componenti è un’altra: la conoscenza è sempre nelle mani di chi sa mettere insieme 1,2 milioni di componenti e di chi conosce tutti i processi della filiera, e non è mai nelle mani di chi scrive un regolamento, anche se fosse di 130.000 miliardi di pagine.

Nella tesi espressa da Sullivan e dall’amministrazione Biden, il cortile dei semiconduttori doveva proteggere le tecnologie più “pregiate”, lasciando fuori i cosiddetti semiconduttori “maturi”. Tutto ciò veniva giustificato anche con ragioni militari. Peccato che per gli armamenti servano i cosiddetti semiconduttori “maturi”, su cui come prevedibile la Cina si è concentrata, come sull’elettronica automobilistica, in cui BYD, Xiaomi e altri campioni cinesi potranno distruggere tutti gli altri. Allora, secondo l’immagine, il cortile va allargato, creando nuove incertezze e nuovi casini. Ad allargare e restringere i cortili sono burocrati che, per ragioni di incentivi, non possono strutturalmente comprendere le tecnologie come le persone che le fanno, le quali stanno nei laboratori aziendali. Nessuna persona sana di mente può pensare che Jake Sullivan o Marco Rubio, o i loro consulenti, possano avere anche un milionesimo della competenza tecnica di ricercatori come Bill Dally o Bryan Catanzaro di NVIDIA. Così, “il piccolo cortile con l’alta recinzione” diviene un classico cane che si morde la coda. E per questo avanza la tesi di NVIDIA e di altre aziende che, anche per i loro interessi, dicono “basta limiti, basta regolamenti da imbecilli, fateci vendere tutto o quasi e vinca il migliore, cioè noi”. Oppure, Huawei.

L’altra tesi, che resterà comunque in campo, non è quella del “piccolo cortile con alta recinzione”, ma quella della dolorosissima separazione tecnologica e commerciale tra le due sfere, per cui tutti dovranno pagare costi enormi.

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