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Oto Melara

Non solo Oto Melara, quale sarà il futuro della difesa italiana. L’analisi di Batacchi (Rid)

Conversazione con Pietro Batacchi, direttore di Rid (Rivista italiana difesa), su Oto Melara e non solo. Proseguono gli approfondimenti di Startmag sul futuro della difesa italiana nel contesto europeo e atlantico

 

Si è riaperto il dossier Oto Melara, la controllata armamenti terrestri che Leonardo ha messo in vendita insieme all’altra unità Wass.

“Onestamente io vorrei vedere come la cosa si farà e se si farà perché non è detto che si faccia”, esordisce Pietro Batacchi, direttore di Rid – Rivista italiana difesa.

“Quindi, non essendoci nulla di concreto, io preferisco sospendere il giudizio in attesa che ci siano delle cose concrete da commentare — puntualizza a Startmag Batacchi —. Si muovono tanti interessi diversi, tanti appetiti. Quindi lasciamo stare qui. C’è una certezza sola, empirica, che la Difesa e l’esercito per anni non hanno investito nel settore cingolati…”.

LA DIFESA ITALIANA NON HA INVESTITO NEL SETTORE TERRESTRE

“Innanzitutto in Italia ci sono delle competenze, e ci sono anche nel settore terrestre: Oto Melara, Iveco e quant’altro” sottolinea Batacchi.

Qual è il problema? “Il problema è che per anni la Difesa e l’Esercito non hanno investito su queste competenze, molto semplicemente. Quando sento dire che l’Italia non è in grado di produrre cingolati, non è in grado di fare bene, si tratta di un’analisi completamente sbagliata, perché l’Italia ha tutte le capacità. Soltanto che in questo specifico settore — e consapevolmente — la Difesa e l’Esercito hanno deciso di non investire. La priorità erano le operazioni di stabilizzazione all’estero che noi abbiamo mascherato sotto la dicitura operazione di pace e nella fattispecie dell’Esercito — per ragioni di consenso — l’operazione Strade sicure in cui i cingolati non servivano” evidenzia il direttore di Rid.

SCENARIO CAMBIATO CON LA GUERRA IN UCRAINA

“Quindi per vent’anni non si è investito in questo settore” rimarca Batacchi. “Adesso che gli scenari sono cambiati, ci si rende conto che le forze armate servono anche per far la guerra — quanto accade in Ucraina lo sta dimostrando chiaramente — allora ci si pone il problema di investire in questo settore. E non bisogna sentire chi dice “noi non siamo capaci”. Se si investe seriamente, si mantengono capacità e competenze che comunque ci sono. Poi sulla base di quello dopo si fa il ragionamento sull’industria europea. Però intanto investiamo” auspica il direttore di Rid.

BENE LE PAROLE DI DRAGHI SULLA DIFESA

Passando invece a quanto dichiarato dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, nella conferenza stampa al termine del Consiglio europeo che si è svolto la scorsa settimana a Bruxelles, Batacchi non ha dubbi: “le parole di Draghi sono assolutamente condivisibili”.

“Noi importiamo armi dal resto del mondo per una percentuale pari al 60% di tutte le nostre armi. Sono decisioni dovute a questioni tecnologiche, ma non siamo un continente indietro su questo fronte. Bisogna quindi coordinare questo tipo di importazioni”, ha evidenziato il presidente del Consiglio.  Secondo il premier “ogni Paese inoltre ha dei criteri per l’import-export” e per questo motivo “mi auguro che anche noi si agisca secondo una clausola di reciprocità”.

Secondo Batacchi “se si parla di industria della difesa europea, di integrazione europea e di difesa europea non si può continuare a comprare in determinati settori soltanto americano. Oppure se si compra americano occorre che vi siano adeguati ritorni e adeguate compensazioni che in alcuni casi, purtroppo, non ci sono state. Insomma, ce lo ricordiamo la cancellazione di diverse gare negli Stati Uniti in cui si erano affermati prodotti italiani: l’elicottero presidenziale, il C-27 e così via”.

IL CAMBIO DI PASSO CON L’AMMINISTRAZIONE TRUMP PER L’EXPORT MILITARE ITALIANO NEGLI USA

Ma di recente si è assistito a un cambio di rotta.

“Fortunatamente le cose in questo senso, negli ultimi anni, soprattutto per l’amministrazione Trump, c’è da dirlo, sono cambiate: esemplare la vittoria nella gara per le fregate americane e così via” mette in luce il direttore di Rid. “Non vorrei che ora con l’amministrazione democratica si tornasse al “buy american” punto, non funziona così”.

ANCHE IN EUROPA OCCORRE INVESTIRE

“Quindi le parole di Draghi sono assolutamente condivisibili” rimarca Batacchi. “In Italia e in Europa ci sono alcune capacità, occorre investire. Occorre investire molto, in maniera chiaramente oculata, razionale e quant’altro. Però occorre investire, perché certe cose le sappiamo fare anche in Europa e in alcuni settori, pure meglio degli americani: dalla difesa terra-aria missilistica, un settore di eccellenza con Mbda, alla radaristica con Leonardo, nel settore navale abbiamo Fincantieri e Naval Group. Insomma, abbiamo una cantieristica molto forte. Razionalizziamo laddove possibile e teniamoci alcune competenze core”.

“Io mi auguro che il governo si comporti di conseguenza — sottolinea il direttore di Rid — perché l’abbiamo visto con l’acquisizione del velivolo SIGINT G-550 che siamo andati a comprare negli Usa con sistema di missione americano quando potevamo metterci dentro il sistema missioni di Leonardo con la guerra elettronica di Elettronica. È una cosa si poteva tranquillamente fare in Italia”.

IL CASO F-35

Dopodiché, “è chiaro che vent’anni fa non c’era un’alternativa europea al caccia F-35” segnala Batacchi. “È stato straordinariamente corretto e lungimirante per l’Italia acquisire l’F-35 perché non c’era un’alternativa di quinta generazione. Però se c’è un’alternativa europea, vale la pena investirci. Anche se non è disponibile nell’immediato si può fare questo questo sacrificio” aggiunge il direttore di Rid.

SULL’IPOTESI DI UN POLO MILITARE ITALIANO INVECE…

Infine, il tema che sta scaldando politica e addetti ai lavori in queste ultime settimane: l’ipotesi di una creazione di polo militare italiano con l’aggregazione tra Leonardo e Fincantieri sul militare.

“Anche in questo io preferisco aspettare. Si sta parlando di aziende, comunque molto diverse per struttura tra loro” evidenzia il direttore di Rid. “Da una parte, c’è un’azienda come Leonardo che ha il core business nella difesa, dall’altra c’è un’azienda come Fincantieri che ha il suo core business nella crocieristica civile. Quindi non è semplice mettere insieme queste due cose”.

“In più — aggiunge Batacchi — ci sono anche adesso dei settori di sovrapposizione diversi. Perché in Fincantieri c’è anche Nextech, che va in alcuni casi va a sovrapporsi ad alcune attività di Leonardo. Per cui io mi auguro che quei politici che hanno detto questo siano consapevoli anche che il risultato sarebbe anche la chiusura di alcune attività, per evitare sovrapposizioni. Poi, ripeto, sono due aziende molto diverse, e io francamente non ne vedrei la necessità in questo momento di un’operazione del genere”.

“Piuttosto — rilancia il direttore di Rid —  vedrei bene un’ulteriore integrazione in ambito europeo sia da parte di Fincantieri sia da parte di Leonardo. In questo caso Leonardo ha il volano del programma Tempest mentre Fincantieri ha il volano del programma per le corvette europee EPC. Prima di parlare di un polo nazionale militare ci andrei piano”.

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